Discorso
13 marzo 2003

Illegittima la guerra senza il sì dell’Onu.

da "il Messaggero", l'opinione di D’Alema


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PACE e guerra sono temi difficili. Spesso laceranti. Lo sono per le coscienze individuali prima ancora che per gli schieramenti politici.
Anche per questo, alla vigilia di decisioni rilevanti per i futuri equilibri del mondo, l'assenza di una posizione chiara da parte del governo italiano è un fatto sconcertante.

Siamo l'unico grande paese che affronta la crisi più grave degli ultimi anni in uno stato confusionale, senza una linea di condotta esplicita e trasmettendo il messaggio imbarazzante di una navigazione a vista. In fondo le opinioni in campo, giunti al punto in cui siamo, hanno tutte per lo meno il dono della chiarezza. C'è chi ritiene che il tempo della diplomazia stia per scadere e che ogni altro giorno concesso a Saddam indebolisca la lotta al terrorismo internazionale.

Per questo Stati Uniti, Gran Bretagna e Spagna hanno presentato un progetto di risoluzione che ponga un ultimatum all'Iraq e autorizzi l'uso della forza. Dall'altra parte vi sono molti paesi contrari a questa prospettiva e che pensano, come la Francia, la Germania, la Russia e la Cina, che si debba continuare lungo la strada definita dalla risoluzione 1441 e cioè attraverso le ispezioni che cominciano a dare risultati sostanziali anche grazie alle pressioni e alla minaccia di un intervento militare. Sono due posizioni chiare. Quale è la posizione dell'Italia? Boh! Non è dato saperlo. Il ministro della Difesa ha detto che lui sarebbe per un attacco; ma poi ha soggiunto che è un’opinione personale. Piuttosto grottesco che in una crisi così drammatica non ci sia una posizione del governo. In queste ore si vanno compiendo sforzi diplomatici per evitare una drammatica rottura alle Nazioni Unite che coinvolgerebbe i rapporti euro-americani e l'unità stessa dell'Europa. Berlusconi ci fa sapere di essere consultato, di essere, come è naturale, a contatto con i potenti della Terra.
Ma non è dato sapere per quale soluzione operi l'Italia se non attraverso affermazioni banali e formule generiche che mutano a seconda dell'interlocutore di turno.

Per molti versi è un imbarazzo comprensibile. In un primo tempo Berlusconi si è schierato coll'impeto e l'ardore del neofita a sostegno dell'amministrazione americana, mosso dall'idea di capitalizzare a proprio vantaggio un asse privilegiato con la Casa Bianca. Poi, come gli capita sempre più di frequente, i sondaggi ne hanno raffreddato l'entusiasmo. E quella maggioranza assoluta di elettori, anche suoi, contraria alla guerra lo ha spinto a scegliere la più perigliosa delle acrobazie, dare ragione a tutti e di conseguenza a nessuno.

Atteggiamento discutibile sempre, ma semplicemente deleterio quando in ballo sono il ruolo, il profilo e la credibilità internazionali del Paese.
In una situazione tanto confusa, ancora una volta il Capo dello Stato ha detto poche semplici parole. Senza travalicare le sue prerogative ha dettato le coordinate di una posizione chiara dell'Italia nella crisi che stiamo vivendo. Coordinate che si riassumono in due discriminanti di fondo, la centralità delle Nazioni Unite e il rispetto della Costituzione. Il senso è chiaro. L'Italia non può sostenere né tanto meno partecipare a un'azione militare che non sia decisa dall'Onu anche perché risulterebbe in contrasto con l'articolo 11 della nostra Costituzione. Articolo nel quale il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali è temperato dalla accettazione delle limitazioni di sovranità necessarie ad assicurare «la pace e la giustizia fra le Nazioni», promuovendo a tal fine le organizzazioni internazionali rivolte allo scopo. Tradotto significa che l'Italia può limitare la propria sovranità solo in presenza di apposite deliberazioni da parte di organismi e istituzioni sovranazionali delle quali il nostro Paese abbia liberamente accettato di far parte.

Fu così, del resto, nel 1999 quando, a fronte di una pulizia etnica in corso, la Nato deliberò l'intervento armato nel Kosovo. Bisogna ricordare però che neppure quella decisione della Nato fu da noi considerata sufficiente per dare legittimazione alla invasione militare di uno stato sovrano. E i nostri soldati e quelli degli altri paesi entrarono nel Kosovo solo dopo essere stati autorizzati da una risoluzione adottata all'unanimità dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Lo stesso criterio dovrebbe valere per l'oggi. In questo caso davvero "senza se e senza ma", dal momento che in gioco non è una valutazione di parte, ma il rispetto del dettato costituzionale.

Questo, non altri, è il punto. Che qualsiasi sostegno italiano a una guerra condotta unilateralmente dagli Stati Uniti si configura come un atto politicamente e moralmente inaccettabile. E soprattutto incompatibile con quanto previsto dalla nostra Carta costituzionale.
Qui, a questo livello, il governo deve dire quale linea intende seguire. E deve farlo ora, nel momento in cui si assumono decisioni che condizioneranno anche il nostro futuro.

Dal presidente del Consiglio vorremmo una risposta. Una semplice risposta che finora, purtroppo, non c'è stata. La dovrebbero esigere la politica e il rigore di una classe dirigente. Lo esige certamente un paese che ha il diritto di sapere cosa pensa e cosa intende fare chi oggi lo governa.

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