Articolo
28 maggio 2014

Il voto europeo: le ragioni di un successo straordinario

Editoriale di Massimo D'Alema per Italianieuropei online


Scopo di questa
riflessione è cercare di interpretare il senso generale del voto europeo del 25
maggio e, di conseguenza, il quadro dei problemi politici che si aprono nel
momento in cui prende avvio la nuova legislatura al di là delle specificità
nazionali.



Anzitutto bisogna
rilevare che per la prima volta nella serie delle elezioni europee si è
invertito – sia pure leggermente, di appena 0,9 punti percentuali – l’andamento
declinante della partecipazione al voto, che tuttavia si attesta sul livello
assai poco soddisfacente del 43,09%. Ciò è dovuto, paradossalmente, proprio
alla presenza di liste populiste e antieuropee che hanno raccolto consenso tra
elettori che, altrimenti, quasi certamente avrebbero concorso ad aumentare
l’astensione. Se confrontiamo il nuovo Parlamento europeo con l’assemblea
eletta nel 2009, possiamo sottolineare due evidenti differenze: mentre nel 2009
vi è stata una netta prevalenza delle forze conservatrici su quelle
progressiste e di sinistra, oggi questi due blocchi hanno sostanzialmente pari
peso; inoltre è presente una terza forza antieuropea – di sicuro eterogenea, e
per questo non in grado di formare un gruppo, e tuttavia convergente su molti
obiettivi – che conta su più di 120 deputati. La sinistra, nelle sue diverse
componenti, non arretra, anzi i socialisti tengono (la pesante sconfitta in
Francia e in Spagna è compensata dai successi oltre le previsioni registrati in
Italia, in Romania e in Germania). Egualmente reggono i Verdi, mentre la
Sinistra unitaria europea (GUE) registra un certo significativo progresso. Il
voto populista e antieuropeo di destra è pagato quasi interamente dai popolari,
dai liberali e dai conservatori. Ci sono naturalmente eccezioni, in particolare
la Francia.



Se guardiamo ai grandi
numeri e alle tendenze più generali, sono i popolari, l’ADLE e i conservatori
ad arretrare, raccogliendo insieme circa 90 deputati in meno rispetto al 2009.
Cosa significa questo? È evidente che gli elettori hanno punito i partiti che
più si sono identificati con le politiche di austerità e con la gestione
attuale dell’Unione europea. A sinistra sono stati premiati (a seconda dei
diversi contesti nazionali) i partiti più critici e più credibili come forza di
cambiamento. Il PSE, purtroppo, non è stato percepito nel suo insieme come
un’alternativa forte e non ha saputo catalizzare il voto antiausterità.



Questo voto ha
favorito piuttosto i movimenti di protesta nelle loro diverse forme, anche le
più distruttive e antieuropee. L’antieuropeismo è stato alimentato non solo
dalla crisi sociale e dal rifiuto delle politiche di rigore, ma anche,
soprattutto nei paesi più ricchi, da un ripiegamento nazionalistico,
dall’ostilità nei confronti degli immigrati e dall’abbandono dei principi di
solidarietà. Esso riflette, come testimonia anche l’alto livello di astensione,
che riguarda la maggioranza assoluta degli elettori aventi diritto, la
crescente sfiducia, ormai oltre il livello d’emergenza, verso i partiti e le
istituzioni, in particolare della UE.



Nel quadro di un voto europeo
molto difficile e problematico, il dato italiano si distingue sia per la
partecipazione, che rimane tra le più alte dell’Unione, sia per il risultato
straordinario ottenuto dal centrosinistra e dal Partito Democratico. Credo che
questo successo sia legato soprattutto alla capacità di Matteo Renzi e del PD
di presentarsi come forza innovativa rispetto alla politica tradizionale e con
un programma critico verso le scelte compiute dall’Unione negli anni della
crisi. Il PD ha certamente tratto vantaggio dalla debolezza di una destra ormai
priva di una leadership autorevole e dal fatto che l’ondata populista del
Movimento 5 Stelle si era già manifestata alle elezioni politiche del 2013,
senza tuttavia determinare alcun effetto positivo nella vita delle istituzioni
del nostro paese. La novità, dunque, si era in parte già consumata e i toni
rabbiosi della campagna elettorale di Beppe Grillo hanno fatto apparire il suo
movimento più come una minaccia per un paese alla ricerca di stabilità e di
nuove prospettive che come una speranza di cambiamento.



In questo modo,
evidentemente, il Partito Democratico ha saputo catalizzare sia il voto di
quegli elettori che vogliono il cambiamento, sia una fetta importante di voto
moderato, di chi voleva fare argine al caos, all’instabilità politica e alla
violenza verbale. Questi sono stati gli ingredienti di un successo
straordinario che rappresenta oggi, certamente, un patrimonio che dovrà essere
speso con intelligenza nel governo e nelle istituzioni del nostro paese e in quelle
europee.



Il voto della scorsa
settimana impone una svolta profonda nelle politiche dell’Unione. Dovrebbero
capirlo tutte le forze europeiste, anche il PPE e l’ADLE. Una svolta capace di
riavvicinare l’UE ai cittadini, sia dal punto di vista della trasparenza
democratica e del coinvolgimento attivo, sia da quello delle politiche, che
devono puntare soprattutto su crescita, giustizia sociale e occupazione.



La posizione dei
socialisti a Bruxelles è particolarmente delicata. Non abbiamo vinto, e in
queste condizioni non è facile chiedere la guida della Commissione. Tuttavia
non possiamo neppure essere opposizione, dato che rappresentiamo ormai una
quota significativa del Consiglio europeo e in Parlamento non è possibile
alcuna maggioranza democratica che non si fondi sulla collaborazione tra
popolari e socialisti. È una situazione evidentemente assai rischiosa, nella
quale, tuttavia, occorre dare segnali forti di innovazione.



Il PSE rappresenta una
forza determinante e deve imprimere una svolta programmatica alle politiche
dell’Unione che sia coerente almeno con una parte degli obiettivi indicati nel
corso della campagna elettorale. Ciò significa innanzitutto porre delle
condizioni molto chiare e forti a chi si candida – in questo momento
Jean-Claude Juncker – alla presidenza della Commissione. In secondo luogo,
puntare su una Commissione di alto profilo politico e forte capacità di
iniziativa, in grado di uscire dalla gestione opaca e tecnocratica, totalmente
subalterna alla volontà dei governi europei più forti, che ha caratterizzato le
ultime Commissioni europee.



È fondamentale,
infine, rendere più trasparente e qualificato il confronto politico a livello
europeo, valorizzando il ruolo del Parlamento, attraverso convergenze più ampie
che vadano oltre il patto di potere tra popolari e progressisti, rafforzando le
strutture politiche europee e la loro visibilità.

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