Discorso
22 maggio 2003

Sfida ideologica e problemi reali

da "Il Messaggero", l'opinione di D'alema


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Ilvo Diamanti, sulla base di un'indagine recente, sostiene che solo 1 per cento degli italiani sarebbe interessato al tema del federalismo. Altre ricerche registrano ai primi posti tra le preoccupazioni dei cittadini il costo crescente della vita, la qualità dell'assistenza sanitaria, l'avvenire lavorativo dei figli. Parrebbe, sempre consultando queste analisi, che argomenti come la giustizia e le magagne processuali del premier occupino gli ultimissimi posti della graduatoria o non siano neppure conteggiati nella classifica.

Coll'effetto di rendere abbastanza clamoroso lo scarto tra ciò che preoccupa le persone comuni e ciò che, invece, pare angosciare maggiormente il capo del governo.

La questione si può anche liquidare in due battute, dal momento che le cose, secondo alcuni, sono sempre andate così. Con una politica prigioniera dei propri calcoli. E una società interessata ai suoi problemi e alle sue incertezze. Se merita soffermarsi sul fenomeno, è perché lo sbilanciamento tra i due ambiti sembra assumere da qualche tempo caratteri e proporzioni largamente inedite. Come se il Paese reale latitasse sempre più nella sensibilità e nella testa di chi, almeno sulla carta, dovrebbe dedicarsi principalmente ad esso.

Qualche traccia di questo umore si può cogliere pure nella campagna elettorale delle ultime settimane. A Roma, in primo luogo, ma non solo.

Il turno elettorale, come si sa, è di tipo amministrativo. L'appello, dunque, è a scegliere un buon sindaco o il futuro presidente della Provincia. Ed è per i più, oramai, prassi consolidata distinguere tra competizioni diverse, sapendo che una cosa è affidare la gestione di casa propria, altra giudicare l'azione complessiva del governo. Eppure, forse mai come in questa occasione, si coglie una difficoltà, un'estrema difficoltà, della maggioranza a misurarsi con la sfida elettorale. Non mi riferisco solo a qualche fisiologica turbolenza interna, particolarmente esuberante in terra friulana. Penso proprio alla scelta di giocare, ancora una volta, la carta del furore ideologico pensando di trarne il massimo beneficio elettorale.

Ora, per quanto mi riguarda dubito fortemente che i cittadini del Tufello o Rocca di Papa siano lì a interrogarsi sul legame di Gasbarra con quel che resta del comunismo internazionale. Mentre ho piuttosto l'impressione di un tentativo estremo, in particolare da parte dei presidente del Consiglio, di deviare ingenuamente l'attenzione dall'agenda concreta dei problemi verso quel terreno simbolico - la lotta frontale a una sinistra maligna - che non poche soddisfazioni gli ha regalato in passato. So quanto siano azzardati, in generale, i pronostici elettorali. E quanto probabile sia rinfacciare a chi si avventuri nell'esercizio il più che possibile errore. Nonostante ciò, arrischio un'ipotesi. Ho l'impressione che la strategia berlusconiana tutta incentrata sull'impropria politicizzazione dei voto amministrativo, stavolta non pagherà. E che il partito del premier possa, al contrario, pagare un prezzo salato sul piano del consenso e della sua capacità d'essere in sintonia col comune sentire di una parte larga dell'opinione pubblica. Quella stessa, per capirci, chiamata a fare i conti - come ci dicono le ricerche sul campo - prima che coi cosacchi, col prezzo di frutta e verdura. Angosce certamente meno eclatanti per chi si proclama paladino di libertà, ma di qualche significato per i tanti impelagati a combinare il pranzo con la cena.

Coltivo insomma la speranza di un sano recupero di realismo da parte di tutti. E in primo luogo di chi ha oggi responsabilità decisive di governo. Sarebbe un gran bel risultato se fossero gli stessi elettori del centrodestra, o una quota di essi, ad ammonire la leadership di quello schieramento sul pericolo di uno scollamento profondo tra gli interessi particolari di un ceto politico c quello generale del Paese.

In fondo, il voto di domenica prossima suona, almeno in parte, come un test per verificare se questo nostro Paese, come credo e spero, ha davvero acquisito una piena laicità dei confronto politico ed elettorale. Se si è lasciato alle spalle le tossine dello scontro ideologico, approdando infine a una visione della politica dove i valori contano - e guai se così non fosse - ma, com'è giusto, dentro una cornice condivisa di regole e principi che non consente a nessuno, da destra o da sinistra, dì imputare all'avversario la volontà di stravolgere libertà e democrazia. Un Paese maturo, insomma, moderno, europeo nel senso di un'adesione convinta ai valori di una comune civiltà. Perché è anche da questo che si verifica lo stata di salute di una democrazia.

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