Intervista
17 luglio 2008

SULLE RIFORME SERVE UN COLPO DI RENI<br>

intervista di Maria Teresa Meli - Corriere della Sera


91021934_img.jpg
ROMA— Onorevole D’Alema, lei ripropone il sistema elettorale tedesco e tutti pensano male. Un sistema contro Veltroni?

«Innanzitutto non sono io: sono 15 istituzioni e fondazioni culturali, con il concorso di prestigiosi giuristi e costituzionalisti, tra cui tre ex presidenti della Corte, che hanno elaborato una proposta organica di riforma della legge elettorale e della forma di governo, allo scopo di disegnare un assetto più efficiente e democratico per le nostre istituzioni. È ridicolo che tutto questo venga letto nella chiave di un conflitto D’Alema- Veltroni».

Dicono che lei usi la riforma ai fini congressuali...
«Non ci sarà alcun congresso né alcuna resa dei conti, ma una conferenza programmatica per mettere a punto le nostre proposte ed è esattamente a questa riflessione che io cerco di dare un contributo».

Fatto sta che il Pd non si è schierato per il tedesco.
«Noi non abbiamo scelto un sistema. Abbiamo sempre detto che preferiremmo il sistema francese a doppio turno, ma sappiamo anche che in Italia nessuno lo sostiene. Il francese è una posizione di scuola».

Anche il tedesco.
«Non è così. Nella scorsa legislatura abbiamo partecipato a un confronto parlamentare sulla base di proposte di tipo proporzionale a partire dal modello tedesco o dal modello spagnolo: non mi pare che ci siano diversità tali da giustificare una guerra di religione».

A Forza Italia non piace...
«Quel che noi abbiamo proposto ha trovato il consenso di tutte le forze di opposizione: è una proposta condivisa dalla sinistra e dall’Udc, e accettata da Di Pietro. Se è vero che è venuta una reazione negativa da parte di Cicchitto, è anche vero che la Lega ha detto: "Noi non siamo contrari". Allo stato delle cose nessuna proposta è condivisa in modo prevalente, ma il tedesco è quello che ha il maggior numero di consensi o di accettazioni. Potrebbe essere veramente la riforma che alla fine si fa».

Sicuro che il tedesco non serva a destabilizzare il Pd?
«La verità è l’opposto. Del resto, il 24 febbraio del 2007, quando non c’era il Pd e Veltroni non era il leader, io feci una lunga intervista per spiegare perché il sistema tedesco poteva essere un modo per portare a compimento la transizione italiana. Quindi pensare che io lo abbia tirato fuori adesso strumentalmente per dare fastidio a Veltroni è evidentemente falso».

Insomma, non sta pugnalando alle spalle il segretario?
«Non ho alcun interesse a mettere in discussione la leadership di Veltroni, né sono candidato a nessuna leadership. Non pugnalo alle spalle: posso apparire spigoloso ma sono diretto e leale: se pensassi che ci deve essere un cambio di gruppo dirigente e di leadership lo direi innanzitutto al diretto interessato. Ma non è questo il problema, abbiamo semmai il bisogno di rafforzare la leadership, di coinvolgere più persone rispetto al rischio di un certo restringimento...».

Tornando al tedesco, nel Pd c’è chi ha storto il naso.
«Il Pd deciderà quel che deve fare nelle sedi proprie, le fondazioni culturali non sono un partito ma servono per approfondire i problemi e mettere la politica in contatto con ilmondo della cultura e con la società civile: guai se un partito come il Pd non interloquisse in modo aperto con questa proposta. E non mi riferisco a Veltroni che comunque ha interloquito, e non in modo negativo ».

Be’, questo lo dice lei...
«No, è quello è quello abbiamo ascoltato al convegno di lunedì».

Il tedesco non dispiace alla sinistra. Come sono ora i rapporti con Rifondazione?
«Vedo che stanno discutendo e spero che escano da questa riflessione critica e autocritica rinnovandosi e mettendo in campo una proposta politica compatibile con una prospettiva di governo».

Ferrero non sembra volere questa prospettiva, mentre Vendola non la esclude.
«Non voglio entrare nel merito della loro discussione ma auspico che si possa riaprire un dialogo tra la sinistra e i riformisti. Tra di loro ci sono alcuni che lo vogliono fare, vedremo chi prevarrà...».

Ma questa riforma, secondo lei, aiuta il dialogo con il centrodestra? E questo dialogo è poi tanto necessario?
«La parola dialogo è foriera di equivoci. Il problema è che noi siamo in Parlamento e dobbiamo confrontarci per trovare soluzioni ai problemi del Paese. E la legge elettorale è un problema: è un sistema cattivo, incostituzionale e oggetto di un referendum popolare, perciò va cambiata. Quindi non si tratta di volere l’inciucio. Facciamo un esempio che non riguarda il centrosinistra: il federalismo fa parte del programma di governo, ma mica si può pensare di innestarlo su questo sistema, senza che prima sia stato fatto un riordino completo del sistema istituzionale ed elettorale. Che ci si confronti su questi problemi è la normalità della vita democratica. Non so se si raggiungerà un accordo, perché questo non dipenderà solo da noi. Ma se Berlusconi dovesse impedirlo si assumerebbe un’ulteriore, grave, responsabilità di fronte al Paese».

C’è chi sostiene: «Si dice tedesco perché si pensa alla grande coalizione»...
«La grande coalizione è una scelta politica che si può realizzare con qualsiasi sistema elettorale. Comunque oggi in Italia non ci sono le condizioni per una coalizione di questo tipo, anzitutto per responsabilità della destra e delle sue scelte per il governo del Paese. Anziché fantasticare sulle grandi coalizioni sarebbe necessario cercare di trovare un accordo per le riforme indispensabili al Paese».

Il tentativo di riformare il sistema istituzionale ed elettorale va avanti da anni senza risultati.
«Il fatto è che l’enormità della crisi del Paese viene sottovalutata. O noi usciamo con un colpo di reni da questa situazione, creando le condizioni, sia pure nella diversità dei ruoli, per dare risposte e dimostrare che siamo in grado di tirare l’Italia fuori da una fase drammatica, o rischiamo alla fine di pagare tutti un prezzo. La destra si illude se pensa che ci sarà solo la crisi della sinistra e la sinistra si illude se pensa che ci sarà soltanto la crisi della destra. Lo ripeto da tempo: siamo di fronte a una crisi ben più profonda e complessiva del sistema politico. L’Italia sta male e vede che la politica è incapace di accordarsi per trovare soluzioni utili: se andiamo avanti così la gente reagirà mandandoci tutti a quel paese. Ci si adopera più a distruggere quel che propongono gli altri che a cercare prospettive su cui ci può essere una ragionevole convergenza, come è giusto fare in una situazione come questa».

Fa la Cassandra, onorevole D’Alema?
«Voglio mettere in guardia dal rischio di far fallire di nuovo un disegno di riforma costituzionale ed elettorale perché questo darebbe veramente il senso dell’impotenza del sistema politico. E siccome stavolta ci misuriamo con una crisi economica e sociale molto grave, come dimostra anche l’analisi di Bankitalia, questo fallimento potrebbe avere effetti molto pesanti nel rapporto tra cittadini e istituzioni. Tant’è che vedo il calo della popolarità di Berlusconi nei sondaggi, che potrebbe farmi contento in quanto esponente dell’opposizione, come un ulteriore elemento di scollamento del Paese, perché alla fine la gente dirà: «La sinistra non ce l’ha fatta, Berlusconi pensa agli affari suoi»... Il rischio è che si determini veramente una frattura nel rapporto tra cittadini e sistema politico».

Nel frattempo il Pd torna ad agitare la questione morale proprio quando esplode il caso Del Turco.
«Per quanto riguarda le concrete vicende giudiziarie, come lei sa, sono garantista e nello stesso tempo rispettoso della magistratura e del suo lavoro. Tuttavia è evidente che questi scandali, in particolare quando toccano il sistema sanitario, creano un grande e comprensibile turbamento tra i cittadini e un grande allarme sociale. Anche in questo caso è la politica che deve tornare a dare delle risposte, mettendo mano a tutto il meccanismo del rapporto tra il pubblico e il privato nel sistema sanitario. Altrimenti, poi, non ci si lamenti della pervasività del potere giudiziario».
Maria Teresa Meli

stampa