Discorso
15 novembre 2007

Sessione conclusiva del XX Congresso Mondiale dell'Energia


E' un onore avere la possibilità di intervenire a conclusione dei lavori del Congresso Mondiale dell’Energia.
E del resto è un privilegio per l’intero Paese avere potuto ospitare la ventesima edizione di questo Congresso, una prima assoluta per l’Italia. Tengo a questo proposito esprimere un sincero apprezzamento per la qualità davvero eccellente del lavoro svolto. Credo che gli incontri di questi giorni siano serviti a mettere in evidenza una volta di più il carattere globale e la natura interdipendente delle questioni connesse con l’approvvigionamento energetico.

All’interdipendenza in materia energetica pochi Paesi sono sensibili come l’Italia, il cui fabbisogno dipende per circa il 90% dalle importazioni dal resto del mondo. E poche questioni occupano un ruolo centrale nell’agenda politica globale come quella della sicurezza degli approvvigionamenti energetici, assieme a quella della gestione dei cambiamenti climatici – due questioni ormai inscindibili, due facce di una stessa medaglia che ha rilievo assolutamente prioritario nelle relazioni internazionali.

Non è un caso che proprio queste tematiche siano state al centro degli appuntamenti internazionali di maggior rilievo del 2007 – da quelli già svolti, come il Vertice G8 di Heiligendamm, a quelli che abbiamo alle porte, come la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima di Bali. E lo straordinario interesse che l’argomento suscita mi sembra rispecchiato anche dall’elevato livello istituzionale delle delegazioni intervenute al Congresso accanto ai vertici delle principali imprese energetiche mondiali, ed ai più qualificati esperti del settore.

L’interesse che quest’argomento desta è più che giustificato dal suo effettivo rilievo. Se c’è un tema che esemplifica la natura interconnessa ed interdipendente delle grandi sfide globali che le società e le economie di oggi si trovano ad affrontare è proprio quello dell’energia e dell’ambiente. Questo tema per la sua natura sollecita una risposta corale e decisa della comunità internazionale; la difficolta’ di elaborare una risposta adeguata dipende non solo dalla oggettiva complessita’ della questione ma anche, devo aggiungere con franchezza, dai limiti del modello di governance esistente su scala globale.

L’approvvigionamento di fonti energetiche e la qualità della biosfera non rappresentano variabili indipendenti nell’equazione mondiale dello sviluppo: ma di questa equazione essi rappresentano un fattore centrale e determinante. L’interrelazione tra le dinamiche della domanda globale, la domanda di energia e l’emissione di gas inquinanti; il nesso tra il mercato delle fonti energetiche e la distribuzione della ricchezza su scala globale – secondo stime attendibili, la recente impennata dei prezzi degli idrocarburi ha comportato la redistribuzione, a beneficio dei Paesi produttori, di oltre l’1% del PIL globale; i rapporti tra sviluppo di fonti rinnovabili e negoziati sul commercio internazionale (in particolare per quanto riguarda l’apertura dei mercati ai prodotti agricoli suscettibili di utilizzo come biocombustibili), su cui ha riferito prima di me il Direttore Generale dell’OMC Pascal Lamy; le implicazioni delle questioni energetico-ambientali sulla stabilità non solo globale ma anche interna ai singoli Paesi – accanto agli scenari allarmanti ma tutt’altro che irrealistici illustrati poco fa dal Presidente dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, come pure alle proiezioni elaborate dal World Energy Outlook presentato in questi giorni dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, conviene avere presente la circostanza sintomatica che i recenti moti di protesta in Birmania hanno avuto come causa scatenante anche una decisione del governo birmano di aumentare il prezzo dei combustibili.

Gli esempi che ho riportato sono altrettante dimostrazioni eloquenti, e nient’affatto esaustive, che la questione energetico-ambientale è per molti versi “la” questione dei nostri tempi (e ancor più, con ogni probabilità, di quelli che seguiranno).

Dinanzi ad una sfida di tale portata e complessità la ricerca di soluzioni condivise su scala globale è una opzione obbligata. Lo è a maggior ragione per un Paese come l’Italia, che ha da tempo dovuto accantonare anche in quest’ambito ogni velleita’ di autosufficienza (ammesso che ne abbia mai coltivate); ma nessun Paese o area geografica potrebbe illudersi di contare esclusivamente sulle proprie forze: perché una risposta efficace a questa sfida deve poter comportare una mobilitazione della comunità internazionale nel suo complesso.

Per l’Italia, ma non solo per l’Italia, la dimensione energetico-ambientale è dunque componente fondamentale e prioritaria della politica estera, come puo’ esserlo una dimensione che tocca gli interessi vitali del Paese. In coerenza con la vocazione profonda della nostra visione delle relazioni internazionali, il nostro approccio alla questione passa attraverso il rafforzamento della cooperazione multilaterale, e l’approfondimento di un concetto basilare, quello di un partenariato organico tra produttori e consumatori.

Crediamo innanzitutto che il rapporto con i Paesi emergenti – sempre più destinati, secondo le stime rese note dall’AIE, ad un ruolo di protagonisti della scena globale che comunque di fatto già occupano – vada posto nella giusta prospettiva. Che non puo’ essere quella di un antagonismo serrato, di una corsa competitiva all’accaparramento di fonti di energia sempre più limitate che rischierebbe di vedere pochi vincitori e molti, se non tutti, sconfitti.

Come ha opportunamente ammonito il Presidente Prodi nel suo intervento di apertura, chiedere a Cina e India, così come alle altre grandi economie emergenti, di arrestare il proprio sviluppo per permettere di rimediare agli squilibri di cui altri portano la principale responsabilità è moralmente inaccettabile; è economicamente controproducente; è politicamente insostenibile.

I Paesi emergenti rappresentano indubbiamente una parte del problema (allo stato attuale, è bene ricordarlo e bene a fatto l’AIE a ricordarcelo, una parte pur sempre inferiore rispetto a quella che portano su di sé i Paesi industrializzati); ma sono anche e prima di tutto una parte essenziale della sua soluzione; soprattutto, con il loro contributo possono concorrere in modo determinante alla nostra sicurezza, alla nostra competitività ed ai nostri stessi impegni contro il cambiamento climatico.

La sicurezza energetica – così come le altre priorità della politica energetica - non può essere prerogativa o obiettivo di un singolo Paese. Il principio della indivisibilità della sicurezza energetica riguarda sicuramente tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, pur nel rispetto delle scelte nazionali in materia di mix di combustibili, e presuppone un nuovo rapporto fra fornitori e consumatori.

E’ sempre più evidente l’inadeguatezza di un approccio che circoscriva i rapporti tra Paesi consumatori e produttori di energia alla dimensione commerciale della compravendita di risorse. Gli stessi Paesi detentori di fonti fossili di energia rifiutano di contemplare un futuro fondato su un’unica risorsa e richiedono, giustamente, di ampliare le loro prospettive ed opzioni a medio e lungo termine. In sostanza, occorre perseguire l’evoluzione dei rapporti tra Paesi produttori e Paesi consumatori verso forme più strutturate di interdipendenza, che trascendano la logica del mero scambio: perché, in una prospettiva più ampia, quella di un partenariato per l’appunto, il mercato e la tecnologia avanzata dei Paesi consumatori sono indispensabili all’economia dei Paesi fornitori – tanto più in un contesto di crescente difficoltà da parte dei fornitori a tenere il passo della domanda globale e nella prospettiva futura che vedrà la ricerca di maggiore efficienza e l’investimento nelle tecnologie d’avanguardia sempre più al centro delle politiche energetiche globali - almeno quanto la disponibilità delle fonti di energia lo sono per i primi.

Si situano proprio in quest’ottica gli accordi sottoscritti nell’ultimo anno dalle aziende italiane del settore – dalla Russia all’Algeria: proprio ieri abbiamo perfezionato con quest’ultima un importante accordo per la realizzazione di un nuovo gasdotto. Sono accordi che non si limitano alla mera fornitura di energia; essi prefigurano un accesso graduale ai rispettivi mercati anche in termini di investimenti e si accompagnano ad un ampliamento delle relazioni in campo economico, industriale e tecnologico: una dottrina che potrebbe fungere da modello “pionieristico” di collaborazione anche per altri Paesi.

A questo stesso approccio auspicheremmo infatti che possano essere informate anche le politiche di settore dell’Unione Europea, che costituisce il primo cerchio dell’azione esterna dell’Italia ed una dimensione imprescindibile per la sua efficacia. Certo, precondizione di una politica energetica comune è la creazione di un unico mercato continentale con regole condivise da tutti per porre rimedio alla rigidità e frammentarietà dei sistemi nazionali. A tal fine occorre realizzare urgentemente una piena interconnessione su scala europea delle reti elettriche e del gas, anche facendo ricorso alle risorse previste nei programmi europei T.E.N. e promuovendo un coordinamento più efficace nella gestione delle reti. Ciò determinerebbe chiari benefici sui prezzi al consumo per famiglie ed imprese, e contribuirebbe a prevenire il ripetersi di blackout in occasione di avvenimenti imprevisti. In tale contesto, la recente proposta di terza Direttiva europea sulle liberalizzazioni contiene importanti novità.

Nella realtà però assistiamo ancora ad approcci non coordinati, mentre sarebbe necessaria una maggiore coesione fra le politiche europee e grandi Paesi produttori (istruttivo, al riguardo, l’esempio della Russia), in un contesto in cui gli equilibri tradizionali fra consumatori e produttori tendono a spostarsi verso questi ultimi e la posizione dominante di questi ultimi è destinata ad accentuarsi ulteriormente con il crescere della domanda da parte dei Paesi emergenti.

Ma la politica comune deve anche essere in grado di indicare le linee-guida per una efficace azione esterna nelle questioni energetiche e climatiche, facendo leva sull’esigenza – come ho già detto – di instaurare rapporti di partenariato con i Paesi produttori, ma anche con quelli di transito, così come con quelli a forte crescita di consumi energetici.

Specialmente nell’energia, il confine fra politiche interne ed esterne dell’Unione è sempre più sottile. I Governi e la Commissione Europea dovranno assicurare la massima coerenza nelle due dimensioni – così come negli ambiti ad esse collegati, dalla tutela della concorrenza alla politica commerciale - per conseguire gli obiettivi che ci poniamo.

Il problema della diversificazione dei fornitori e del riequilibrio delle fonti primarie non puo’ essere messo da parte. Da alcuni anni l’Europa registra una crescente dipendenza da una unica fonte, il gas naturale (l’Italia in particolare vi è esposta in misura particolarmente rilevante, per oltre il 50%): una dinamica che non è sostenibile nel lungo termine, soprattutto se si considera che questa materia prima viene importata da pochissimi Paesi.

Un primo passo in direzione dell’auspicato riequilibrio è costituito da un consolidamento dei rapporti con i partners produttori – fondato su condizioni di vera reciprocità. In parallelo, è opportuno ricercare percorsi nuovi – e possibilmente alternativi a quelli oggi più sfruttati - per il transito degli idrocarburi dalle aree di produzione verso il nostro paese e l’Europa. Da questo punto di vista la Turchia riveste un ruolo fondamentale per l’Unione Europea, in quanto snodo strategico per il transito delle risorse energetiche. Una strategia europea di promozione di investimenti in tali infrastrutture, la cui realizzazione richiede ingenti risorse finanziarie e tempi non brevi, è urgente oltre che ineludibile.

Il Mediterraneo deve essere un’altra area di interesse prioritario per l’Europa, tanto più in ragione dei segnali di crescente dinamismo e domanda di collaborazione che ci giungono dai Paesi della sponda Sud, anche nel settore energetico. In realtà, tutta l’area che congiunge l’Europa ai Paesi dell’Asia centrale è una via di crescente importanza strategica per i rifornimenti energetici dell’Italia e dell’Europa. Anche per questa ragione – sicurezza energetica – è importante completare l’allargamento a sud-est dell’Unione Europea.

Proprio l’esempio che ho appena fatto – dei risvolti di sicurezza energetica dell’allargamento dell’Unione Europea - ci dimostra come quello della sicurezza energetica ed ambientale sia un filo conduttore che attraversa tutte le questioni di maggior rilievo della politica internazionale.

E del resto alle priorità che secondo un giudizio abbastanza diffuso devono costituire i pilastri della futura politica dell’Europa in campo energetico-ambientale corrispondono altrettanti imperativi della cooperazione internazionale in materia.

Mi riferisco

- alla priorità del risparmio e dell’efficienza energetica, dove ci è stato dimostrato in questi giorni come possano essere conseguiti avanzamenti ragguardevoli a costi relativamente contenuti (basti pensare che se tutti gli autoveicoli dei Paesi industrializzati si adeguassero ai più avanzati standard di consumo di carburante si otterrebbe un risparmio su base giornaliera pari all’intera produzione dell’Arabia Saudita!);

- alla diversificazione del mix energetico: per cui l’incremento della quota di fonti rinnovabili, sulla scia dei traguardi ambiziosi fissati dal Consiglio Europeo nel marzo scorso (almeno 20% di energie rinnovabili nel mix di ogni Paese europeo entro il 2020), costituirà un passo in avanti fondamentale, ma non l’unico – perché una strategia di diversificazione rinnegherebbe se stessa se escludesse a priori opzioni potenzialmente suscettibili di contribuire in positivo alle prospettive di sicurezza energetico-ambientale (in questo senso desidero menzionare gli accordi di collaborazione energetica con gli Stati Uniti che il Ministro Bersani ha siglato l’altro ieri, proiettati su fonti innovative ed eco-compatibili quali il nucleare di quarta generazione, il carbone pulito, l’idrogeno e le bioenergie);

- alla ricerca e all’innovazione in nuove tecnologie, indispensabile a conseguire quegli avanzamenti in assenza dei quali l’equazione di uno sviluppo sicuro sotto il profilo dell’approvvigionamento energetico e sostenibile sotto il profilo della compatibilità ambientale si rivelerebbe insolubile.

È innegabile che su questo fronte l’Europa abbia dato un buon esempio con gli impegni assunti a marzo 2007 in materia di fonti rinnovabili, efficienza energetica e riduzione dei gas serra. Ma il ruolo di leadership che l’Europa ha – meritoriamente, non vi è ombra di dubbio – scelto di assumere in un settore cruciale per gli equilibri globali va misurato non solo dalla sua capacità di offrire il buon esempio, ma anche, se non soprattutto, dalla capacità di essere seguita: che il suo esempio faccia proseliti.

A questo proposito mi sembra utile richiamare un dato delle proiezioni del World Energy Outlook presentato in occasione di questo Congresso. Nello scenario virtuoso detto “450 Stabilisation Case”, di contenimento delle emissioni di gas serra nella misura più elevata raccomandata dall’IPCC per il 2030, la maggior parte dell’onere di adottare le misure corrispondenti (in termini di Carbon Sequestration and Storage; di espansione delle fonti rinnovabili e del nucleare pulito; di efficienza e risparmio energetico) ricadrà essenzialmente su tre players: Stati Uniti, Cina e India, cui spetterebbe di contribuirvi per oltre la metà.

Questo dato ci rammenta due verità di fondo che debbono costituire punti di riferimento costanti delle iniziative europee in materia: il primo, la cooperazione energetica e ambientale rappresenta un terreno privilegiato su cui Europa e Stati Uniti possono e debbono rilanciare la loro collaborazione; il secondo, tutte le iniziative dei Paesi industrializzati, per quanto animate dalle migliori intenzioni, sono destinate a restare lettera morta se non riusciranno a coinvolgere e a corresponsabilizzare – in modo ragionevole e flessibile, s’intende – le economie dei Paesi emergenti, in particolare Cina e India condotte dal loro portentoso sviluppo verso posizioni di primato nel campo non solo della produzione di ricchezza ma anche del consumo di risorse energetiche e del contributo al riscaldamento globale.

Nella visione dell’Italia, la prospettiva dovrebbe essere quella di applicare su scala globale quella logica di partenariato organico alla quale accennavo in precedenza. Questo partenariato globale potrebbe sostanziarsi in un patto tra Paesi produttori e Paesi consumatori, da un lato, e tra vecchi e nuovi Paesi consumatori, con reciproci impegni di medio termine, tesi ad assicurare, da parte dei Paesi produttori, la sicurezza delle forniture a prezzi ragionevoli, e da parte dei Paesi consumatori il sostegno allo sviluppo e alla diffusione di nuove tecnologie per la produzione di energia e per l’uso efficiente dell’energia.

La credibilità di una proposta del genere dovrebbe, ritengo, poggiare su alcuni punti fermi: in primo luogo, l’impegno dei Paesi consumatori a fare da “apripista” per lo sviluppo e il crescente uso di queste opzioni.

Va da sé che impegni di tale portata difficilmente potrebbero essere assunti sulla base di impulsi meramente volontaristici, convenuti nel contesto di estemporanee coalitions of the willing. È evidente che c’è bisogno di una cornice anche istituzionale di sistematicità: ed è altrettanto evidente che il quadro istituzionale esistente della governance multilaterale risulta ancora inadeguato rispetto all’esigenza di coinvolgimento e corresponsabilizzazione delle realtà emergenti.

Quello delle Nazioni Unite resta un riferimento obbligato e, per molti versi, insostituibile. La Conferenza di Bali del mese prossimo, per la definizione di un “nuovo ordine ambientale” post-Kyoto, costituirà un primo banco di prova indicativo della capacità di Europa e Stati Uniti sia di dialogare in maniera concorde tra loro su temi sui quali motivi di disaccordo erano sinora prevalsi sia di catalizzare un impegno convergente, e commisurato alle loro capacità, da parte delle economie emergenti.

Un esito positivo di questo appuntamento di fondamentale importanza per la comunità internazionale, a dieci anni di distanza dalle laceranti divisioni registrate a Kyoto, sarebbe il contributo più efficace ad una maggiore sicurezza energetica e la risposta migliore ai moniti allarmanti ma salutari lanciati dalla comunità scientifica, in particolare con i rapporti IPCC, sui rischi di riscaldamento globale.

Ma un contributo fondamentale di impulso in questa stessa direzione deve venire anche da altri fori. Penso soprattutto al G8, le cui iniziative hanno fatto registrare avanzamenti tangibili anche in materia energetico-ambientale (da ultimo, in occasione del Vertice di Heiligendamm), coinvolgendo anche alcuni dei principali Paesi emergenti nell’ambito del processo di outreach avviato a suo tempo su impulso dell’Italia.

Occorre un salto di qualità. Occorre prendere in esame seriamente una riforma del G8 che passi innanzitutto attraverso una progressiva espansione della membership del Gruppo, in modo da accrescerne non solo la rappresentatività ma soprattutto la capacità di portare a compimento con successo le sue core missions, in primis la gestione delle questioni energetico-ambientali. A mio avviso va seriamente considerata la prospettiva di una partecipazione di aree rimaste sinora sottorappresentate: l’Asia innanzitutto, ma anche l’Africa e il mondo arabo, e lo stesso continente americano. Sulla base di questa piattaforma l’Italia sta preparando la sua Presidenza di turno dell’Organizzazione nel 2009.

Risultati apprezzabili in una sfida complessa come quella che abbiamo dinanzi non sono concepibili se non in una prospettiva di lungo periodo. Ma le iniziative mirate a produrli vanno avviate subito: la comunità internazionale non puo’ concedersi il lusso di prendere altro tempo, e nemmeno di dividersi come è accaduto sinora. Gli incontri di questi giorni sono serviti a mettere in evidenza che i prossimi anni saranno decisivi; c’è molto, moltissimo da fare; e hanno anche registrato un consenso diffuso tra i vari partecipanti - un consenso incoraggiante - sulle cose da fare.

Bisogna quindi passare rapidamente all’azione. L’International Energy Forum in programma a Roma nella primavera dell’anno prossimo, un altro importante appuntamento per il quale auspico una partecipazione altrettanto qualificata di quella registrata in questa circostanza, offrirà l’occasione di una prima valutazione dei progressi compiuti. E mi piace chiudere con l’augurio che la prossima edizione del World Energy Congress, in programma a Montreal fra tre anni, possa individuare nel 2007 un anno sì critico, ma anche di avvio di un processo virtuoso verso il raggiungimento di traguardi di importanza cruciale per il futuro dell’umanità.

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