Discorso
5 febbraio 2011

E’ IN GIOCO L'AVVENIRE DEL PAESE: OCCORRE UN GOVERNO COSTITUENTE - Intervento di Massimo D’Alema all'Assemblea nazionale del PD

Fiera di Roma


0IZBCYPM--180x140516_img.jpg
Questa nostra assemblea rappresenta, come diversi prima di me hanno sottolineato, un momento importante non soltanto della vita del Partito democratico ma, io credo, della battaglia politica che è in corso in Italia. E non solo per la ricchezza delle indicazioni programmatiche, per il rilievo del confronto culturale che qui si sta svolgendo, ma anche perché l’indicazione sul futuro del nostro Paese si incardina intorno a una proposta politica, che rilancia con grande forza il ruolo del Pd come pilastro fondamentale dell’opposizione e per l’alternativa.
L’indicazione programmatica si collega ad un appello non soltanto ai partiti, ma alle forze di opposizione e a tutta quella parte della società civile che in questo momento avverte il bisogno di reagire a un degrado pericoloso della vita pubblica, a un degrado morale, a una vera e propria emergenza democratica. C’è un filo che lega questa nostra assemblea alla grande manifestazione di Milano, promossa da personalità della cultura, della società. C’è un ponte di qui al 13 febbraio verso quella giornata così importante in difesa della dignità femminile.
Il Paese vive una condizione molto grave, per un verso – lo ricordava poco fa Sergio Cofferati – a causa di una crisi economica e sociale che segna il fallimento del decennio berlusconiano: decennio dello sviluppo zero, della caduta del reddito delle famiglie, dell’aumento delle diseguaglianze sociali e geografiche, della emarginazione di una parte così grande della nuova generazione, che rappresenta forse il dato più drammatico.
Per l’altro verso, c’è una situazione insostenibile della democrazia, della vita pubblica. Il governo si regge, in questo momento, sulla corruzione (corruzione esibita di parlamentari), sulla menzogna, sulla manipolazione dell’informazione. E’ una condizione sempre più insostenibile alla quale bisogna reagire, pena il rischio che tutti siano coinvolti in un discredito delle istituzioni da cui, in questo momento e per fortuna, si salva il Capo dello Stato.
Badate – e lo dico per un certo qualunquismo che mette sullo stesso piano tutti – dev’essere stata la Provvidenza che ha fatto si che in questi anni agitati i Presidenti della Repubblica sono stati eletti sempre e soltanto in parlamenti con maggioranza di centrosinistra. Il che, tra l’altro, è testimonianza indiscutibile di un fatto che qualche volta noi stessi neghiamo, e cioè che le elezioni le abbiamo anche vinte.
C’è una proposta forte, Bersani l’ha riassunta in una formula: “governo costituente”. Un governo per ricostruire, oltre le macerie che sul piano economico e sociale, sul piano politico e istituzionale, Berlusconi sta creando nel nostro Paese. E’ in gioco l’avvenire dell’Italia. E l’avvenire dell’Italia - lasciatemelo dire - non è né di destra né di sinistra. Credo che ci sia materia per una collaborazione tra diversi, in un’opera di ricostruzione democratica.
Vorrei anche aggiungere che il vincolo della legge elettorale, se non può essere rimosso e non mi pare che Berlusconi lo consenta, deve essere ragionevolmente valutato da chi sa che non si può mettere a rischio il futuro del Paese e delle istituzioni.
Una collaborazione tra diversi non per liquidare il bipolarismo – e mi pare che su questo tra di noi si sia raggiunta chiarezza – ma per rilanciarlo su basi rinnovate.
Un governo che abbia una missione, a partire dalla riforma costituzionale. In questo quadro, io vedo anche il tema di una nuova legge elettorale che dia forma al bipolarismo italiano. E’ tempo di scegliere tra un bipolarismo imperniato su una forma neoparlamentare e forme di elezione diretta, non fittizia e plebiscitaria, ma democratica e controbilanciata nell’equilibrio dei poteri.
Una scelta che, sin dal tempo della Bicamerale, non fu possibile compiere, anche perché Berlusconi ha dato al bipolarismo italiano una sola forma istituzionale, cioè quella della sua persona, lasciando aperto il problema della forma democratica di questo sistema.
Così come, a mio giudizio, ha portata costituente l’esigenza di un nuovo patto sociale. Quello degli anni ’90 consentì il risanamento e l’euro, quello di questo secolo dovrebbe sostenere la crescita e offrire una possibilità alle nuove generazioni. Bisogna riscrivere le regole del welfare, del mercato del lavoro e bisogna farlo riducendo le diseguaglianze, affermando la dignità e il valore del lavoro, che sono condizioni anche per la crescita e non solo per una società più giusta. E’ qui, credo, è il segno che il Partito democratico deve portare in questo nuovo compromesso sociale.
Infine, occorre mettere mano a una trasformazione moderna dell’amministrazione dello Stato, senza la quale il federalismo è condannato ad essere quel federalismo della burocrazia e delle tasse, di cui si discute oggi. Non possiamo lasciare questa parola alla Lega: la riforma del titolo V l’ha fatta il centrosinistra e nell’attuazione di questa riforma noi abbiamo tante buone ragioni per concepire il decentramento di poteri come sistema che avvicini davvero lo Stato ai cittadini e non, invece, come una redistribuzione di poteri tra ceto politico, con un effetto, già in atto, di aumento della spesa pubblica e della pressione fiscale.
E’ in gioco l’avvenire del Paese. E su questa nostra proposta non si tratta di misurare giorno per giorno le risposte. Essa non mira ad escludere nessuno, è inclusiva per sua natura e richiede di essere portata avanti con pazienza, sviluppando, a partire dalle nostre proposte programmatiche, un confronto con la società italiana in primo luogo e con le forze di opposizione, per far crescere la speranza di un’alternativa, per vincere quel senso di impotenza, di disperazione che è la vera forza di Berlusconi.
Dicono: “Non c’è alternativa!”. Credo che da oggi sia più difficile sostenere che non c’è alternativa, perché intorno alla proposta del Pd un’alternativa cresce, può prendere consistenza, può dare una speranza a quella maggioranza degli italiani, il 60 %, che ritiene che di Berlusconi ci si debba liberare.
Penso anche che Berlusconi lo capisca. Non a caso, è radicalmente mutato, in pochi giorni, il suo atteggiamento nei confronti della prospettiva delle elezioni anticipate. Prima veniva agitata in modo arrogante e minaccioso. “Non le chiedete perché sapete che perderete” diceva… Oggi, mi sembra che da quella parte si cerchi di arroccarsi, di raccogliere le forze in una prospettiva cieca di resistenza.
E’ di stamane la notizia che La Destra di Storace entra a far parte del governo: un segnale, questo, di dialogo, di apertura… Un buon segnale per i moderati, si direbbe… Ben presto c’è da aspettarsi che cariche ed auto blu saranno distribuite a quel gruppetto di parlamentari acquistati che, con notevole senso dell’umorismo, si sono definiti “responsabili” e che sono uno dei simboli del degrado della vita pubblica italiana.
Badate, ha ragione Franceschini: andiamo verso una fase complessa, aspra della lotta politica. Berlusconi non cederà il terreno e, al di là di qualche comico appello al dialogo, la tendenza inevitabile sarà quella di un inasprimento dello scontro. A partire dal fatto che rimanere lì, nella sua condizione, sotto il profilo giudiziario, richiede una escalation della delegittimazione della magistratura e quindi comporta tensione, corruzione, aggressione ai giudici, manipolazione della verità.
Insomma, credo che il Partito democratico debba stare in campo, sostenere la mobilitazione della società civile nel rispetto della sua autonomia. Ma occorre anche mobilitare il nostro partito, il che vuol dire tenere le sedi aperte, promuovere il dialogo con i cittadini e la capacità di reagire alla disinformazione, organizzare la protesta di fronte alla menzogna, mantenere un dialogo costante con l’opinione pubblica.
E’ il momento di costruire il Partito democratico, in una battaglia che è propriamente la nostra per il futuro della democrazia italiana. Se è emergenza - e lo è - e se “emergenza” non è una parola vuota, allora questo si deve vedere nel modo di stare in campo, ogni giorno, di questo grande partito. Ed anche nel modo di discutere e nel modo di considerare l’unità nostra e l’unità dell’opposizione come criterio fondamentale a cui legare l’azione politica e il comportamento di ciascuno di noi.
Questo, mi pare, è l’appello che viene dall’assemblea, dalla relazione di Bersani e in questo senso - sono convinto – che tutti siamo pronti ad accoglierla.
Grazie.

stampa