Dossier
31 ottobre 1999

Il nostro impegno, la nostra identità<br>

Un anno di governo D'Alema





























Sono qui raccolti i dati, i provvedimenti, le proposte di riforma che il Governo ha promosso e realizzato nel corso del suo primo anno di vita.

Un anno, quindi. Un periodo di tempo troppo breve per elaborare consuntivi, ma sufficiente per indicare una rotta. Vorrei che, sfogliando le pagine che seguono, si privilegiasse questo secondo punta di vista.

Non il giudizio - naturalmente sempre legittimo - delle singole iniziative assunte, ma una valutazione complessiva sullo spirito che ha guidato la nostra azione e orientato le scelte più delicate e difficili, a partire dalla drammatica emergenza della guerra in
Kosovo.

Credo sinceramente che una lettura di questo genere possa favorire, anche in quanti hanno guardato, e tuttora guardano, con sospetto o diffidenza al nostro
lavoro, una comprensione più completa e corretta dell’operato del Governo. Perché inevitabilmente porta a cogliere il senso che ispira le singole azioni, rimuovendo così l’impressione che possano dipendere quasi esclusivamente da una visione quotidiana e contingente dei problemi e delle loro soluzioni.

Certo, in democrazia, i governi - tutti i governi - ad un certo punto vengono giudicati dagli elettori, come è giusto che sia. Ma ciò non può e non deve impedire a quanti hanno avuto la responsabilità di guidare il Paese per un arco di tempo più o meno lungo di rivendicare la coerenza politica e culturale della propria azione.

Saranno dunque i cittadini italiani a stabilire, anche nel nostro caso, se avremo meritato o deluso le loro aspettative. A noi - ora e nei prossimi mesi - spetta il
compito di indicare con chiarezza l’ispirazione del Governo e le priorità che esso pone al centro della propria iniziativa.

Vi sono tre parole che possono, meglio di altre, riassumere la vocazione, e dunque l’identità, del nostro lavoro.

La prima è la responsabilità con cui abbiamo fatto fronte a vecchie e nuove sfide.
Era la condizione necessaria affinché l’Italia ritrovasse l’orgoglio per quello che oggi è e per il ruolo che ha saputo conquistarsi in Europa. Tutto ciò ha restituito prestigio al nostro Paese sulla scena internazionale.

So che a volte si è ironizzato su questo, quasi considerandolo vezzo e vanto di una classe politica ossessivamente concentrata sui meriti della propria iniziativa. Ma le cose non stanno così.

L’Italia, nel corso di questi anni e sotto l’impulso decisivo del centrosinistra e dell’Ulivo, ha compiuto un tratto di strada decisivo per il proprio avvenire.

Abbiamo saputo affrontare una terribile e straordinaria opera di risanamento delle finanze pubbliche e, conquistando il traguardo dell’Euro, il Paese si è collocato saldamente nel cuore della nuova competizione internazionale. A noi non si guarda più come alla Cenerentola d’Europa, ma come a una grande Nazione civile, moderna, in grado di assolvere una funzione rinnovata sul piano degli equilibri dai
quali dipenderanno, in futuro, la pace e la democrazia nel Mediterraneo e nei Balcani. Su questo terreno, l’iniziativa del Governo, nel corso di questi dodici mesi, è stata particolarmente intensa.

Siamo stati sottoposti a sollecitazioni e responsabilità che hanno rappresentato un banco di prova per ciascuno di noi e per l’insieme di una nuova classe dirigente.

La guerra in Kosovo, la presenza di truppe e volontari italiani sulla linea del fronte - tanto in campo militare che sul piano dell’intervento e dell’assistenza umanitaria - testimoniano del ruolo che spetta oggi ad un Paese chiamato, per vocazione e storia, a svolgere un ruolo di ponte, di cerniera, tra i valori della civiltà europea e la difficile transizione alla democrazia di una parte importante dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

La seconda espressione che identifica la nostra iniziativa è libertà. Non certo nel senso di chi vuole detenere la paternità o il controllo esclusivo di un valore universale per eccellenza. Ma come principio guida di una politica che si rivolga
all’individuo e alle sue legittime aspettative di vita.

La libertà, dunque, di formare una famiglia e crescere serenamente i figli; trovare un’occupazione misurando le proprie capacità e competenze; avviare un’impresa dove sviluppare il proprio talento;provvedere a se stessi e alle persone care in
condizioni di assistenza e tutela più garantite laddove più fragili sono le condizioni economiche e sociali dichi ha bisogno.

Questa idea di libertà - che non è, come evidente, libertà di prevalere sugli altri o annullare i diritti di quanti hanno di meno - può trovare, anche in una società e in un’economia complesse, forme e modalità per affermarsi. È ciò che abbiamo cercato di fare.

Si provi, quindi, a leggere queste pagine dedicando particolare attenzione ai provvedimenti che il Governo ha varato in favore della famiglia. Si scoprirà che l’assegno di maternità non è più limitato alle sole lavoratrici ma è un diritto di tutte le donne italiane, o che, dopo anni di tagli e sacrifici dolorosi, siamo tornati ad investire risorse pubbliche negli asili nido, nell’assistenza agli anziani e ai portatori di
handicap, nella tutela sociale delle fasce di popolazione più deboli.

E poi si cerchino le parti dedicate alla riforma del sistema fiscale. Non si tratta di un balzo logico così brusco come può sembrare a prima vista. Vi si troverà conferma delle tasse abolite - cioè, imposte che non esistono già più - e della semplificazione delle procedure amministrative per piccoli imprenditori, per artigiani e commercianti. Si troverà conferma del fatto che, per la prima volta da un decennio a questa parte, l’incidenza della pressione fiscale sulla manovra di bilancio è
catalogata sotto un segno meno; nessuna nuova tassa, dunque, ma, viceversa, una riduzione della pressione complessiva per i cittadini, le famiglie e le imprese pari a 10.300 miliardi.

È il risultato di uno sforzo di razionalizzazione della spesa, di un’amministrazione finalmente più efficiente e moderna, ma è soprattutto un traguardo - parziale certo, eppure incoraggiante - che libera energie, risorse, investimenti e - come spero -
propensione al rischio, alla libertà d’intraprendere in un Paese che, finalmente, non considera quanti creano ricchezza e lavoro degli avversari da tartassare, ma degli alleati da sostenere.

La terza parola chiave del nostro lavoro è sicurezza. Anche in questo caso, non per “inseguire” il tema del momento. Un mese fa, dinanzi ad una platea di prefetti, questori e tutori dell’ordine pubblico, avevo sostenuto che l’Italia non è il far west.

Ne seguirono commenti e polemiche. Posso, oggi, serenamente confermare quel giudizio. Il nostro Paese possiede gli strumenti e le professionalità necessarie a prevenire, limitare e reprimere la delinquenza organizzata e quella criminalità diffusa che tanto angoscia milioni di nostri concittadini.

Del resto, su questo terreno, molti provvedimenti sono stati assunti (da un controllo più rigoroso nell’applicazione delle pene ad un più efficace coordinamento delle forze di polizia) ed altri saranno rapidamente introdotti (il braccialetto elettronico,
solo per citare un esempio).

Il punto è che l’idea di sicurezza - la nozione di sicurezza - in un Paese avanzato e moderno non può coincidere soltanto ed esclusivamente con la sacrosanta esigenza da parte dei cittadini di sentirsi fisicamente protetti. Questo è giusto, è importante,
ma non basta.

La sicurezza coincide sempre più con il rispetto, la tutela e la valorizzazione della persona lungo tutte le stagioni della sua esistenza, dalla prima infanzia alla
vecchiaia.

Sicura, dunque, è una società che offre servizi qualificati, un’istruzione moderna, opportunità di accesso al mercato del lavoro, protezione e accompagnamento a quegli individui che, per ragioni diverse, si trovano costretti, in età adulta, a lasciare
la vecchia occupazione cercandone una nuova e sconosciuta. Sicura, oltre che illuminata, è una società che considera gli anziani una risorsa e non un
peso, e dunque ne valorizza l’esperienza, la sensibilità, quella crescente disponibilità di tempo che tante volte coincide con il desiderio di sentirsi ancora “utili” e apprezzati. Queste sono le ragioni di buon senso che, nel corso di quest’ultimo anno,
abbiamo posto al centro della nostra attività.

Ora, per quanto ci riguarda, il cammino deve proseguire. Deve, soprattutto, consolidarsi quel messaggio di speranza - la scelta di investire le migliori risorse del Paese sul nostro futuro comune - che ha guidato, dall’aprile del 1996 ad oggi, la
strategia e le scelte dell’Ulivo e del centrosinistra.

Poi - come ho detto - saranno i cittadini a pronunciarsi, e lo faranno, come sempre, in piena libertà e con la giusta responsabilità.

Mi auguro che lo faranno potendo giudicare, nel nostro caso, non solo e non tanto un programma costellato di buone intenzioni, ma un corpo di riforme e di atti che - questo è stato l’imperativo di fondo del nostro agire - avranno cambiato il volto del nostro Paese in meglio.

Massimo D'Alema

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