Intervista
18 aprile 2001

Massimo D'Alema apre la campagna elettorale.

Casarano


Buonasera carissimi amici, care amiche, non vorrei che questa sera festeggiassimo prima del tempo, c'è un mese di lavoro, comincia una nuova tappa del nostro cammino comune. È un cammino che dura da molti anni, che ha avuto momenti più intensi e ha conosciuto momenti difficili, ma che ha costruito un legame profondo tra di noi. L'Italia si è data un sistema elettorale - un sistema maggioritario uninominale prevalente – che, tuttavia, la politica italiana ha saputo adattare come si adatta un vestito ai suoi difetti, alle sue gobbe e abbiamo finito per trasformare il sistema uninominale in una sorta di proporzionale al servizio dei partiti e dei loro leader.

Credo di essere una delle pochissime persone che fin dall'inizio ha considerato questa riforma come una cosa seria e non si è scelto un collegio sulla base delle previsioni elettorali ma sulla base del fatto che, essendo io deputato del Salento, volevo continuare ad esserlo, punto e basta. Se lo vorranno i cittadini del Salento.

Conosco sinceramente pochi uomini politici che si sono candidati nello stesso collegio nel '94, nel '96 ed oggi, fino alla testardaggine e alla noia ma anche con la volontà di interpretare il mandato di rappresentanza come un vincolo, come un legame che non può essere spezzato. Se però questo legame è vissuto con serietà e con sentimento autentico. Io penso anche che quando ci sono le elezioni i cittadini hanno il diritto di giudicare la persona alla quale hanno dato la loro fiducia e che un uomo politico ha il dovere di ripresentarsi alle persone alle quali ha chiesto la fiducia: non di andare da un'altra parte!

Vedete, in questo c'è certamente una concezione della politica che io - come tutti noi che siamo qui - considero come una cosa seria, come l'esercizio di passioni e di idee forti e radicate. La politica non è vincere sempre, per forza. In politica si può vincere e si può perdere. L'importante è non perdere i propri sentimenti, le proprie convinzioni, le proprie passioni, le proprie idee. Quella è una perdita irrimediabile! Ma in questa scelta c'è anche una indicazione per il paese e questa indicazione può essere riassunta in un nome, in un'espressione: il Mezzogiorno.
Io sono l'unico leader politico importante del paese che è candidato solo nel Mezzogiorno e che parla all'Italia perché nel corso di questa campagna elettorale, ovviamente, darò il mio contributo all'Ulivo e voi di tanto in tanto mi vedrete a Genova o a Roma, sabato a fianco di Francesco Rutelli e Giuliano Amato o a Mantova: come abbiamo sempre fatto, il pomeriggio si può andare a Genova passando anche la mattina al mercato di Casarano, non è impossibile. Ci sono dei mezzi, rapidi, che lo consentono.
Non è impossibile andare a trovare le persone, a vedere gli imprenditori e scoprirli, dopo qualche anno, non sempre purtroppo ma non di rado, più grandi e più forti. Non è impossibile coltivare un legame diretto con le persone che hanno il diritto di poterti incontrare, di dirti la loro, le loro critiche e, nello stesso tempo, partecipare alla vita politica nazionale. Io ho potuto farlo in questi anni e nei momenti in cui questo rapporto è stato più distante - perché questi momenti vi sono stati - perché la politica è anche servizio, anche responsabilità e, certo, avrei preferito passare una Pasqua in più con voi che non doverla passare ai confini con l'Albania e il Kosovo: ma dovevo andare lì, per il nostro paese.

E quando non è stato possibile continuare ad essere vicini, sono stato aiutato dalle persone, alcune delle quali – importanti - sono qui con me questa stasera: abbiamo lavorato e siamo cresciuti insieme. Lavorando con successi e con insuccessi.

Non vi dirò che abbiamo fatto tutto anche perché credo che ci sia ancora molto da fare e sono qui, con voi, per farlo. Ma abbiamo lavorato con onestà e con dedizione, per il bene del paese, del Salento, di questa comunità. Abbiamo costruito anche solidarietà, amicizie e, per quanto riguarda questa città di Casarano, innanzitutto con William e con Remigio e poi con altri, con tanti altri. Abbiamo lavorato insieme con un presidente della provincia, Lorenzo Ria, che rappresenta nel modo migliore una nuova classe dirigente nel Mezzogiorno, capace di progettare, di fare, di presentarsi al rapporto con il governo nazionale non per protestare o per piagnucolare, ma per chiedere sulla base di progetti fatti bene, di richieste tempestive, di una capacità e di una visione dello sviluppo di questa provincia.

So bene che in questi anni difficili ci sono state tante speranze e tante attese, molte delle quali non hanno trovato una risposta. Se devo essere sincero io stesso avevo sperato che l'avvento al governo di una coalizione di centrosinistra, di una sinistra che per tanti anni non aveva governato, potesse portare più largamente ad una soluzione dei problemi sociali, ad una risposta ai tanti che hanno poco e che giustamente pretendono dalla politica e dalle istituzioni una risposta ai loro problemi. Non sempre è stato possibile, ci è toccato il governo dell'Italia in un tempo difficile, in un paese piegato dai debiti, ai margini dell'Europa, in piena crisi economica e ancor più gravemente colpito da una crisi delle istituzioni, da una crisi direi morale della politica e della classe dirigente.

Abbiamo affrontato queste sfide e credo sia difficile, per chi voglia guardare le cose onestamente, negare che l'Italia di oggi ha compiuto un passo in avanti importante rispetto all'Italia del 1996, negare che noi oggi siamo parte dell'Europa, che abbiamo dato agli italiani una moneta forte, non oppressa dal rischio della svalutazione, non limata dall'inflazione se non in un limite europeo, che abbiamo ridotto il costo del denaro, che abbiamo rimesso in movimento l'economia creando in questi cinque anni 1.350.000 nuovi posti di lavoro, che abbiamo avviato grandi riforme nel campo della scuola, della pubblica amministrazione, della sanità e del fisco. Non senza contrasti, perché le riforme toccano anche interessi, suscitano contrarietà e non basta scrivere una buona riforma se non si conquista il consenso di chi in questi grandi apparati pubblici vive e lavora. E’ quello che stiamo cercando di fare, anche correggendo via via, lungo il cammino. Ma queste riforme erano essenziali per difendere ciò che deve essere garantito ai cittadini.

Abbiamo privatizzato fabbriche, liberalizzando servizi come mai nella storia d'Italia. Quando siamo andati al governo c'era il monopolio di Stato dei telefoni, ora c'è la libera concorrenza e ciascun cittadino può controllare le tariffe e scegliersi la compagnia che costa di meno. Molto si è fatto ma abbiamo difeso ciò che non può essere privatizzato: il diritto all'istruzione, il diritto alla salute, il diritto alla sicurezza dei cittadini. Il diritto è uguale per tutti, per gli italiani del nord e del sud.

Vedete come diversamente l'altra parte guarda all'Italia. Io sono qui questa sera a Casarano, vengo da Alezio. Tutto il gruppo dirigente della destra si occupa solo della Lombardia, aprite i giornali, sentite i telegiornali: la vita politica italiana, anziché discutere del problema del lavoro, dello sviluppo del Mezzogiorno, di chi ha bisogno, ruota intorno alle minacce e ai ricatti di Bossi che pretende che il 13 maggio si voti il referendum della Lombardia e la destra - che non ha voluto che si votasse il 13 maggio il referendum sul federalismo di tutti gli italiani perché dice che disturbavano le elezioni politiche, il
referendum Istituzionale sulla riforma federalista, quella di tutti gli italiani - pretende in Lombardia di usare i seggi dello Stato, a spese nostre, per fare il loro referendum contro il Mezzogiorno e contro l'unità del paese.

Bossi ha detto si deve fare così e Berlusconi ha detto va bene. E se si comincia così in campagna elettorale vi lascio pensare che cosa succederà dopo! Vedete com'è diversa l'Italia vista da Arcore e vista da Casarano e com'è importante che nella politica italiana ci sia qualcuno che vede l'Italia da Casarano e dal Salento.

So bene quanti problemi, difficoltà, sofferenze ci sono ancora intorno a noi. La realtà della disoccupazione, tanto più angosciosa quando riguarda persone giovani e anche non più giovani, che continuano a vivere nelle loro famiglie, ma anche la realtà del lavoro nero, di ragazze e ragazzi che faticano per 5/600.000 lire al mese presi di nascosto. La realtà di un territorio che, pur essendo indiscutibilmente cresciuto, conosce ancora tanti problemi e tante ingiustizie tanto che vorrei che certi signori, che pensano che lo sviluppo del sud sarà impetuoso se si abbassano i salari, sapessero quali sono i salari veri di quelli che lavorano negli scantinati per fare le scarpe. Ma anche la realtà di aziende che crescono, che competono, che innovano, quante ve ne sono qui nella zona industriale di Casarano, di imprenditori giovani, intelligenti, che hanno saputo competere non con i salari in nero, lavorando con le università, con i centri di ricerca; imprenditori che hanno trovato il modo di produrre a costi competitivi.
C'è un nuovo Mezzogiorno che comincia a crescere e noi, in questi anni, lo abbiamo aiutato sostenendo una programmazione dal basso, quella dei patti territoriali, dei contratti d'area, lo abbiamo aiutato con leggi più efficaci.

Gli imprenditori si lamentano sempre, ed è giusto che quando incontrano un nuovo politico si lamentino, ma spesso si lamentano passeggiando dentro il grande capannone costruito con i soldi della 488. Magari alla fine ti dicono sì, quella è una buona legge, è una legge automatica, non bisogna chiedere favori a nessuno, ma ti dicono che è una buona legge come se fosse piovuta dal cielo! No, l'ho fatta io, l'ha fatta il centrosinistra, l'ha fatta l'Ulivo quella buona legge per il Mezzogiorno, non è piovuta dal cielo!

Prima c'era una cattiva legge per la quale si doveva aspettare anni per avere un contributo e magari pagare la tangente a qualche onorevole; ora c'è una buona legge perché c'è stata una buona classe dirigente e questa legge continua, ancora ieri - basta aprire il Quotidiano - si leggeva di 280 miliardi per le piccole imprese del Salento, altri 1260 posti di lavoro per i nostri ragazzi e per le nostre ragazze. Non basta, lo so che non basta, ma sono passi in avanti.

Oggi se un imprenditore investe nel Mezzogiorno ha il vantaggio di non pagare le tasse, di defalcarsi dalle tasse. Anche qui, non deve chiedere niente a nessuno: il credito d'imposta per l'investimento che ha fatto e 10 milioni per ogni nuovo dipendente che assume spinge le imprese ad investire qui da noi, non ad andare all'estero. Qualche giorno fa, a Casarano, per discutere dei problemi difficili di un settore come il calzaturiero che vive una profonda trasformazione ed anche una crisi - che ci sta a cuore e dalla quale si deve uscire con l' innovazione e con la qualità - abbiamo chiamato degli esperti e un grande imprenditore, uno dei protagonisti del made in Italy. Lo abbiamo chiamato anche per invogliarlo ad investire qui e non all'estero come stava facendo, per spiegargli che se investe qui avrà i benefici previsti dalla legge dello Stato e avrà anche il vantaggio di trovare a Casarano quelli che le scarpe le sanno fare, senza bisogno di andarlo ad insegnare, cosa legittima, a popoli che avrebbero bisogno di molto tempo per imparare.

Abbiamo di fronte una stagione di opportunità: ce lo siamo conquistato, ve lo siete conquistato con le scelte difficili, con i sacrifici di questi anni. Oggi il paese è più forte, ha di fronte a sè anni di crescita economica. Si potrà discutere se sarà il 2,5, il 2,8 per cento, ci sono profeti di sventura che dicono che sarà meno del 2,5. Per un paese come l'Italia il 2,5% di crescita del Pil vuol dire oltre 50 mila miliardi di ricchezza in più ogni anno: ce n'è per tanti, se ci sarà qualcuno che garantirà che vada a tanti, altrimenti saranno pochi a prenderseli. La destra rappresenta i pochi, la parte più ricca, il Nord più ricco.

Ci sono due modi diversi di guardare alle opportunità degli anni che verranno. C'è il modo che Berlusconi ha proposto di ridurre subito di dieci punti le tasse a quelli che hanno un reddito di più di 200 milioni, quindi a una certa parte del paese. Rutelli ha detto "noi vogliamo arrivare a non far pagare le tasse ai redditi familiari fino a 40 milioni". Sono due scelte diverse. Una parla alla parte più ricca del paese. Così come ci sono due diversi federalismi. C'è chi dice “più potere alle regioni”: sì, ma anche alle province, ai comuni, e lo Stato deve garantire un fondo di solidarietà che offra a tutti cittadini italiani le stesse opportunità; c'è chi dice “ognuno faccia per sè, ognuno si tenga i suoi soldi, la Lombardia i suoi, il Piemonte i suoi”: anche qui due modi diversi, una politica che mette in primo piano i più deboli, i lavoratori, i pensionati, il sostegno ai redditi medio bassi e una politica che guarda agli interessi dei più ricchi.Una politica che mantiene anche nel decentramento dei poteri un principio di solidarietà e una politica che questa solidarietà la vuole cancellare nella logica dell' ognuno per sé. Questa è la sfida, questa è la differenza, nessuno dica domani che non c'era nessuna differenza. E il centrosinistra ha dimostrato di sapere governare e si è conquistato nel tempo dei sacrifici il diritto di governare nel tempo della crescita, quello nel quale oggi siamo entrati, e di affrontare le nuove sfide.

Le nostre qualità, i nostri difetti, l'eccessiva frammentazione, la litigiosità di una politica che è rimasta indietro rispetto ad un paese che si è rimesso in cammino, tutto questo è noto e non sarebbe onesto nasconderlo. Io non mi presento a
voi dicendo che sono operaio, imprenditore, casalinga. Non siamo in uno spettacolo di varietà. Noi siamo uomini politici, come l'onorevole Berlusconi, ma con una differenza: noi siamo uomini politici seri, in grado di ammettere i difetti, le cose non fatte, i problemi non risolti. Però noi siamo anche la garanzia della determinazione, della serietà nell'affrontare questi problemi.
Dall'altra parte c'è il massimo dell'incertezza, lasciatemelo dire, c'è il massimo della confusione e del rischio. Un rischio che nasce da una coalizione eterogenea, nella quale si va da Rauti a Bossi, una coalizione che non ha un programma. Berlusconi non presenta agli italiani un programma, vi manderà a casa le sue fotografie, i racconti della sua vita, i fotomontaggi che lo raffigurano alto e bello, ma non c'è programma c'è solo lui, non c'è una squadra di governo.
Avete saputo, ha detto “presenterò agli italiani la mia squadra di governo”, nulla. Adesso dice “non lo farò, perché noi siamo seri”: queste cose non si possono mica improvvisare così in campagna elettorale; ha fatto tutto da solo, è un caso straordinario!

Nel mondo ci sono uomini politici, cattivi politici, che in campagna elettorale fanno delle promesse e dopo le elezioni non le mantengono. Ma di uomini politici che non mantengono le promesse già durante la campagna ce n’è uno solo, è un record planetario, e noi possiamo cominciare ad enumerare le bugie dichiarate. Aveva promesso, mai accordi con i neofascisti di Rauti, come fa lui: “lo giuro”. Dopo di che abbiamo scoperto che nel Lazio e in Sicilia hanno fatto l'accordo con Rauti. Ha detto “Sì, ma è un fatto locale”, come se fosse una questione di mancaversa: sono 10 milioni di abitanti, le due regioni dove si deciderà il risultato elettorale. Berlusconi ha mentito e punta a vincere con l'apporto determinante dell'estrema destra dichiaratamente neofascista, cosa che nessun leader democratico in Europa potrebbe accettare. Ha mentito, ha mentito ora, ha detto e ha disdetto nel corso della stessa campagna elettorale. E così ha fatto per la famosa questione della squadra di governo.

Loro non possono presentare programmi e squadre, sono un assemblaggio intorno alle ambizioni di un uomo solo. E quando la politica si riduce ad essere una forza al servizio delle ambizioni di un uomo solo, la politica dà una grande sensazione di forza ma, in realtà, è molto fragile e pericolosa. Anche perché un uomo solo è fragile al di là dell'apparenza e della forza.
L'Ulivo è una classe dirigente, è un leader, un leader giovane, espressione di quella realtà dei sindaci eletti dai cittadini, che è una grande realtà nuova dell'Italia. Ma l'Ulivo è anche una classe dirigente sperimentata, in grado di governare il paese, di essere a fianco di Rutelli, oggi e domani, nella soluzione dei problemi dell'Italia.
L'Ulivo è un insieme di forze, di culture, che ha proposto all'Europa un nuovo volto dell'Italia. Un'Italia seria, in grado di mantenere i suoi impegni.

Vedete per me non è stato un peso lieve dover affrontare la responsabilità della guerra e dovere partecipare alle decisioni drammatiche, non è nella mia cultura, non è nel mio DNA, ma mi sono reso conto in quel momento che era in gioco, da una parte i diritti umani fondamentali, il diritto di un popolo di vivere nella sua terra, il diritto a credere nel proprio Dio, il diritto alla sicurezza. E quando li ho visti lì e ho visto quale immagine di sofferenza si portavano dietro queste famiglie che fuggivano dal Kosovo, ho capito che era giusto agire anche con la forza per fermare quella violenza inumana; ma c'era in gioco anche il prestigio dell'Italia, il fatto che essendo l'Italia un grande paese, uno dei paesi più ricchi del mondo, uno dei paesi che contano, l'Italia non poteva essere da meno della Gran Bretagna, della Francia, della Germania, degli Stati Uniti d'America, per la parte che toccava a noi e vi assicuro che quando siamo arrivati alle decisioni il presidente degli Stati Uniti mi ha detto "Noi capiamo che l'Italia si trova in una posizione delicatissima, che questo conflitto avviene ai vostri confini, che c'è un rischio per il vostro paese e noi non pretendiamo che l'Italia si impegni, ci basta che ci diate le basi militari”. Io gli ho detto “Caro presidente, noi non siamo portaerei, se si decide che occorre colpire noi faremo la nostra parte come gli altri”.

Noi in questi anni abbiamo lavorato anche perchè i nostri figli potessero girare per l'Europa senza passaporto, come i francesi e come i tedeschi e non fossero considerati di serie B; perché la nostra moneta fosse come la loro e non fosse una moneta di secondo livello; e perché l'Italia potesse sedere al tavolo dei paesi che contano. Nei giorni in cui facevamo la guerra noi abbiamo fatto di tutto per finirla e per fare la pace, lo sanno tutti, anche il generale Clark che ha detto “Si, il governo italiano ci ha ostacolato, ha cercato di impedire in ogni modo che si facessero i bombardamenti sulla città”, lo ha detto in un'intervista al New York Times. E’ vero, noi eravamo lì con loro ma, senza dubbio, siamo stati il paese che più di tutti ha lavorato perché al più presto finissero i bombardamenti. Non ci dormivo la notte all'idea dei bombardamenti però, con gli altri, avendo conquistato il diritto a dire la nostra perché ci eravamo messi al livello degli altri - non
l'Italietta di tangentopoli, dei mandolini, degli spaghetti, buonissimi peraltro - ma un grande paese in grado di stare con gli altri.

Guai se noi dovessimo ritrovarci - dopo i sacrifici di questi anni, magari
perché qualcuno si è fatto sedurre da questa specie di Fregoli - molti gradini più sotto del livello a cui siamo faticosamente saliti.

Si tratta anche di difendere ciò che si è fatto e di aprire un cammino per il futuro. Adesso comincia la campagna elettorale, abbiamo un competitore combattivo, presente, so che telefona a tutti, so che va in giro, è suo diritto. Hanno lanciato una grande sfida.

In questa sfida c’è naturalmente anche il gusto, il thrilling di una battaglia senza rete che attira l'attenzione; vedete io lo faccio per il turismo, è venuto Fini, si dice che verrà Berlusconi, perfetto, benissimo! Capisco anche che loro, se qui noi saremo battuti, otterranno il risultato di mandare a casa Massimo D'Alema, che dal loro punto di vista non è un piccolo risultato, lasciatemi essere immodesto, perché di fronte alla sfida abbiamo accettato il rischio.

Questo renderà questa battaglia più appassionante e questa scelta darà anche a voi, voi cittadini, un potere in più, perché se io fossi stato capolista nel proporzionale, voi non avreste potuto mandarmi a casa, mi sarei eletto da solo, invece voi lo potete fare, ed era giusto che i cittadini di questo collegio avessero questo potere. Ho chiesto a voi la fiducia e voi avete il potere di mandarmi a casa, tutto questo renderà più appassionante, più elettrizzante questa sfida, ma mi spinge anche a chiedervi, in modo ancora più accurato, il sostegno, il voto, l'aiuto, in una prova elettorale che ancora una volta metterà il Salento sotto i riflettori dell'attenzione politica nazionale. Anche questo è importante: l'Italia non è soltanto Milano, Roma, Napoli: anche noi siamo Italia e siamo un pezzo di Italia importante, dove si gioca una sfida importante.

Noi vogliamo vincerla e io sono veramente contento - lo dico con assoluta sincerità e credo che già qualcuno di voi lo sappia che sono un buon attivista che non dimentica i compagni di battaglia - che in questa prova elettorale sia al mio fianco, come candidato al Senato dell'Ulivo, una personalità di questa città di Casarano. Non solo per le qualità umane, per la storia politica, la sensibilità di un uomo come Claudio Casciaro nel quale si avverte, la forza di una matrice cattolica democratica e dei valori importanti su cui si fonda l'impegno politico - e l'impegno politico deve fondarsi su valori importanti e quando questi valori si sentono come autentici questa è una garanzia, un marchio di qualità - ma c'è anche la ragione, perché non dirlo, e il valore per Casarano di tornare ad avere un proprio senatore, in grado di rappresentare in una squadra - e l'Ulivo è una grande squadra, noi siamo una piccola squadra per il parlamento della Repubblica e faremo squadra con i sindaci, con l'amministrazione provinciale - ma intanto noi due in squadra potremo lavorare efficacemente insieme, con le radici nel territorio, l’amore per il Salento, la proiezione sulla vita politica nazionale: c’è tutta la filiera di un impegno che può consentirci di continuare a camminare insieme e di ottenere nuovi successi.

Grazie.

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