Discorso
6 marzo 2003

RAI. Non basta un presidente a garantire l’autonomia.

da "Il Messaggero" - L'opinione di D'Alema


dalema113_img.jpg
Si può salvare la Rai? La vera domanda è questa.
Come restituire alla più grande impresa culturale del paese l'equilibrio e la serenità necessari per assolvere degnamente il suo compito. Non è un obiettivo banale. In poco meno di un anno, la gestione uscente ha scandito le tappe di un calvario. Polemiche incessanti, la censura preventiva di Biagi e Santoro, strappi regolamentari e ascolti in caduta libera, fino al rocambolesco trasferimento leghista di Rai 2, il consuntivo della presidenza Baldassarre ha precipitato nell'imbarazzo buona parte degli stessi sponsor che l'avevano sostenuta. Ma adesso? Che si fa adesso, e cosa dovrebbero fare, in particolare, i Presidenti della Camere per ristabilire un po' d'ordine a Viale Mazzini dopo un tornado del genere? La proposta affacciata l'altro ieri da Pera e Casini e che i giornali hanno sintetizzato in un presidente dell'opposizione e quattro consiglieri della maggioranza, è sembrata ad alcuni l'uovo di Colombo.

La soluzione migliore per uscire dall'empasse, garantendo alla minoranza parlamentare una solida figura di riferimento (il vertice aziendale) e al governo la rassicurazione di una maggioranza indiscutibile del consiglio. Tutto bene allora? Direi di no. E per due ragioni semplicissime. La prima è di forma, anche se mai come in questo caso la procedura è sostanza. La legge al proposito è chiara. Non spetta ai Presidenti delle Camere indicare o eleggere il presidente della Rai. Loro compito è scegliere cinque personalità di provata competenza da nominare nel consiglio di amministrazione. Sono poi i cinque consiglieri a votare uno di essi come presidente.

La distinzione non è affatto di lana caprina. E' chiaro infatti che il presidente, chiunque egli sia, deve poter contare dentro il consiglio su una maggioranza che lo sostiene, per non parlare della necessità imprescindibile di un rapporto fiduciario con il direttore generale. Queste sono le condizioni richieste per poter governare con efficacia un'azienda complessa e delle dimensioni della Rai. Mentre è altrettanto chiaro che un presidente "di garanzia" per l'opposizione ma, nella sostanza, privo di una sua maggioranza, con ogni probabilità è destinato, nella quotidianità del nuovo ufficio, a non toccar palla. Dunque anticipare la scelta del presidente nel modo indicato non solo viola le procedure e le norme previste, ma rischia di determinare - ecco la seconda ragione di perplessità - un aggravamento ulteriore dello stato di salute di un'azienda già provata da mesi di una gestione sciagurata e destinata in questo modo a una nuova e prolungata fase di ingovernabilità.

Ora, il fatto che due personalità esperte come i presidenti delle Camere si siano spinti ad avanzare l'ipotesi che si va discutendo in queste ore, è senza dubbio un atto di coraggio. Nel senso che essi, anche attraverso lo strappo introdotto, hanno riconosciuto l'esistenza di una situazione anomala rappresentata da un capo di governo che è, al contempo, il referente politico della televisione pubblica e il proprietario della più grande televisione commerciale concorrente.
Un'anomalia, dunque, che non solo esiste ma che è tale da spingere la seconda e terza carica dello Stato a farsene meritoriamente carico, a fronte della colpevole assenza di un'iniziativa del governo, e dello stesso presidente del Consiglio, tesa a risolvere il problema.

Il punto - insisto - è che la soluzione prospettata rischia di non sciogliere il nodo, o meglio può risolverlo solo se la nomina alla presidenza della Rai di una personalità legata all'opposizione, consente di governare effettivamente l'azienda, seppure in un quadro di garanzie e di controlli. L'alternativa, stante la condizione attuale assai più probabile, è il prevalere di un'operazione di facciata con un presidente "di minoranza" che potrà durare sì e no quindici giorni dal momento che una maggioranza a lui non omogenea (i quattro consiglieri e il direttore generale) boccerà la quasi totalità delle sue proposte.

Chiedo sinceramente: è uno sbocco che ci possiamo permettere? E aggiungo, davvero, dopo il disastro dei mesi scorsi, la Rai nel suo complesso, il Parlamento e il paese possono esporsi a un rischio del genere? Temo che il fallimento, a quel punto, riguarderebbe tutti, maggioranze, minoranze e soprattutto il servizio pubblico radio-televisivo. Quindi che fare? Personalmente, sono dell'idea che in una situazione tanto ingarbugliata la via migliore sia anche la più semplice. La nomina - nel rispetto pieno della legge - di un consiglio di amministrazione non lottizzato, composto da cinque personalità il cui prestigio personale e la cui biografia professionale appaiano, e siano, indiscutibili. E a seguire, la scelta, tra questi, di un presidente di equilibrio e di garanzia per tutti, maggioranze e minoranze.

E' un messaggio ambiguo o meno chiaro della proposta di Pera e Casini? Non credo. Ad alcuni forse potrà apparire, nella tormentata storia della Rai e del rapporto tra la televisione e la politica, una mezza rivoluzione. Ma, a volte, basta una punta di coraggio - un piccolo colpo di reni - per stupire anche gli scettici.
Ho stima umana e politica nei confronti dei presidenti della Camera e del Senato. Mi auguro abbiano la forza e la determinazione giuste per un atto che premierebbe la loro coerenza e correttezza istituzionale. E d'altra parte, alla luce di quel che ci lasciamo alle spalle, verrebbe da dire "se non ora, quando?".

stampa