Discorso
10 dicembre 2009

“Don Luigi Sturzo: attualità di un cattolico in politica” – Sintesi dell’intervento di Massimo D’Alema pubblicato dalla rivista “Formiche”, numero 44, gennaio 2010

Convegno alla Lusma con il Segretario di Stato, cardinale Tarciso Bertone, e il capogruppo alla Camera della Lega Nord, Roberto Cota


Ricordiamo la figura di don Luigi Sturzo e insieme riflettiamo sul senso della partecipazione dei cattolici all’impegno politico oggi.
Innanzitutto credo che occorre sottolineare il valore storico dell’esperienza di Sturzo nella organizzazione della presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana attraverso la fondazione del Partito Popolare. Proprio Gabriele De Rosa, recentemente scomparso, ci ha ricordato come la nascita del Partito Popolare nel 1919 fu accompagnata da un generale scetticismo e sottovalutazione.
Rispetto a questo coro, colpisce il giudizio che Antonio Gramsci, in un articolo pubblicato sull’ “Avanti!”, dette allora sulla nascita del Partito Popolare. Egli scrisse che «il costituirsi dei cattolici in partito politico è il fatto più grande della storia italiana dopo il Risorgimento». Considerò questo evento come fondamentale al fine di dare una base popolare più ampia allo Stato unitario.
In particolare Gramsci considerava la funzione del partito dei cattolici fondamentale al fine di coinvolgere il mondo contadino che rappresentava l’80% dell’Italia di allora. E si deve ancora a Gramsci la considerazione secondo cui allo sviluppo del nuovo Stato italiano era mancata la collaborazione dello spirito religioso e della gerarchia ecclesiastica, la sola che potesse accostarsi alle innumerevoli coscienze individuali di un popolo arretrato che egli vedeva ancora percorso da spirito irrazionale.
Sturzo rappresenta la scelta di quei cattolici liberali, e poi democratici, i quali non pretesero di rappresentare la cattolicità italiana nel suo insieme, ma quella parte che sposò i valori religiosi con i valori della democrazia e con il rifiuto del fascismo, che altri cattolici sostennero. Egli escludeva che il Partito Popolare fosse il partito cattolico. Colpisce ancora l'attualità della sua considerazione secondo la quale “partito” e “cattolico” sono due termini antitetici. Il cattolicesimo è religione, universalità. Il partito è divisione, parte.
Nel primo congresso del partito popolare, nel 1919, affermò: «Noi abbiamo escluso che la nostra insegna politica fosse la religione. Abbiamo voluto metterci sul terreno specifico di un partito che ha per oggetto diretto la vita pubblica della nazione». Anche se naturalmente egli aggiungeva «cerchiamo nella religione lo spirito vivificatore di tutta la vita individuale e collettiva». «Non abbiamo il diritto di parlare in nome della Chiesa», si legge nella relazione fondativa del Partito Popolare. E sono parole di Luigi Sturzo.
La questione cruciale del rapporto tra ispirazione religiosa e laicità della politica – tutt’oggi di grande attualità - troverà poi, nella ispirazione degasperiana, una sua definizione più compiuta: “un partito dei cattolici” e non “il partito dei cattolici”, ma neanche “un partito di cattolici fra tanti”.
La Democrazia Cristiana rispetto al Partito Popolare poté coltivare l'ambizione di essere il partito nel quale si costruiva l'unità politica dei cattolici ma non come scelta dogmatica bensì come condizione storica legata da una parte alla caduta del fascismo e dall'altra parte alla divisione del mondo in due blocchi.
La presenza del comunismo spinse i cattolici, pure di diversi orientamenti politici, ad unirsi sotto le insegne di un solo grande partito.
Non stupisce che la fine di quelle condizioni storiche che favorirono l'unità delle forze fondamentali del cattolicesimo politico nella Democrazia Cristiana abbia portato ad una diaspora dei cattolici in questa ultima fase della storia repubblicana. Senza tuttavia che questa diaspora politica dei cattolici abbia, a mio giudizio, ridotto l'influenza dell'ispirazione cattolica nella vita pubblica italiana.
Riflettere sulla grande esperienza storica del cattolicesimo politico è tanto più utile nel momento in cui, anche grazie alla grande autorevolezza del Papa, si chiamano i cattolici ad un rinnovato impegno nella vita pubblica, nella vita politica.
C’è una rinascita religiosa che è anche la risposta a quel vuoto di valori e a quel dominio dell'economia sulla persona che ha caratterizzato il ventennio che ci separa dalla caduta del muro di Berlino.
Che la fine della storia e il trionfo di un modello unico del capitalismo occidentale riempissero di senso la vita delle persone si è rivelata una illusione. La grande crisi che viviamo è anche il segno che quel modello senza regole, senza giustizia sociale, non ha condotto neppure a quel benessere che pure era stato promesso.
La rinascita religiosa avviene nel quadro di questa crisi, assume forme diverse e, a mio avviso, non è riducibile unicamente alle tematiche della vita e della famiglia a cui talora si riconduce il senso della presenza dei cattolici nella vita pubblica.
D’altra parte, anche su queste tematiche vale la pena di ricordare ciò che disse l’allora cardinale Ratzinger nel suo dialogo con Habermas: «se lo Stato accetta il fondamento religioso perde il suo carattere pluralistico, così sia lo Stato che la Chiesa perdono se stessi».
Non si può ridurre il rapporto tra fede e politica alla visione di chi ritiene che spetta alla Chiesa identificare i valori e alla politica difenderli attraverso l’uso del potere. Questa concezione urta con il carattere pluralistico della nostra società e con la ricchezza della tradizione laica dell’impegno in politica dei cattolici.
Vorrei ricordare una frase di straordinaria raffinatezza pronunciata da Aldo Moro. All'indomani del referendum sul divorzio, al consiglio nazionale della DC disse: «settori dell'opinione pubblica sono ora ben più netti nel richiedere che nessuna forzatura sia fatta con lo strumento della legge, con l'autorità del potere, al modo comune di intendere e disciplinare in alcuni punti sensibili i rapporti umani. Di questa circostanza non si può non tenere conto perché essa tocca oramai profondamente la vita democratica del nostro Paese consigliando di realizzare la difesa di principi e dei valori cristiani al di fuori delle leggi e cioè nel vivo aperto e disponibile tessuto della nostra vita sociale».
In questa frase ci sono due principi fondamentali: il riconoscimento della laicità dello Stato, cioè che non si possono imporre leggi con la forza del potere, e allo stesso tempo lo straordinario orgoglio del cristiano impegnato nella vita politica, che testimonia i suoi valori non solo con la coerenza di vita, ben più importante dell'autorità delle leggi, ma anche con la partecipazione a quella dimensione della vita pubblica fondamentale per tutti quelli che credono nella democrazia.
Insomma, non credo a questo rapporto tra valori, di cui la Chiesa è custode, e potere al servizio della difesa di questi valori. Preferisco una laicità intesa in senso moderno, che non è la laicità del laicismo antireligioso e non può essere neppure la laicità di uno Stato neutro di fronte alle sfide della modernità (avanzata della scienza, problemi di convivenza in una società pluralistica, multietnica).
Auspico una laicità inclusiva che richiede ai cattolici di accettare la modernità, il pluralismo religioso, l'affermazione della scienza, la secolarizzazione del diritto, ma richiede a chi non è cattolico la considerazione che la comunità religiosa non è un residuo arcaico, ma anzi è una realtà vitale ricca di contenuti, di verità, degni di essere esplorati anche dai non credenti.
Questo riconoscimento di valore implica da parte di tutti la comprensione che ci possano essere modi diversi di difendere la vita. Non può esserci la divisione fra chi è per la vita e chi è contro la vita. E poi comporta la fatica di un confronto di merito, alla luce delle scoperte scientifiche, senza ripararsi dietro l’esistenza di una presunta legge di natura.
Insomma, credo che, alla domanda se c’è bisogno di un rinnovato impegno dei cattolici nella vita politica italiana, rispondo: moltissimo! Se c’è un bisogno, nella vita politica italiana, è proprio un bisogno straordinario di un rinnovato rapporto fra etica e politica. Uno straordinario bisogno di testimonianza, uno straordinario bisogno di coerenza da parte delle persone, donne e uomini impegnati nella vita politica.
Non abbiamo bisogno di atei devoti che mettano il potere al servizio della tradizione ma di cattolici, pienamente impegnati nella vita pubblica, che si misurano con le sfide della modernità, e abbiamo bisogno di laici che sappiano vedere nel cristianesimo una fonte di verità e di valore fondamentale per il nostro Paese.

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