Intervista
19 maggio 2011

D’ALEMA: ABBIAMO VINTO NOI NON LA SINISTRA RADICALE<br>“Vendola è forza di governo. Berlusconi perde per l’estremismo? Lo è sempre stato…”<br>

Federico Geremicca - La Stampa


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Lei dice così perché, naturalmente, non ha letto Mao Tse-tung. Il quale portava spesso l’esempio delle bacchette che i cinesi usano per mangiare: una si muove per prendere il cibo, ma l’altra resta ferma. Così in politica. La tattica, la propaganda, le iniziative possono cambiare: ma la strategia no, quella non può cambiare ogni settimana. Oltretutto sarebbe curioso che un partito che ha affrontato le elezioni sulla base di una determinata proposta strategica, la cambiasse subito dopo a causa del fatto che le ha vinte. In generale accade il contrario». Questo dice Massimo D’Alema, per rincuorare il cronista che alla fine dell’intervista - lamenta di non vedere grandi “novità strategiche” nella sua posizione, nonostante l’esito del voto. Qualche novità (in sintonia con la citazione di Mao) la fa invece registrare l’abbigliamento dell’ex presidente del Consiglio, che veste un eccentrico smanicato marinaro, interamente rosso e con sulla schiena una grande e nota sigla: KGB (Kuando Gareggia Barlocco: grande giocatore di pallanuoto, amico di D’Alema e ora velista)...

Nessun addio al Terzo Polo, dunque, nonostante i ripetuti no di Casini ad una larga alleanza, il non esaltante risultato elettorale e la decisione di non schierarsi ai ballottaggi; nessuna improvvisa esaltazione delle primarie, nonostante - per esempio - l’effetto sortito da quelle di Milano e Cagliari, e i molti complimenti a Sel e a Vendola. Ma due puntualizzazioni non da poco. La prima: «Il centrodestra non ha perso le elezioni per i toni duri scelti. E’ una tesi autoconsolatoria: Berlusconi ha sempre usato toni pesanti, essendo un estremista populista». La seconda: «Le elezioni le abbiamo vinte noi, non la sinistra radicale o qualcun altro. Sostenere il contrario, come si continua a fare, è solo sciocca propaganda». Infine, un forte apprezzamento per Bersani; e un simpatico augurio per Fassino: «Piero è stato generoso: farà bene, ne sono sicuro. In più, il suo successo è un buon segnale per noi della vecchia guardia...».

Presidente, lei quindi non crede che la sconfitta di Berlusconi - a Milano e non solo - sia colpa dei toni usati in campagna elettorale. Perché?

«E’ un aspetto molto relativo. Scaricare la responsabilità della débâcle sui toni scelti da Berlusconi è perfino ingeneroso, se ci intendiamo. I toni - infatti - sono sempre gli stessi, e a volte hanno perfino pagato. Se oggi il risultato elettorale segnala l’arretramento della maggioranza di governo praticamente ovunque, le ragioni di fondo sono altre: a cominciare dal totale fallimento dell’azione di governo. Dalla ripresa economica (che ci vede ultimi in Europa) all’aumento delle tasse, dalla crescita della disoccupazione all’inefficienza della pubblica amministrazione, non c’è nulla su cui il governo abbia agito con efficacia. In più, valanghe di promesse non mantenute. E’ un disastro: ed è in ragione di questo disastro che i toni soliti stavolta non hanno funzionato».

Messa così, il ragionamento sembra però dar ragione a chi sostiene che più che a una vittoria del centrosinistra saremmo di fronte a una sconfitta della maggioranza, o no?

«Direi proprio di no. Intercettare i cali di consenso non è mai scontato: e vorrei ricordare che veniamo da mesi in cui si è ossessivamente parlato della mancanza di un’alternativa a Berlusconi... Il dato di queste elezioni è che in gran parte del Paese, invece, il Pd si dimostra in grado di garantire un’alternativa al centrodestra. Certo, a Napoli e in qualche area del Mezzogiorno - ma non in tutto il Mezzogiorno paghiamo ritardi ed errori. Ma il Partito democratico è in piedi, cresce e io questo trionfo del radicalismo e dell’estremismo proprio non lo vedo».

Si fa riferimento ai successi di Pisapia e De Magistris, al risultato ottenuto da Sel...

«Pisapia ha svolto un’ottima campagna elettorale, ma supera la Moratti anche perché il Pd cresce fino a diventare quasi il primo partito della città. Quanto a Vendola, bisogna dar atto a Nichi e al suo partito non solo di aver ottenuto un buon risultato, ma di aver dato una notevole prova di unità. Sel è a pieno titolo una responsabile forza di governo. Le primarie e poi il risultato di Cagliari, alla fine si sono rivelate una bella cosa. E voglio dirlo».

Ciò nonostante, lei continua un serratissimo pressing sul Terzo polo, che ha deciso di non schierarsi ai ballottaggi e continua a ritenere impossibile un’alleanza che arrivi fino a Vendola e Di Pietro. Non le pare tempo perso?

«Guardi, sarebbe utile rappresentare la posizione del Pd per quella che è... Noi facciamo prima di tutto un discorso al Paese. C’è una larga maggioranza di italiani che ritiene che occorra voltar pagina e uscire dal berlusconismo: e poiché non è certo Berlusconi che può portarci fuori dal berlusconismo, e visto che le macerie in cui ci troviamo non riguardano solo l’economia ma addirittura i valori fondanti di questo Paese, ricostruire sarà un’impresa enorme che richiede una larga maggioranza. Una maggioranza costituente, insomma, che è ciò per cui lavoriamo».

Va bene, ma che c’entra il Terzo polo? E soprattutto: perché dovrebbe preoccuparsi?

«C’entra perché queste elezioni dimostrano che se la richiesta di cambiamento è così diffusa, allora i cittadini utilizzano il voto che ritengono utile per ottenere il cambiamento. Voglio dire che se a Milano si pensa che occorra chiudere con la Moratti, allora i cittadini - con tutto il rispetto per il Terzo polo - votano per Pisapia, che è il candidato che può batterla. L’idea bipolare è ormai radicata nella testa degli elettori, e a volte la “terzietà”, se è fine a se stessa, si paga. Ripeto: ho grande rispetto per la discussione in corso nel Terzo polo, ma chiedo loro in che prospettiva strategica si pongono. Se si vuole superare il berlusconismo, bisogna assumersi delle responsabilità. E non mi riferisco certo a questi ballottaggi».

Dove pure un’indicazione di voto era lecita attendersela, o no?

«C’è molta tattica in giro... In ogni caso, diciamoci la verità, di fronte a certi ballottaggi, già una loro “non scelta” può essere considerata un vantaggio per noi. E poi: avrebbe mai detto, qualche mese fa, che l’onorevole Granata avrebbe invitato a votare per Pisapia a Milano? Diamo tempo al tempo. Comunque, al ballottaggio gli elettori vanno dove li porta il cuore e di questi tempi il cuore non porta a Berlusconi».

Torniamo al Pd, e a Bersani.

«Il voto rafforza la sua leadership e premia uno stile politico. Non è andato dietro a Berlusconi chiedendo un referendum su se stesso, e ha fatto bene. Che Bersani oggi sia molto più forte è un vantaggio per tutti: elimina dal campo tanta confusione e favorisce l’unità del centrosinistra, che dipende - io credo - prima di tutto dall’unità e dalla forza del Pd. Ci sono naturalmente aree in cui il partito va curato e rimesso in piedi, e penso a Napoli prima di tutto: ma il voto dimostra che il Pd è radicato e ha gruppi dirigenti riconosciuti sul territorio. I ballottaggi lo confermeranno, a dispetto delle tante sciocchezze che spesso si scrivono su di noi».

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