Discorso
8 febbraio 2013

Intervento di apertura al seminario "Renaissance for Europe"

Teatro Regio, Torino 8 febbraio 2013


Buongiorno e benvenuti. Innanzitutto vorrei sottolineare, in questo caso non come presidente della FEPS, ma come esponente del centrosinistra italiano, quanto consideriamo importante la vostra presenza qui e questa discussione che si svilupperà nel vivo di una campagna elettorale così rilevante per il nostro Paese e certamente anche per l’Europa. 
D’altro canto, come FEPS, abbiamo avviato il programma “Renaissance for Europe” proprio partendo dall’idea che i tre momenti elettorali in tre grandi Paesi europei (Francia, Italia e Germania) avrebbero potuto rappresentare un’occasione cruciale per  una svolta politica nell’Unione. Ci è sembrato giusto cercare di legare insieme le tre scadenze nazionali sulla base di una discussione comune sul futuro della nostra Unione e sulle scelte innovative che sono necessarie.
Questo programma si è sviluppato attraverso molti incontri e attraverso alcuni momenti pubblici di grande spessore. Abbiamo avuto a Parigi la prima tappa, possiamo dire fortunata, considerando quello che è accaduto dopo. Ora siamo qui a Torino e a maggio saremo a Lipsia, a margine delle celebrazioni dei 150 anni dell’SPD per un’iniziativa sull’Europa.
Mentre ci riuniamo, è in corso il Consiglio europeo. Una riunione difficile e impegnativa sul bilancio dell’Unione. 
Tutti noi speriamo, naturalmente, in un accordo. 
Tutti noi temiamo un nuovo accordo deludente, il prevalere di una logica restrittiva, di tagli, imposta, ancora una volta, dalle forze più conservatrici del nostro continente.
Sappiamo che l’Unione europea ha sempre proceduto così, attraverso discussioni difficili, faticosi compromessi, lentezze, contraddizioni. Sappiamo che in questo modo si sono realizzati anche grandi passi in avanti. 
Tuttavia, oggi avvertiamo l’inadeguatezza di questo metodo e delle decisioni che vengono prese. Avvertiamo che, per una larga opinione pubblica, il contrasto da una parte tra il peso della crisi, delle diseguaglianze sociali e la fatica della ripresa economica, e dall’altra quella che appare l’incapacità dell’Europa di dare una risposta forte, questo contrasto alimenta diffidenza e paura nel futuro. 
E’ un momento difficile per il progetto europeo e sarebbe sbagliato nasconderlo. Si restringe l’area del consenso, del sostegno. Noi europeisti siamo spesso costretti sulla difensiva. Le stesse classi dirigenti nazionali hanno, negli anni scorsi, contribuito a questo clima scaricando spesso su Bruxelles le loro responsabilità. “Lo vuole l’Europa” è stato un modo per affrontare le emergenze sociali, i necessari tagli della spesa, cercando in qualche modo di ridurre le proprie responsabilità e giocando, così, a ridurre il prestigio e il consenso dell’Europa.
Anche in questa campagna elettorale italiana noi avvertiamo quanto rilevante sia il peso del populismo, di diverse posizioni populiste, non solo di quelle che ancora si raccolgono in modo significativo intorno a Silvio Berlusconi, ma anche di nuove spinte antieuropee che si esprimono nel Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Si annunciano richieste di referendum sull’euro, caricando di ulteriori incertezze il futuro. 
Tutto questo ci spinge a una reazione. 
Voglio indicare lo spirito della nostra ricerca: questa difficile sfida non sarà vinta da europeisti conservatori, che si limitino ad esaltare i risultati, pure importanti, raggiunti dall’Unione nella sua storia. Questa sfida può essere vinta soltanto da europeisti innovatori, capaci di individuare con coraggio le scelte nuove che sono necessarie per ridare forza al progetto europeo e per raccogliere intorno ad esso un rinnovato consenso dei nostri concittadini. 
Noi non possiamo non vedere come il sorgere del populismo appaia come l’altra faccia dei limiti tecnocratici della costruzione europea. E cioè come l’Europa sia percepita: un luogo lontano, opaco, dove si assumono decisioni sempre più importanti per la vita delle persone, senza che possa esercitarsi quel controllo diretto e quelle forme di partecipazione che sono proprie della nostra tradizione democratica.
Dunque, visione tecnocratica dell’Europa e populismi nazionalisti o localisti sono due facce della stessa crisi della democrazia europea. 
Se ne esce innovando, rafforzando l’Unione politica, ma soprattutto la sua dimensione democratica. E, nello stesso tempo, cambiando le politiche dell’Unione. 
Questi due aspetti, a mio giudizio, non sono separati: l’aspetto propriamente politico-istituzionale di un’Europa più forte e quello relativo ai contenuti, alle policies, cioè alle scelte che oggi devono caratterizzare l’azione dell’Unione soprattutto in direzione della crescita, del lavoro, della giustizia sociale.
Questa è stata l’ispirazione del nostro programma di ricerca. 
A Parigi abbiamo posto l’accento sui contenuti, in particolare sugli aspetti economici e sociali, sulla necessità di una politica efficace di solidarietà europea di fronte alla sfida del debito sovrano. Naturalmente, non allo scopo di far pagare ad altri Paesi i debiti dei Paesi indebitati. L’Italia, ad esempio, è contributore netto, come è noto. E chi si trovi, nel proprio Paese, a dover fronteggiare la polemica populista di chi dice “non possiamo pagare le tasse per i debiti degli italiani” può rassicurare: l’Italia non ha avuto un solo euro dall’Unione, anzi, ne ha versati parecchi per solidarietà alla Grecia. 
Dunque, non è questo il punto. 
Il punto è che una effettiva solidarietà comporta una riduzione del peso della rendita, l’abbattimento degli spread e, quindi, la liberazione di risorse per la crescita, rispetto alla quale occorre un’efficace strategia.
 Questa impostazione la si è ritrovata con forza nel modo in cui François Hollande e la Francia socialista si sono ricollocati in Europa dopo le elezioni, rompendo quell’”asse Merkozy” che aveva rappresentato il nerbo conservatore dell’Unione.
Ma, certo, la sfida è ancora aperta. E la resistenza conservatrice è ancora fortissima, basti guardare agli esiti difficili del Consiglio in corso in queste ore.
Qui a Torino vogliamo porre l’attenzione sul tema politico e istituzionale. Vivien Schmidt ha introdotto, in un suo saggio sull’Europa, un concetto che ha avuto molta fortuna, quello sulla separazione, nella costruzione europea, tra le policies, demandate a Bruxelles, e la politics, che rimane confinata dentro una dimensione nazionale.
Già Antonio Gramsci, negli anni ’30, ci ammoniva sul rischio di una contraddizione crescente tra dimensione internazionale – si direbbe, oggi, globale – dell’economia e la politica che rimane confinata dentro gli Stati nazionali. 
Ora, non c’è dubbio che le policies, senza il confronto politico, si riducono a decisioni apparentemente tecniche, mentre la politica, privata del potere di prendere decisioni, si riduce a narrazione e a populismo. Questa separazione è uno dei problemi di fondo della crisi che noi viviamo. 
Come rafforzare, allora, la dimensione politica dell’Unione? Che cosa si può fare nell’ambito dei Trattati esistenti? In che termini si può prospettare la possibilità di un nuovo trattato, come prospettiva di medio periodo a mio giudizio necessaria, ma con gradualismo e realismo? Quale rapporto può essere sviluppato tra Parlamento europeo, che rimane, a mio parere, istituzione centrale della democrazia europea, e parlamenti nazionali? Come costruire un equilibrio più avanzato tra dimensione intergovernativa, che resta necessaria, ma che in questi anni ha assunto una prevalenza impropria, e dimensione delle istituzioni comuni? Quale equilibrio va costruito tra il necessario rafforzamento della governance dell’eurozona come condizione affinché la moneta unica vinca la sua sfida, e le istituzioni comuni dell’Unione, che comprendono anche Paesi e rappresentanti i quali non condividono la moneta unica? 
E in che modo rafforzare la legittimazione democratica della Commissione europea, vero e proprio governo dell’Unione, in particolare attraverso la presentazione di candidature e programmi che forzino, attraverso le elezioni europee, il meccanismo esclusivamente intergovernativo di scelta prevalso sin qui? Ciò, infatti, valorizzerebbe le novità del Trattato, che sottolineano il ruolo centrale del Parlamento e del suo voto di fiducia alla Commissione. 
Insomma, sono nodi complessi, anche sotto il profilo istituzionale, che, credo, proprio per questo hanno formato oggetto di riflessione e torneranno centrali, qui a Torino, attraverso il contributo di esperti di grande rilievo. 
Voglio concludere sottolineando un ultimo aspetto: quanto sia importante, al di là delle questioni  istituzionali, far crescere la comunità politica europea, rafforzando la dimensione dei partiti, ma andando oltre i partiti. Si tratta di mantenere vivo un dibattito culturale, una ricerca comune, l’elaborazione di un pensiero europeo. 
E’ esattamente questo il lavoro al quale noi cerchiamo di dare un contributo.
Credo che non sia stato affatto inutile collegare le elezioni francesi a una significativa proposta di svolta in Europa. Nel dibattito francese, anzi, questo ha avuto un peso molto importante. Forse mai in una elezione presidenziale francese il tema europeo era stato rilevante come nelle ultime elezioni. 
Questo vale anche per l’Italia, perché davvero una delle questioni fondamentali per il nostro Paese è come si sta in Europa. 
Per noi è essenziale affermare una terza posizione: non siamo con il populismo antieuropeo, ma neppure per un’Italia acquiescente nei confronti delle scelte conservatrici della signora Merkel. Mostrare che c’è un’altra possibilità in Europa, come cercheremo di fare in questi due giorni, è fondamentale nel nostro rapporto con l’opinione  pubblica italiana. 
Insomma, c’è qualcosa che può essere fatto da noi al di là delle istituzioni: far crescere la politica europea con elaborazioni, individuazioni di proposte, iniziative dal basso. Una vera e propria comunità, che crei il terreno nel quale anche le istituzioni possano mettere radici più profonde. 
Per tutto questo vi ringrazio e auguro a tutti buon lavoro in questa iniziativa che, sono sicuro, in Italia rappresenterà una tappa molto importante e contribuirà al dibattito politico anche al di là dei nostri confini. 

stampa