Intervista
28 settembre 2001

Americano e me ne vanto

L'autocritica («L'antiamericanismo è un errore») e gli elogi («Bush si è mosso con notevole saggezza») del presidente ds. Intervista a Panorama


di Paola Sacchi - da Panorama

Commosso. Massimo D'Alema, ex premier: «Dopo gli attentati mi sono detto: ci bombardano. Perché New York, l'America, sono casa nostra».

«Dalle Twin Towers ebbi la percezione più chiara di cosa fosse la globalizzazione. Era il '94, vedevo New York per la prima volta. Salii sulle torri per visitare una grande società finanziaria: la Merrill Lynch. A un desk un paio di ragazzi di colore, molto simpatici, compravano e vendevano titoli pubblici italiani. Capii che da quello che facevano dipendeva buona parte della nostra vita pubblica. Mi dissero che in caso di attentato sarebbe entrata in funzione anche una seconda centrale operativa, in un luogo segreto. Sorridendo pensai: che esagerazione. L'11 settembre, dopo l'attentato, mi sono detto: ci bombardano. Perché New York, l'America, sono casa nostra».
Massimo D'Alema, presidente ds, ex premier dal 1998 al 2000, l'uomo che oggi sta tentando l'impresa storica di schierare tutto il suo partito a sostegno degli Usa, racconta a Panorama il suo rapporto con il paese che per la sinistra è stato spesso considerato alla stregua di un avversario. E lui stesso confessa di essere stato un po' antiamericano ai tempi del Vietnam. «Però presto diventai anche antisovietico: ero a Praga quando arrivarono i carri armati russi. Non lo dimenticherò mai».

Ora lei si sente un po' più «americano»? Il rapporto con gli Usa è stato in questi anni un punto importante della nostra politica, del nostro divenire socialisti europei. Durante la guerra del Kosovo abbiamo collaborato strettamente con l'amministrazione Clinton. Abbiamo via via maturato una relazione con gli Stati Uniti, una comprensione del loro ruolo, che ha determinato un grande cambiamento delle posizioni tradizionali della sinistra.

Fu lei, con l'adesione del suo governo alla guerra in Kosovo, a rompere a sinistra il tabù dell'uso della forza...
La verità è che l'avversione riguardava solo l'uso della forza da parte degli americani e dell'Occidente. La grande novità del Kosovo fu la dimostrazione che l'uso della forza da parte della comunità internazionale può essere volto non a fini di dominio, ma di affermazione dei diritti umani.

È sicuro che sia venuto meno ogni residuo di antiamericanismo nel suo partito?
L'antiamericanismo è un errore. Ma è duro a morire, è sopravvissuto a lungo dentro un mondo segnato dalla guerra fredda. Oggi è un punto di vista che non ci aiuta a capire la realtà.

Non teme di vedersi bollato come «D'Alema l'americano»?
Stare con gli Usa non significa rinunciare allo spirito critico, alla visione di un'Europa autonoma. Il puritanesimo americano, l'idea manichea del mondo, porta talvolta a fare degli errori. Ma anche l'Europa ha fatto i suoi errori, di opportunismo e cinismo. Ora dobbiamo combinare la voglia americana di colpire il male con l'inclinazione più europea all'uso di strumenti politici. L'azione militare non basta. Bisognerà ripartire dalla pace in Medio Oriente.

Lei aveva ottimi rapporti con il democratico Bill Clinton. Ora, con il repubblicano George Bush, cambieranno i rapporti tra gli Usa e la sinistra italiana?
È presto per valutare. Ma devo dire che in queste ore così drammatiche gli americani, nella sostanza, si sono mossi con notevole saggezza e souplesse politica, con attenzione per gli alleati.

Quando tornerà negli Usa?
Presto. Mi hanno invitato alcune università per tenere conferenze.

L'offensiva contro il terrorismo sarà lunga e dolorosa. Non vede il pericolo che la sua linea non regga dentro il partito, tanto più nello scontro congressuale, e che ricominci la sfida tra sinistra riformista e antagonista?
Spero, davvero, di no, sarebbe un disastro. Il ruolo del Paese, la nostra esperienza di governo, sono un bene di tutti. Le mie posizioni le ho fin qui espresse a nome di tutto il partito. Ciò è tanto più apprezzabile perché so che ci sono aree che vivono tutto questo con sofferenza, in particolare la sinistra ds.

Si candiderà premier nel 2006?
Non mi pare francamente molto probabile. La questione è un'altra: di fronte a un passaggio di questo genere il centrosinistra ha scoperto che aver avuto un presidente del Consiglio, una classe di governo, è una risorsa e anche un modo per essere più ascoltati. Quindi, mi accontenterei di molto meno: vorrei che il mio partito e l'Ulivo considerassero le personalità che hanno dimostrato di saper governare un patrimonio politico. Non qualcosa da combattere, come purtroppo è accaduto in una certa fase che spero sia finita.

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