Discorso
1 giugno 2003

Alla ricerca di un’Europa...

da Il Messaggero l'opinione di D'Alema


L’Europa è sempre stata un tema difficile. Non la retorica europeista quella fondata sulle parole ma le scelte concrete che sorreggono il disegno di un'Europa politica. La ragione è semplice. E' dalla cessione più o meno ampia di sovranità che nascono da sempre le resistenze più forti al processo d'integrazione. Ed è esattamente questa l'origine della critica severa che il presidente della Commissione Europea ha rivolto nei giorni scorsi al progetto di nuova Costituzione elaborato dalla Convenzione di Bruxelles. Il punto, in estrema sintesi, è che in quel progetto c'è molta meno Europa di quanto sia oggi necessario. E siccome questa verità appare in tutta la sua evidenza, noi stiamo con Prodi.

Ora, non mi sfugge la difficoltà di tanti cittadini a cogliere il filo di una discussione apparentemente tecnica. E però noi non siamo alle prese con una semplice querelle procedurale, ma con un confronto delicatissimo che investe il futuro dell'Europa e il suo ruolo nel mondo. Ma procediamo con ordine. La competizione tra un'Europa intergovernativa vale a dire centrata sul patto d'azione e d'interdizione reciproca tra i diversi governi e un'Europa comunitaria, dove l'accento è posto sull'autorità delle istituzioni comuni, non è nata ieri e si trascina da qualche decennio. La novità, casomai, è nel tentativo di offrire al problema una soluzione condivisa, superando quel tanto d'ambiguità sempre meno compatibile con l'esigenza di istituzioni solide, autorevoli, e in grado di far pesare la nostra voce dentro gli scenari della globalizzazione. Sotto questo profilo la posizione di Romano Prodi sembra ineccepibile. Nel senso che la proposta di Costituzione, almeno per com'è ora, rafforza l'elemento intergovernativo penalizzando la dimensione delle istituzioni comuni.

Può anche darsi che in questo modo si vada verso un maggiore coordinamento delle politiche dei singoli paesi il che è certamente un fatto positivo ma non è questo ciò di cui ha bisogno l'Europa a venticinque che ci apprestiamo a varare. Più che di un coordinamento delle politiche nazionali, infatti, la sfida è predisporre strategie e politiche comuni, in particolare su quei terreni uno per tutti, il ruolo dell'Unione nelle crisi internazionali dove conta l'unità d'intenti e di azione e dove il semplice raccordo organizzativo, come si è visto anche nella recente crisi irachena, non è sufficiente.
Quella avviata dunque è una discussione che riflette visioni diverse dell'Europa e del suo avvenire. E forse merita ricordare che la tradizione del nostro paese si è sempre mossa dentro il solco di un'Europa comunitaria. Siamo stati, da Altiero Spinelli in avanti, tra i più coerenti e coraggiosi costruttori di un'Europa federale, e dunque ha ragione Giuliano Amato a dirsi colpito negativamente della scelta di cancellare quell'aggettivo dalla bozza finale dell'articolato.

Personalmente, sono anche convinto che sia quella la visione più democratica dal momento che un governo europeo, legittimato dal Parlamento e fondato sul libero voto dei cittadini, esprime certamente una concezione più partecipata del mero coordinamento dei governi. Per molte ragioni dunque la sinistra italiana è affezionata all'idea di un'Europa federale, nel senso di una vera e forte Europa politica, e francamente stupisce che il Governo tradisca la solida impostazione del nostro Paese in tal senso, venendo meno a un sentimento europeista largamente condiviso. Così come, su un versante diverso, sbaglia Tony Blair a privilegiare l'unione di Stati sul modello della federazione, perché così facendo egli più che difendere il profilo e lo spazio politico della Gran Bretagna tende a fiaccare la forza contrattuale dell'Europa.
La stessa critica ad un super-presidente europeo appare giustificata dal fatto che quella soluzione finirà inevitabilmente coll'indebolire le istituzioni comuni. Ma un esito del genere altro non sarebbe che l'accettazione della minima Europa necessaria. Insomma un volar basso a fronte di esigenze che il contesto mondiale ci rappresenta con ben altra intensità.

La verità è che l'Europa ha bisogno di più politica, di più unità d'azione e di una maggiore efficacia nel modo in cui assume le proprie decisioni. E' in questi tre ambiti che si decide gran parte del nostro futuro. Se sapremo rilanciare effettivamente crescita e sviluppo, se riusciremo a superare una visione esclusivamente nazionale delle politiche sociali e fiscali. Se avremo finalmente una politica estera e di sicurezza dell'Europa. E, infine insisto , conterà come l'Europa assumerà le sue decisioni. Se insistendo sul metodo dell'unanimità, in una logica che finirebbe coll'esaltare il dissenso producendo una paralisi della sua iniziativa. O adottando in modo più largo ed efficace il principio di maggioranza, così da restituirle una capacità d'azione e un ruolo attivo sulla scena mondiale. L'esito della partita non è segnato. E spetta anche all'Italia, nella chiarezza delle posizioni, fare fino in fondo la propria parte.

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