ROMA - Gallipoli non è mai stata la culla del trasversalismo e nemmeno la madre di tutti gli «inciuci». E con Pinuccio Tatarella c'era rivalità, ma anche rispetto. Parola di Massimo D'Alema. Il presidente dei Ds definisce una «solenne sciocchezza» le accuse, neppure tanto velate, del suo avversario Alfredo Mantovano, colonnello pugliese di An, e si concentra sulla campagna elettorale. Che partirà dal Salento, terra alla quale è profondamente legato e di cui si sente degno rappresentante in Parlamento, come ricorda nello slogan che compare nei manifesti elettorali («Il nostro deputato»), per raggiungere tutta la Puglia e l'Italia. Nel collegio di CasaranoGallipoli, Massimo D'Alema gioca una sfida che ha una valenza non soltanto personale, ma anche nazionale. È dal cuore del Salento, infatti, che il presidente dei Ds «disegna» il ruolo della sinistra di governo si candida a diventarne il leader.
Onorevole D'Alema, lei ha detto che se dovesse perdere la sfida di Gallipoli contro Alfredo Mantovano tornerebbe a lavorare per il partito. Tempo fa disse anche che se la Roma avesse vinto lo scudetto si sarebbe tagliato i baffi. Che cosa farebbe più volentieri?
«Per i baffi vedremo e tocchiamo ferro. Vede, le promesse serie sono quelle che un politico fa davanti agli elettori. E quelle io ho l'abitudine di mantenerle, sempre. Non sono come Berlusconi che di promesse ne fa molte, ma non ne mantiene nessuna. Solitamente in campagna elettorale molti politici prendono impegni che poi, una volta eletti, non manterranno. Berlusconi è fantastico: lui è l'unico che le promesse non le mantiene già prima delle elezioni. Dall'abolizione delle tasse alla squadra di governo, è un susseguirsi di annunci a vuoto. Quanto al partito, me ne occupo già ora essendone il presidente e continuerò a farlo anche dopo il voto».
Nella sfida di Gallipoli lei e l'onorevole Mantovano vi giocate tutto: chi perde è fuori dal Parlamento. Il suo avversario ha detto che si è deciso a sfidarla per rispetto del sistema maggioritario e degli elettori. A Gallipoli, ha detto, si dice basta ai trasversalismi. Ve ne sono stati in passato?
«È curioso che Mantovano parli di rispetto degli elettori e del sistema maggioritario; proprio lui che oggi abbandona il collegio di Squinzano dove è stato eletto cinque anni fa. Rispettare gli elettori vuol dire anche rispondere del proprio operato e non fuggire di fronte al giudizio di quelli che ti hanno votato. Quanto ai trasversalismi, trovo semplicemente offensivo che si usino questi argomenti. È una solenne sciocchezza. A Gallipoli e in Puglia ci si è sempre scontrati alla luce del sole».
E la tanto decantata «pax tatarelliana»?
«Ma per favore. Pinuccio Tatarella era un avversario politico e una persona leale. Tra noi c'erano rivalità, ma anche una forma civile di rispetto. E certi discorsi non ne onorano la memoria».
Tempo fa lei disse che a Gallipoli vince D'Alema e non il centrosinistra. Andrà davvero così?
«Mi riferivo a un dato di fatto. Prenda i risultati delle elezioni del ‘96: ho distaccato il mio avversario di undici punti, ma nel complesso l'Ulivo ha raccolto meno voti del Polo. È una conseguenza del sistema maggioritario: la gente vota il candidato, la sua storia, il suo legame con il territorio. Io sono il deputato di Gallipoli, deputato del Salento lo sono dall'87: la gente mi riconosce come tale».
Non teme che la sua rinuncia a guidare la lista proporzionale dei Ds possa in qualche modo disorientare militanti ed elettori del partito? In fondo, erano stati loro, a novembre, ad acclamarla capolista.
«Non credo. Ho ricevuto attestazioni di stima da molte persone, anche qui in Puglia. La mia non è una scelta contro qualcuno. Ho voluto sollevare il problema evidente di una legge elettorale che così com'è non funziona. Ed anche sferzare l'Ulivo e i miei compagni a credere davvero nella possibilità di un risultato positivo. Poi, com'è naturale, farò la campagna elettorale per il mio partito e darò una mano».
Ma non ritiene che il passaggio di consegne fra lei e Giuseppe Caldarola sia avvenuto troppo rapidamente, in maniera quasi traumatica, e, quindi, possa non essere compreso dagli elettori?
«Non credo. Caldarola è stato un ottimo direttore dell'Unità, non ha mai dimenticato le sue origini baresi. È sempre stato legato alla sua terra: saprà rappresentarla degnamente in Parlamento».
Quale deve essere il ruolo dei Ds in una regione che, dall'altra parte, viene definita con una certa enfasi il laboratorio politico del centrodestra?
«Noi in Puglia siamo all'opposizione, ma lavoriamo per vincere le elezioni politiche. Riteniamo che il governo di centrosinistra sia una garanzia per la Puglia e per tutto il Mezzogiorno. Se non ci fossimo stati noi a parare i colpi del Polo e della Lega, a quest'ora il Sud sarebbe già stato abbandonato a se stesso. La Casa delle Libertà vuole che la ricchezza resti tutta al Nord. La forza con cui si batte in questi giorni per il referendum della Lombardia è un sintomo preoccupante. Bisogna riflettere su un dato: hanno detto no al referendum istituzionale di tutti gli italiani e si battono per il referendum dei lombardi. Con grande disprezzo per gli elettori, per le istituzioni e per l'unità nazionale».
Il presidente della giunta regionale pugliese, Raffaele Fitto, dice che in Puglia non ci sarà mai il referendum sulla devolution. Non gli piace il federalismo di Formigoni, ma neanche quello di Errani e Martini, governatori di centrosinistra di Emilia Romagna e Toscana. C'è già la contrapposizione fra un federalismo del nord e uno del sud? Quale può essere la sintesi?
«La sintesi è la riforma federale approvata responsabilmente dal governo di centrosinistra. È un modello rispettoso dell'unità nazionale, che tiene conto delle esigenze delle regioni meno ricche e in ritardo di sviluppo. Chi parla di referendum sulla devolution è Formigoni, non mi pare che Errani abbia intenzione di farne uno in Emilia, né mi risulta che lui e Martini abbiano mai chiesto l'abolizione delle entrate fiscali dello Stato, come hanno fatto la Lega e Formigoni. Capisco la difficoltà di Fitto: è giustamente preoccupato per le sorti della Puglia, ma deve difendere in qualche modo la coalizione di cui fa parte. Mi sembra, però, che i fatti parlino da soli».
Al centrosinistra che agita lo spettro di Bossi e dell'accordo PoloLega, Fitto ha più volte fatto notare che, finora, un danno grave al sud l'ha fatto il decreto legislativo 56 del 2000 sul federalismo fiscale. Secondo il governatore pugliese, è il risultato del suo lungo corteggiamento alla Lega...
«Il decreto sul federalismo fiscale mi sembra una misura equilibrata. Introduce un principio di perequazione e il fondo di garanzia per le regioni del Sud».
Sì, ma il presidente della Puglia dice che le regioni meridionali non sono state messe nelle condizioni di avviare il federalismo fiscale. Il nodo, insomma, è sempre la devolution.
«Corteggiare la Lega era oggettivamente difficile perché su questo provvedimento fece ostruzionismo. La verità è che abbiamo introdotto meccanismi che tutelano le regioni del Sud. Se penso che dall'altra parte proponevano l'abolizione delle entrate fiscali dello Stato mi vengono i brividi. Ci pensi, Fitto: allora sì che avrebbe dovuto chiedere i soldi a Galan per far quadrare i conti della sua regione. Lo immagina? La Puglia che chiede i soldi al Veneto. Capisco Fitto: è in difficoltà, ma deve difendere la sua parte. Anche se non è il momento di entrare in polemica con lui. Adesso l'avversario si chiama Berlusconi».
Mantovano ha invitato Fitto a Gallipoli a una grande manifestazione di tutta la Casa delle Libertà. Ha chiamato anche Berlusconi, che per ora non ha risposto. Al suo avversario piace l'«artiglieria pesante»...
«Noto che Mantovano ha sempre bisogno di qualcuno che lo accompagni. Non ha ancora imparato a camminare da solo. Prima ha chiesto aiuto a Fini, poi a Fitto e a Berlusconi. Non è più un bambino, deve battersi da solo. Io lo farò. Non ho chiesto l'aiuto di Rutelli».