Intervista
8 luglio 2012

NON È LA FORZA DEL DESTINO, L’ITALIA SI RISOLLEVERÀ<br>

Intervista di Domenico Cacopardo – Gazzetta di Parma


Incontro Massimo D’Alema nella sede di Italianieuropei, la Fondazione di approfondimento politico che presiede. C’è movimento, oggi, per un seminario dedicato ai populismi e all’antipolitica in Europa. Presenta una relazione concreta, pragmatica che interpreta in modo coerente e logico la situazione. All’una, ci ritiriamo nel suo studio.


Ieri la Cassazione ha confermato le condanne per i fatti di Genova. Proprio lei, il giorno dopo, dichiarò in Parlamento che sembravano episodi di tipo cileno.


Si è trattato di un momento inquietante della vicenda italiana. Vanno apprezzate le parole di equilibrio e di buon senso pronunciate dal ministro dell’interno e dal capo della Polizia.
Nello sfondo, irrisolte e opache, rimangono le responsabilità politiche del governo di allora, che preferì rimanere in ombra piuttosto che fare la dovuta chiarezza.


Veniamo da una settimana di grandi novità.


Parliamo del consiglio europeo del 28 e 29 giugno. Le decisioni prese debbono essere implementate in sede di eurozona, ma sono significative e non scontate: vigilanza europea sul sistema bancario; ‘salva Spagna’ con intervento diretto sulle banche iberiche; salva spread; patto per la crescita; piano di rafforzamento dell’Unione.


Che cosa ha permesso questi risultati?


Il quadro politico europeo è mutato: l’Italia si è messa in grado di dire la sua, ma è venuto meno l’asse Merkel-Sarkozy ed è nata una nuova coalizione tra stati. Nei giorni precedenti era stato diffuso il documento dei socialisti europei che comprendeva molti dei punti in discussione, comprese le questioni dell’antispread e della ricapitalizzazione delle banche spagnole. Questo documento ha costituito una coerente piattaforma di impegni per la crescita e per una più efficace solidarietà.


Un viatico preliminare dell’Internazionale socialista, dunque.


Una lettura del consiglio europeo come dialettica tra paesi sarebbe insufficiente: hanno infatti avuto influenza anche le diverse posizioni politiche delle varie nazioni. Per esempio, i socialdemocratici tedeschi alla vigilia del vertice si sono pronunciati in senso favorevole alla proposta antispread poi formulata dal premier italiano Mario Monti.


È evidente il fermento che attraversava i vari paesi. Ma, dopo tanti vertici (28) senza risultati, c’era molto scetticismo.


È stato compiuto un importante passo in avanti per l’integrazione. La Francia s’è espressa in senso più europeista: la Merkel chiedeva più integrazione, Hollande, a differenza del predecessore, ha manifestato la propria disponibilità. Un’attenuazione della tradizionale posizione gaullista, graniticamente arroccata dentro una visione nazionale. Questo significa, per la generalità degli europei, che il centrosinistra (europeo) assume una caratterizzazione più nettamente comunitaria e democratica.


Com’è accaduto il cambiamento francese? È bastato rimuovere Sarkozy e chiamare Hollande?


Come sempre, nella storia, gli eventi sono il risultato delle evoluzioni politiche dei popoli. In Italia, purtroppo, è passato sotto silenzio, ma l’Europa è stato il tema centrale della campagna elettorale di Hollande, tanto che una delle principali manifestazioni, alla quale hanno partecipato gli esponenti della sinistra europea, tra i quali gli italiani, è stata dedicata all’Europa.


Quindi, a Bruxelles, Hollande è arrivato con un preciso mandato in direzione comunitaria?


La sua linea era quella del rafforzamento del ruolo dell’Unione. Il consiglio europeo ha rappresentato un passaggio difficile e pesante per tutti i partecipanti.
Quando Mario Monti ha messo il veto, è risultato subito evidente che lo poteva porre proprio perché era certo dell’appoggio francese.
E la Francia era fondamentale in quel momento: senza la Francia l’Italia rischiava un disastroso isolamento. Il gesto di Francois Hollande è stato determinante, anche perché ha spinto a schierarsi a sostegno della proposta italiana anche altri leader socialisti come il primo ministro belga Elio Di Rupo e il cancelliere austriaco Werner Faymann.


Il consiglio europeo influenzerà di certo il quadro politico italiano.


Il consiglio europeo ha già avuto un effetto positivo, allontanando l’instabilità politica e frustrando le tentazioni avventuriste che sono circolate. Chiunque può capire che non è nell’interesse del Paese precipitarsi alle elezioni generali. Le decisioni del governo in materia di spending review derivano dallo stabilizzarsi del quadro politico. Andranno esaminate con attenzione e, se necessario, corrette in Parlamento. Debbo però esprimere la mia preoccupazione per i tagli alla sanità, per il rischio –che possono comportare- di impedire alle regioni di onorare i loro impegni nei confronti dei cittadini.
Operiamo in uno stato di dolorosa necessità, e veniamo da mesi di tagli e sacrifici richiesti soprattutto a lavoratori e pensionati.


E sul piano europeo?


Oggi, c’è la prospettiva di un centro sinistra europeo capace di altri passi in avanti sulla via dell’integrazione. La coalizione di stati che ha determinato le decisioni del 28 e 29 permetterà all’Unione di uscire dall’impasse nella quale era stata posta dalle destre. Infatti, ritengo che la crisi politica europea sia figlia delle forze di destra che hanno dominato l’Europa negli ultimi dieci anni. Si tratta di una destra ben diversa da quella rappresentata da Adenauer, Schuman e De Gasperi.
Negli ultimi dieci anni, abbiamo assistito a un irrigidimento monetarista: non più solidarismo continentale, niente prospettive di sviluppo.


Non tutto il male, però, è nato a destra.


La correggo: il centro-destra europeo ha lasciato prevalere le tendenze nazionaliste e antieuropee, condizionando gravemente l’agenda politica dell’Unione.


E in Italia?


La destra italiana è stata una delle ragioni della caduta europea. Soprattutto negli ultimi anni, è risultato clamorosamente chiaro il danno prodotto dai governi di destra all’Italia e all’Europa.
Si dice in giro che la colpa di questa situazione è dei partiti. Si tratta di una falsificazione inaccettabile.
Una valutazione serena permette di stabilire le responsabilità di ognuno, partiti e istituzioni, evitando di fare di ogni erba un fascio. Basta un dato per mettere in discussione la vulgata antipartito: quando abbiamo lasciato il governo del Paese, giugno 2008, lo spread Italia-Germania era di 34 punti. C’era Tomaso Padoa Schioppa, un europeista eccellente.


Come si fa a far capire alla gente che non tutti i gatti sono bigi?


Non è stata la forza del destino a consegnare alla destra il governo del Paese ma è stata la volontà popolare espressasi nel voto. La democrazia comporta il fatto che ogni cittadino si assume le responsabilità della propria scelta. Mia madre mi ripeteva spesso un proverbio del Sud: la gallina che mangia i sassi deve sapere cosa le succede.


Grillo?


E’ il capo di un partito che nei sondaggi è considerato il secondo o terzo del Paese. Bisogna giudicare il suo programma, ma sarebbe molto negativo per l’Italia se Grillo vincesse le elezioni.
In qualche misura già lo è: qualunque operatore esamini la situazione italiana si accorge che Grillo propone di non onorare il debito pubblico e di uscire dall’euro. Si può facilmente capire con quali effetti… Per non parlare delle idee sulla cittadinanza e di come gestisce il rapporto con il Movimento 5 Stelle, che ricorda tanto il partito padronale. Grillo e il M5S sono fenomeni politici e come tale vanno giudicati. Hanno inaugurato anche una nuova modalità di comunicazione che, al di là dei toni sguaiati, è basata sull’idea della rete che evoca una democrazia assembleare, ma è alimentata da quel populismo causa nota di tante derive autoritarie del passato.
Detto questo, è vero che si presentano con una certa freschezza e dunque costituiscono una sfida per il Pd, uno stimolo a cambiare il modo di fare politica utilizzando i nuovi strumenti e aggiornando i programmi alla luce della nuova realtà mondiale ed europea.


E il Pd?


Il Pd si candida a governare in modo forte con una coalizione omogenea e ben definita su un programma chiaro e concordato nei tempi e nei modi. Un programma coerente alla vocazione europeista di cui siamo portatori.


E il rinnovamento?


Il Pd ha intrapreso da tempo la strada del rinnovamento. Oltre ai dirigenti del partito, ai sindaci e tanti amministratori locali giovani, segnalo che i gruppi parlamentari del Pd sono quelli più giovani della sinistra europea.


Rimane diffusa, però, soprattutto nei media, la condanna dei partiti.


C’è una grande questione democratica che dobbiamo sempre tenere presente: in una crisi come l’attuale l’indebolimento dei partiti comporta una mutazione sostanziale del bilanciamento degli interessi sociali ed economici, restringe la rappresentanza e colpisce i ceti più svantaggiati. In Europa, ad esempio, dove i partiti sono più forti, i paesi funzionano meglio, reggono meglio alla crisi. Basta guardare alla Germania.
Se i partiti sono deboli, invece, soffre anche la società.
Ciò non toglie che, più in generale, le forze politiche italiane debbano recuperare il rapporto con i cittadini, tornando a interpretarne i problemi.


Presidente D’Alema, lei è un lettore accanito. Cosa ci consiglia?


Ho finito in questi giorni l’ultimo libro di Joe R. Landsdale, Acqua buia. Si tratta di un bel romanzo che lo conferma come il Mark Twain dei nostri giorni. E sto leggendo una bella raccolta di saggi, “La democrazia di fronte allo Stato”, coordinata da Alessandro Pizzorno e pubblicata dalla Fondazione Feltrinelli.


Sono quasi le tre: il seminario riprende.



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