Discorso
24 gennaio 2003

D'Alema - La mia solidarietà ad Asor Rosa


Vorrei esprimere la mia solidarietà ad Alberto Asor Rosa. E vorrei farlo pubblicamente per una ragione particolare. Asor Rosa ha scritto un libro sulla guerra – la guerra contemporanea – che si può certamente discutere. Personalmente, mi trovo in dissenso con una parte – e non la meno significativa – dell’analisi suggerita e delle conclusioni che se ne traggono. Nei confronti dell’autore avrei molte altre ragioni di polemica, e persino di amarezza. Ma, ovviamente, non è questo il punto.

Asor Rosa, a margine di una presentazione del suo libro, è stato accusato da un gruppo di giovani esponenti della comunità ebraica milanese di alimentare l’antisemitismo. Imputazione che non ha pari. Forse, dopo il ‘900, la più terribile che possa colpire la reputazione e la dignità di un intellettuale. Immagino che l’episodio lo abbia colpito e ferito. Egli ha comunque replicato con misura e anche di questo, credo, è giusto dargli atto.

La mia solidarietà, però, non nasce solo dalla stima e da una consuetudine antica. C’è un aspetto rilevante della vicenda che penso debba venire in luce. Gli ebrei hanno vissuto, e conservano sulla pelle oltre che nella memoria, la più devastante delle persecuzioni. Ma proprio per questo pesa su ciascuno di loro una responsabilità. Che è quella di vigilare, col rigore necessario, su ogni possibile sintomo di una rinascita possibile dell’odio e della violenza antisemita. Per molte ragioni essi possiedono più di chiunque altro l’autorevolezza, e non solo il diritto, di denunciare il riemergere di quei sentimenti che hanno infangato la storia del secolo passato, causando un lutto collettivo dal quale non si libereranno molte generazioni a venire. Se mi è concessa la semplificazione, è come se avessero a disposizione un’arma di straordinario potere. Che, come tutte le armi, va usata con criterio e ragionevolezza, pena il produrre un danno irreparabile al funzionamento dell’arma stessa, e cioè la perdita della sua credibilità.

Non sono tra quanti ritengono l’antisemitismo, nel mondo contemporaneo, un incubo definitivamente sconfitto. Tutt’altro. Ma appunto questa convinzione dovrebbe spingere tutti – anche i giovani ebrei di Milano – a non usare quell’accusa micidiale contro persone la cui biografia, cultura e mentalità rappresentano una testimonianza di sentimenti esattamente opposti. Quando poi, la critica e la violenza verbale trovano riparo nell’idea che non si possa criticare – come molti fanno – una politica sbagliata, quale quella perseguita da Sharon, allora il pericolo incombente – duole dirlo – è quello dell’intolleranza verso posizioni che hanno il solo difetto di non essere condivise.

Rifletta, dunque, Asor Rosa – come egli ha detto che farà – sulle critiche ricevute. E riflettano i ragazzi di Milano sulla loro reazione e sulla necessità di non “consumare” inutilmente parole che conservano un valore e un significato profondo anche per quanti possono, con piena legittimità, coltivare una lettura diversa delle cose del mondo. Ne trarrà giovamento la cultura, certo, ma anche la serenità e il respiro di un libero confronto delle idee capace – laddove il momento venisse davvero – di individuare il nemico giusto.

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