Intervista
29 aprile 2012

DALLA CRISI SI ESCE A SINISTRA, IL NOSTRO VERO AVVERSARIO E’ LA SFIDUCIA<br><br><br><br>

Intervista di Simone Collini – L’Unità


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«Il principale avversario non è il centrodestra ma la sfiducia dei cittadini. È un avversario sicuramente più insidioso del centrodestra, ormai del tutto privo di credibilità, in profonda crisi, scosso da divisioni interne e non in grado di presentare una proposta politica al Paese. C’ è la sensazione di fare una campagna nel vuoto. Ci siamo noi e poi c’ è un pesante senso di sfiducia». Crispino, Torremaggiore, Rodi Garganico, Apricena. In queste ore Massimo D’Alema fa la spola lungo le strade di Puglia per sostenere i candidati del centrosinistra alle amministrative.

Comuni grandi e piccoli dove si sfidano anche dieci o più aspiranti alla carica di sindaco.
«Dicono tutti che la politica fa schifo e poi si candidano in centinaia», ironizza. Ma il discorso è serio, vista la fase che sta attraversando il Paese: «Il rischio di una frammentazione e di una profonda confusione è fortissimo. E in questo quadro si congiungono anche due fattori molto preoccupanti, che si alimentano a vicenda: un grande malessere sociale e la sfiducia nella politica. Noi ci troviamo a rappresentare l’unica proposta politica in campo, l'unica ipotesi di governo».

Il Pd però è tutt’altro che immune da quel sentire e sostiene un governo che impone pesanti sacrifici: sicuri che stiate facendo ciò che va fatto?

«L’Italia è un Paese dalla memoria corta. Le persone non possono dimenticare come siamo arrivati fin qui e perché si sono resi necessari questi sacrifici, di cui noi, volendo il governo Monti e appoggiandolo, giustamente ci siamo assunti la responsabilità. Quando dici che Berlusconi era al governo sei mesi fa le persone ti guardano come se stessi parlando di vicende del secolo scorso. No, va ricostruita la memoria. Anche insistendo sul fatto che se c’è un disprezzo per la politica giudicata come arraffa-potere, ciò non può riguardare il Pd, per il quale il discorso è esattamente l’opposto. Noi, in fondo, potevamo chiedere le elezioni, che avremmo ragionevolmente vinto. Invece, sostenendo il governo Monti, ci siamo assunti una grande responsabilità e nessun potere. È chiaro che questo ci pone in una posizione estremamente delicata, ci può rendere bersaglio del malessere sociale. Ed è grave che qualcuno pensi di aggredirci in questa fase, proprio nel momento in cui cerchiamo di salvare il Paese».

Ciò potrebbe far cambiare la vostra posizione verso il governo?

«No, questo ci spinge a sostenere il governo trasmettendogli la acutezza della crisi sociale e la necessità di costruire delle risposte adeguate, anche nell’immediato».

Ad esempio?

«Servono subito misure per la crescita, bisogna rendere flessibile il Patto di stabilità interno per consentire ai Comuni di realizzare opere, accelerare i pagamenti della Pubblica amministrazione alle imprese, premere sul sistema creditizio. Il rischio di un indebolimento della rete delle imprese, il susseguirsi di fallimenti, potrebbe portarci, nel momento della ripresa, a una debolezza della struttura economica del Paese. E poi il tema degli esodati, delle pensioni, non può essere lasciato irrisolto per troppo tempo. Così come il tema del lavoro e dell’articolo 18: in una situazione delicata come quella in cui ci troviamo non si possono fare passi indietro rispetto ai compromessi raggiunti».

Dice Berlusconi che il Pd, con lei in testa, vuole far cadere Monti e votare ad ottobre.

«Berlusconi cerca di attribuire ad altri l’obiettivo verso cui è incalzato dai suoi, che non reggono più. I problemi per il governo vengono dalle difficoltà in cui è il Pdl, che possono essere rese più acute da una sconfitta alle amministrative. Noi non abbiamo il disegno di far cadere il governo e votare ad ottobre. Nessuno ragionevolmente può prendersi la responsabilità di far cadere il governo. È un complotto che non esiste, anche se qualche velina è stata messa in giro. Ma ciò fa parte della disinformazione».

Non vede il rischio che si possa fare a meno della politica, se l’esperienza dei tecnici avrà successo di fronte alla crisi, anche la prossima legislatura?

«Si dice: la politica è responsabile della crisi, eliminiamo la politica così usciamo dalla crisi. Ma no, non è così. All’origine della crisi c’ è la politica di destra, conservatrice, antisviluppo, subalterna ai mercati finanziari. E l’uscita dalla crisi è in un cambio di politica, quella che con espressione antica si definirebbe una svolta a sinistra. Il nostro compito è costruire una proposta per il Paese, che guardi non solo al piano nazionale. Infatti serve una correzione di indirizzo delle politiche Ue che vada in un senso più europeista, ma anche verso una netta svolta progressista sul terreno economico e sociale. Bisogna insistere su sviluppo, lavoro, contenimento della speculazione finanziaria e del predominio del capitalismo finanziario internazionale attraverso nuove regole e nuovi strumenti. Penso alla tassazione delle transazioni finanziarie, al ruolo attivo della Bce in chiave antispeculazione... Per far questo occorre una buona politica, non la sua rimozione. Come hanno dimostrato le elezioni francesi. La speranza di un nuovo scenario è arrivata dalla possibilità che la sinistra vada al governo, cioè da un cambiamento politico, non tecnico».

L’elezione di Hollande come potrebbe incidere sulle vicende italiane?

«Sicuramente sarebbe un’opportunità anche per Monti, che potrebbe sperare di realizzare misure per la crescita in un contesto più favorevole rispetto a quello caratterizzato dal patto Merkel-Sarkozy».

La frase “i partiti a Monti” torna spesso: non c’ è il rischio, per com’ è oggi la situazione, che i partiti vengano percepiti come delle corporazioni?

«I partiti a Monti è una frase che contiene una falsificazione. In realtà all’interno della maggioranza arrivano molto spesso verso Monti sollecitazioni opposte, com’ è normale per una fase di responsabilità nazionale. Sulla riforma del lavoro noi e il Pdl abbiamo posizioni diametralmente opposte. E allora non c’ è il fronte dei partiti da una parte e Monti dall’altra. C’ è Monti e poi ci sono destra e sinistra, che pongono a Monti problemi contrapposti».

E la crisi dei partiti, non sosterrà che si tratta di un’altra falsificazione?

«Certamente c’ è una grave crisi della politica e del rapporto tra politica e cittadini, ma non la definirei crisi dei partiti. Semmai è la crisi del sistema politico della seconda Repubblica, che non è fondato sui partiti ma sul personalismo e sul leaderismo. Dopo la crisi dei partiti, negli anni ‘90, c’ è stato l’avvento di un ceto che ha occupato le istituzioni, molto spesso mosso dall’idea che la politica fosse un canale di promozione sociale. Ora che viene alla luce la fragilità di questo sistema bisogna stare attenti perché, se si fa un’analisi appropriata della situazione, si possono cercare i rimedi giusti. Altrimenti si rischia di arrivare a conclusioni che peggiorano il male. Quando si dice che la risposta consiste nel creare macchine elettorali al servizio del leader non ci si rende conto che è proprio quel che è stato fatto, e che è all’origine della crisi attuale. Si indica come rimedio il male».

La legge elettorale a cui lavorano Violante e deputati Pdl e Udc mette al centro i partiti anziché le alleanze ma, ha scritto Parisi su l'Unità, non permette ai cittadini di scegliere i governi.

«Al contrario, quella legge semplifica il quadro politico e dà forza ai partiti, soprattutto a quelli maggiori. E i governi si fanno attorno al partito che vince le elezioni. Esattamente come avviene in Germania, dove i cittadini hanno il potere di indicare da quali forze e candidati cancellieri essere governati. Inoltre, se si prevedesse, come noi proponiamo, la sfiducia costruttiva, non ci sarebbe instabilità né ritorno alla prima Repubblica. Quella legge può dar vita a governi di legislatura sicuramente meglio di quanto non sia riuscito a fare il sistema attuale, fondato sul voto alle coalizioni, che non ha dato stabilità, non ha ridotto la frammentazione ed è clamorosamente fallito. E poi, se volevamo un sistema elettorale che non fosse fondato sui partiti, perché abbiamo creato il Pd? Allora dovevamo rimanere con l’Ulivo, trasformandolo in un grande comitato elettorale. È contraddittorio fondare un nuovo partito e poi battersi per una legge elettorale che non gli consente di presentarsi alle elezioni. Noi abbiamo dato vita al Pd per fare un salto di qualità e passare da un sistema fondato su coalizioni politico-elettorali a uno fondato su grandi partiti a vocazione maggioritaria. E questa operazione va completata con una legge elettorale che dia loro più forza, altrimenti non ha senso ciò che abbiamo fatto».

Secondo lei ha senso l’operazione di rinnovamento a cui lavora Casini?

«Casini vuole creare il partito della nazione. Io direi che per ora un partito della nazione c’ è, siamo noi. Non so se lui ne creerà un secondo, ma è un tentativo di cui capisco il significato. Tornando al Pd, vorrei che noi fossimo consapevoli del nostro ruolo, delle nostre responsabilità. È il momento di impegnarsi tutti per superare personalismi e dispute inutili. Questo richiede la crisi del Paese».



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