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28 giugno 2013

D’Alema: “Nel ’98 non fui io a stoppare Ciampi premier dopo la caduta di Prodi”

di Umberto Gentiloni - La Stampa



«Il racconto di Ciampi, le parole del suo diario sono utili a definire un contesto che altrimenti rischia di essere trasmesso attraverso forzature o semplificazioni pericolose». Massimo D’Alema parla dell’autunno 1998, della genesi del suo governo e delle dinamiche che portarono alla caduta di Prodi. «Ho letto il volume (Contro scettici e disfattisti. Gli anni di Ciampi 1992-2006, Laterza) tutto d’un fiato, mi colpisce pensare che il giudizio storico si spinga fino a un periodo che ho vissuto in prima persona». Ci tiene a ricostruire il filo della sua versione aggiungendo dettagli e situazioni, precisando contesti e tempistiche, spingendosi anche al di là delle pagine del suo recente libro intervista (Controcorrente, Laterza, 2013). 

Il punto di partenza di una lunga conversazione investe il progressivo logoramento del consenso all’esecutivo: il rapporto con il paese dopo l’aggancio all’Euro fatica a trovare nuove strade e la scelta di Bertinotti per la rottura della collaborazione di governo è un dato incontrovertibile. Nelle settimane successive all’estate prende corpo l’ipotesi di allargare la maggioranza nel dialogo con l’Udr di Cossiga che aveva votato a favore del Dpef presentato dal governo. D’Alema rivendica di essersi speso per consolidare il sostegno di un nuovo segmento del Parlamento non condividendo l’ipotesi di presentarsi in aula per conquistare il voto di singoli deputati o senatori. 

Un dialogo difficile, il Presidente del consiglio tiene la sua rotta pensando a una conta finale in un confronto parlamentare che non concede nulla a potenziali nuovi sostenitori. «Cossiga attendeva un passaggio, una disponibilità di collaborazione che Prodi scelse di non pronunciare – prosegue D’Alema – giungemmo così al voto, il governo andò sotto e iniziò la crisi». Una gestione del dibattito parlamentare che non lo persuade; rivela di essere andato immediatamente da Scalfaro per sondare le strade percorribili. «Puntavamo con decisione a un governo Ciampi mentre il Presidente della Repubblica insisteva sulle ricadute dell’Activation Order, la messa a disposizione delle Forze armate italiane per l’azione della Nato nel quadro della crisi balcanica». La sostanza del messaggio del Quirinale era quello di sgombrare il campo dalle suggestioni su scioglimenti anticipati o campagne elettorali imminenti, proprio gli atti del governo Prodi avevano consapevolmente contribuito al coinvolgimento del paese in un incerto teatro di crisi e di potenziale guerra. E qui comincia una storia quasi parallela, il Diario di Carlo Azeglio Ciampi è ricco di interrogativi e questioni aperte. 

Procediamo con ordine. Prima una telefonata di Veltroni (11 ottobre 1998) «che preannuncia la loro decisione per un “governo fotocopia” (con me presidente). Prodi sarebbe d’accordo», poi l’incontro con D’Alema a Santa Severa. Un governo nel segno della continuità, D’Alema rivela di aver parlato con Ciampi di ministri e priorità programmatiche. Sembra che tutto spinga verso quella direzione. Ciampi è diretto in Lussemburgo per un vertice internazionale; rimane mentalmente proiettato sulla squadra dei ministri, sulle linee di programma nell’attesa della chiamata che non arriva. Torna in Italia e in molti confermano attenzioni e impegni del giorno prima. Sul Diario prende nota di una telefonata con Prodi attraversata da due scenari: un re-incarico al presidente uscente o il varo dell’esperimento Ciampi II, dopo quello del 1993. Un passaggio delicato; Ciampi ricorda di aver percepito titubanze e resistenze. 

Pensava che sarebbe toccato a lui, si sentiva pronto e disponibile al tentativo. Ma Prodi alla fine accettò, volle tentare e Scalfaro aprì una breve finestra per un giro di consultazioni. «Era il Presidente del Consiglio uscente - così D’Alema ricostruisce il contenuto di una telefonata con il Presidente della Repubblica, in quei momenti concitati - era giusto dargli una possibilità, o quantomeno verificare ulteriormente le forze in campo, il sostegno a un potenziale nuovo inizio». Ciampi nel frattempo attende incredulo, segue con apprensione e annota sul Diario: «Prodi intende aggiornarmi. Non ha potuto sottrarsi a un incarico esplorativo: è pessimista». Uno spazio che si chiude. Gli strali di Cossiga contro Ciampi sono noti, scatta un veto che non è aggirabile, pesa come un macigno sugli esiti della crisi. La transizione imbocca una strada impervia, Ciampi riluttante segue con diffidenza convinto di essere stato scavalcato da eventi non chiari e non controllabili. Esclude una sua partecipazione «non farò più il Ministro in qualsivoglia governo» appunta il 14 ottobre, vorrebbe prendere le distanze anche se il richiamo delle responsabilità e degli impegni sulla moneta unica lo condurranno verso il centro dell’agone politico. Rimane un senso di amarezza, l’incredulità di non essere stato neppure avvisato o informato per tempo. Memorie divise, conflittuali o convergenti che possono contribuire a irrobustire la trama di una storia comune: storicizzare lasciti e condizionamenti del passato come snodo decisivo per guardare al futuro con rinnovato vigore.

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