Discorso
30 novembre 2011

INTERVENTO DI MASSIMO D'ALEMA NELL'AULA DELLA CAMERA DEI DEPUTATI IN RICORDO DI LUCIO MAGRI


Signor Presidente, colleghi deputati. Ho chiesto la parola per esprimere il cordoglio dei parlamentari del Partito democratico per la morte tragica e disperata di Lucio Magri, militante e dirigente della sinistra, uomo intelligente, colto e appassionato.
Sono personalmente colpito e addolorato per ciò che è avvenuto. Non è il momento di ripercorrere qui l’itinerario tormentato della sua vita, da giovane dirigente della Democrazia cristiana, alla scelta di militare nel Partito comunista, all’esperienza del Manifesto, che fu per lui fondamentale sul piano umano e intellettuale. E, ancora, dalla fondazione del Pdup, al ritorno nel Partito comunista, fino alla battaglia contro la “svolta” e alla difesa dell’esperienza del comunismo italiano.
Ebbi modo di incontrare Lucio Magri per la prima volta nel 1969, quando, insieme a Fabio Mussi e ad altri studenti pisani, raccoglievamo gli abbonamenti al Manifesto. L’ultima volta -e quindi nell’arco di oltre un quarantennio- l’ho incontrato qualche giorno fa qui, nel Transatlantico di Montecitorio. Abbiamo passato una lunga vita vicini, per la comune appartenenza e, nello stesso tempo, quasi sempre lontani nelle scelte politiche che a ogni crocevia della nostra storia ci hanno visto su opposte sponde. Da quel lontano 1969, quando noi rifiutammo di spingere il dissenso fino alla scelta di farsi cacciare dal Partito comunista, nella convinzione che non vi fosse prospettiva al di fuori della grande forza storica del movimento operaio. E sino alle discussioni dopo l’89, negli anni sofferti della “svolta” e della diaspora.
Lucio non è mai stato un dogmatico, ha difeso il patrimonio del comunismo italiano, pur essendone stato uno dei critici più acuti e più anticipatori. E non fu neppure un eretico, nel senso della testimonianza solitaria, dell’estremismo. Non amava la politica predicata, anzi, si sforzò sempre di praticarla. In questo, davvero, proponendosi come un continuatore nel solco della migliore tradizione togliattiana, quella che ha saputo combinare il mito rivoluzionario con il realismo politico, con il gusto per la strategia, il calcolo dei rapporti di forza, la capacità di intravedere i possibili passi in avanti.
Così fu quando non si contrappose al compromesso storico nel nome di un moralistico rifiuto della politica, ma nel nome di un’acuta idea del compromesso per l’alternativa. E così fu quando, nel ’95, non accettò il rifiuto di Rifondazione comunista al governo Dini, in cui vide, pure nella differenza profonda, un possibile passo in avanti.
E’ forse questo gusto per la politica che lo ha reso per me, per molti di noi, un interlocutore importante, intelligente, con cui discutere, approfondire, ricercare le soluzioni, mettere a confronto le analisi e le proposte.
Lucio ci ha lasciato con “Il Sarto di Ulm”: una riflessione critica e insieme un atto di amore verso la nostra storia. Quel libro contiene la consapevolezza di una sconfitta, perché il sarto di Bertolt Brecht fallisce nell’ambizione folle di volare e si schianta al suolo. Ma egli riteneva che quella testimonianza disperata avesse comunque lasciato un segno, perché è pur vero che poi l’uomo è riuscito a volare.
Lucio portava il peso della sconfitta e non aveva tollerato la morte dolorosa della sua compagna Mara. C’era in lui una lucida disperazione. E resta nei suoi amici e nei suoi compagni il rimpianto di non avere forse compreso fino in fondo e di non essere riusciti ad aiutarlo a restituire un senso alla sua esistenza.
Ecco, non vorrei che l’emozione per le circostanze della sua morte finisca per cancellare la memoria della sua vita, il suo impegno politico e intellettuale, la testimonianza che egli ci ha lasciato delle sue ricerche, delle sue battaglie, dei suoi scritti.
Anche noi, insieme ai suoi compagni, siamo pronti a ricordarlo, a raccogliere le sue opere, a discuterle e a tramandarne il senso ai giovani che vogliono impegnarsi nella politica di oggi.
Grazie.



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