Discorso
15 novembre 2003

Assemblea congressuale dei Democratici di Sinistra <br>Roma 14 e 15 novembre 2003

Intervento di Massimo D’Alema


Carissime compagne e compagni,

non era facile, come ci ha ricordato poco fa Antonio Bassolino, far sì che questa nostra assemblea discutesse mantenendosi in sintonia con il Paese. E’ stato merito innanzitutto di Piero Fassino e di molti dopo di lui essere riusciti a tenere ferma l’agenda della nostra discussione e nello stesso tempo a parlare ad un paese turbato e ferito. A collegarsi come ancora in queste ore dobbiamo fare con grande attenzione alle emozioni e ai sentimenti degli italiani e di tutti noi che saremo tra qualche ora uniti intorno ai resti dei nostri connazionali caduti in Iraq che tornano in patria, mentre nuove immagini di morte giungono dalla Turchia a ricordarci quanto tragica e impegnativa sia la sfida del terrorismo fondamentalista.
Mi ha colpito ieri un sondaggio pubblicato da un grande quotidiano sul tema del ritiro del contingente italiano. Ci restituiva l’immagine di un paese diviso a metà: una maggioranza ristretta contro, molti a favore. Ho provato a capire le ragioni degli uni e le ragioni degli altri e ciò che forse più profondamente unisce tutti gli italiani. Nel no al ritiro delle nostre truppe si esprime anche un senso di vicinanza, di solidarietà anche umana verso quei nostri concittadini che laggiù sono, al di là delle ragioni di chi li ha mandati, al servizio della gente dell’Iraq, con quel senso di amicizia e di umanità che è proprio dei nostri militari e dei nostri volontari civili nelle missioni di ristabilimento della pace. Con quel volere stare in mezzo alla gente irachena che forse ha reso più indifesi i nostri militari ma che è stata la chiave del successo italiano nelle missioni internazionali. Quella straordinaria capacità di stabilire con le popolazioni un rapporto civile ed umano. Nel no al ritiro delle nostre truppe c’è anche la dignità di un paese ferito che ritiene persino disonorevole offrire l’immagine della fuga il giorno dopo dell’attacco. Mi ha colpito che centinaia di giovani carabinieri si siano offerti come volontari. Non dobbiamo sentirci anche noi orgogliosi di questo? Dobbiamo regalare questo sentimento alla destra? Io non lo credo. Dall’altra parte c’è, largo, il rifiuto della guerra, la critica di una scelta che è stata di subalternità e che ha diviso l’Europa, c’è la preoccupazione per una missione di cui al di là delle intenzioni nobili non si comprende in questo quadro il senso, la durata, gli obiettivi realistici. Insomma, vi sono ragioni nel no e nel sì e io credo che in momento come questo sarebbe sbagliato mettere al centro questo quesito che divide il paese e divide la sinistra. Io credo che in un momento come questo una grande forza politica deve parlare all’insieme degli italiani e tenere unita la dignità del paese con l’amore per la pace, la volontà di concorrere davvero a isolare e sconfiggere il terrorismo, impegnarsi per offrire una speranza vera al popolo iracheno. Questo è il terreno sul quale sfidare il governo. Poi discuteremo se vi sono le condizioni per mantenere quella missione, dopo avere verificato fino in fondo se vi è la possibilità di ottenere quella svolta del senso della missione e quindi nella gestione della crisi irachena che abbiamo chiesto qui e che avevamo chiesto in Parlamento. Cadere nella trappola di porre al centro oggi il tema del ritiro significherebbe regalare a Berlusconi una posizione fin troppo facile. Rispondere di no attestandosi dietro un sentimento oggi così forte nel paese.
Noi dobbiamo porre al governo problemi più complessi, richiamarlo alle sue responsabilità. Alle sue responsabilità di paese che ha la presidenza dell’Unione Europea e che neppure in un momento così drammatico sente il dovere di chiedere un vertice straordinario dell’Europa per riprendere in mano questa drammatica crisi, per riaprire un discorso con gli Stati Uniti come Europa, ora che la stessa amministrazione americana capisce che deve cercare una via d’uscita a quella che appare sempre di più una trappola ed un fallimento. Dobbiamo chiedere al più presto un dibattito sui temi della politica estera del nostro paese. Dobbiamo chiedere che l’ONU torni a discutere essendo chiaro che lo stesso compromesso che si è raggiunto nella risoluzione 1511 richiede di essere portato avanti con coraggio, con determinazione, di essere verificato nella sua applicazione, se davvero si vuole arrivare a una gestione multilaterale di questa drammatica crisi. Dobbiamo chiedere al governo italiano che cosa dirà l’Italia a Sharon, quando nei prossimi giorni sarà ospite del nostro paese, essendo chiaro come non mai il nesso tra la tragica vicenda irachena e la tragedia del Medio Oriente, come due aspetti di una battaglia vera contro il fondamentalismo che potrà vincere soltanto se offrirà pienezza di diritti, speranza, dignità ad un mondo islamico con il quale rischiamo di precipitare in un vero e proprio conflitto di civiltà.
E’ l’Europa lo snodo di questa sfida perché al fondo degli errori della politica italiana c’è, come ci ha ricordato oggi Vittorio Foa in una bella intervista pubblicata sull’Unità, quel vizio di fondo di antieuropeismo, quell’idea ristretta dell’Europa, ristretta, mercantile, di un’Europa di cui non solo non si comprende la dimensione politica ma dà persino fastidio la dimensione normativa, dato che almeno per le regole europee non c’è il rimedio dell’amnistia e del condono che si applica largamente alle regole italiane. Ed è per questo che la lista unitaria per l’Europa nasce innanzitutto come sfida alla destra che governa il paese sul terreno sul quale si manifesta più profondamente la sua incapacità a guidare l’Italia. E come rilancio di quella visione dello sviluppo italiano, del rinnovamento italiano, come parte integrante di un processo di unità politica dell’Europa che è stata la visione alta del centrosinistra e dell’Ulivo alla metà degli anni ’90, quando vincemmo e conquistammo il governo del paese.
Prodi ci ha proposto una piattaforma coraggiosa e avanzata di idee, valori, titoli. Certo, da riempire in un confronto, in una elaborazione che dovrà coinvolgere – come molti compagni hanno detto giustamente – dal basso le forze politiche, i cittadini, le associazioni, i movimenti che vorranno confluire in questo processo unitario. Una lista unitaria – lo ha detto Bassolino con una espressione che gli ruberei e la metterei nel nostro programma – una lista unitaria dentro una grande coalizione del centro sinistra. Un fattore di unità al di là delle forze che convergono in questo processo. Io credo che quella idea dell’Europa, quel rilancio di un federalismo democratico, quella visione dell’Europa nell’equilibrio internazionale, di un’Europa unita e forte, protagonista di un nuovo multilateralismo, protagonista di uno sforzo per governare la globalizzazione; di un’Europa che non soltanto difende il suo modello sociale - chè se pensassimo di difenderlo elevando delle barriere intorno a noi risulterebbe indifendibile – ma che propone il suo modello sociale come un valore in un momento in cui il mondo si unifica, come un punto di riferimento anche per altri popoli, per altri paesi. E’ esattamente quell’Europa che si sforza di riformare il capitalismo globale. E non è questa forse la sfida al di là di tante dispute sulle parole di un moderno riformismo? Riuscire a domare e a regolare il capitalismo globale, combattere le ingiustizie e le disuguaglianze che la globalizzazione porta con sé, fare quadrare il cerchio del rapporto tra sviluppo globale delle forze produttive, democrazia, diritti della persona.
Io credo che questa lista unitaria nasca a partire dalla proposta di Prodi, dal suo contenuto e da ciò che noi approveremo qui su proposta di Bruno Trentin e del gruppo che ha lavorato con lui. Questa prospettiva nasce nel segno di una piattaforma programmatica avanzata e coraggiosa, in grado di parlare anche in Europa il linguaggio di un europeismo più avanzato e più coraggioso - perché non dobbiamo dirlo? – di quello che oggi caratterizza l’insieme delle forze socialiste anche per il condizionamento che sulla posizione dell’insieme esercita il freno di chi, anche tra i socialisti, è meno europeista di noi. E questo io credo che faccia giustizia nel merito partendo dai contenuti di quel timore di un assemblaggio dei moderati che Piero Fassino ha respinto e che anima la preoccupazione legittima di tanti compagni. Sullo sfondo di questa battaglia per l’Europa c’è l’Italia, c’è la possibilità di una iniziativa politica innovativa, in grado di accelerare il percorso di una nuova fase politica. Certo non sarà questo lo scopo delle elezioni europee ma è del tutto evidente che all’accelerarsi della crisi del centrodestra deve saper rispondere un salto di qualità della nostra iniziativa. E la lista unitaria è un salto di qualità e lo si vede già da come questa nostra iniziativa agisce sull’insieme del campo politico, sfidando anche la destra a ragionare sulla sua conformazione politica, obbligandoli a discutere di una possibile lista unitaria del centrodestra. Ce la faranno, non ce la faranno, non lo so: se ce la faranno la sfida si caricherà di un forte contenuto politico, bipolare, come credo corrisponda alla nostra visione della politica. Se non ce la faranno partiranno dal gradino più in basso, nel senso che noi sapremo dimostrare dall’opposizione una capacità di innovazione della politica che questa destra che ha vinto promettendo di cambiare l’Italia non è stata in grado di produrre dal governo. Questa iniziativa ha già spostato i termini del confronto, li ha spostati in avanti.
E dopo? si domanda. Noi non siamo chiamati a discutere la formazione di un partito unico e certamente nel decidere qui e oggi e nel decidere la lista unitaria non pregiudichiamo il nostro futuro, del quale restiamo padroni. Faremo un congresso, valuteremo questa esperienza. Lo dico perché davvero, qui, non sfidiamoci con argomenti avvocateschi. Ed è del tutto evidente che si apre un processo nuovo nel quale sono anche evidenti differenti interpretazioni, resistenze, timori, ma dall’altra parte io vorrei che in questo processo nuovo noi mettessimo il nostro peso non dalla parte delle resistenze e dei timori ma dalla parte del coraggio, dell’ambizione, del progetto. Che male c’è a pensare che dopo la lista si possa lavorare a costruire una grande formazione politica di tipo nuovo? Forse la parola partito non rende il senso di una confederazione aperta e non soltanto alle forze politiche ma anche in forme nuove alla società civile e ai movimenti. Che male c’è a pensare che un sistema di partiti, spezzettato e fragile come quello che c’è oggi in Italia, inevitabilmente incoraggia le tendenze plebiscitarie e presidenzialiste mentre invece la costruzione di grandi soggetti politici va nel segno di una democrazia partecipata che noi vogliamo? E davvero noi pensiamo che in un processo di questo tipo svanisca la sinistra? Ma quale idea timorosa, minoritaria della sinistra italiana! O che diventiamo – come ha detto un compagno al quale io voglio bene, ci conosciamo da tanti anni – “oggettivamente moderati”, con un’espressione antica, che anticamente suonava sinistra e che oggi è tenera come tutto ciò che ci ricorda la nostra giovinezza. E’ curioso che in queste ore quei moderati a cui dovremmo consegnarci mani e piedi legati siano anch’essi invece timorosi che, unendosi a noi, smarriscano loro l’identità e sono lì a dire “non vogliamo essere inglobati”. Vedete, la specularità di queste paure dimostra in realtà che esse sono infondate. Perché noi abbiamo bisogno che in questo processo unitario siano forti le ragioni dei cattolici democratici – vorrei che mi sentissero – perché anche a loro dobbiamo parlare e certamente non vogliamo cancellare in questo processo unitario la presenza di quel mondo democristiano che ha scelto di stare con noi contro Berlusconi, che è una presenza preziosa. E nello stesso tempo siamo ben certi che non svaniranno le ragioni della sinistra e vorrei dire a quei nostri compagni, che sono con noi e che si sentono legittimamente più a sinistra di noi, che un processo di questo tipo ha particolarmente bisogno di una sinistra e non solo perchè saremo sfidati a sinistra da chi, naturalmente, cercherà anche per ragioni elettorali una competizione legittima. Ma non solo per questo ma perché una forte anima di sinistra è necessaria alla natura stessa della lista unitaria e della formazione politica che dopo potrebbe essere. Una forte anima di sinistra capace di ancorare il grande partito democratico, di governo del centrosinistra italiano alla questione sociale che oggi riesplode in modo drammatico a partire dal tema più arcaico ma vero, quello dei salari, e a quella passione della lotta contro l’ingiustizia che è la molla fondamentale per una forza della sinistra che voglia rimanere tale. Fabio mussi ha detto “quante incognite”, ha ragione. La nostra è una generazione che ha dovuto vivere una enorme quantità di incognite. E’ così e forse non lo avremmo immaginato quando ci siamo incontrati, lui ed io, nel novembre del 1967, e allora certamente avevamo maggiori certezze. Però ad ogni passaggio di questo lungo processo di cambiamento si è riaffacciato il timore che il cambiamento comportasse una perdita di identità, uno smarrimento di valori. Io non ironizzo su questo timore perché è importante che ci sia, perché non è affatto scontato che l’innovazione non porti davvero una dispersione di valori, una perdita di identità, uno smarrimento della passione: non è affatto scontato. E io penso che anche in questi timori si esprima un valore reale di cui si deve tenere conto ma ho fiducia che alla fine di questo lungo cammino, pieno di incognite, noi non avremo smarrito le nostre ragioni, i nostri valori, le nostre passioni. Certo, non possiamo vivere in modo così “scorticato”, come diceva Adriano Sofri, ma abbiamo dovuto tenere dentro una corteccia, anche perché questa è la condizione dell’agire politico e non della testimonianza. Ma io non credo che oggi, a molti anni ormai dal superamento del Pci - e forse allora ero io uno di quelli che temeva ed altri invece furono più determinati di me, vedete com’è curioso..! – si sia smarrito in questo paese il senso della presenza della sinistra, dei suoi valori e dei suoi ideali e non sarà così nel futuro perché garanzia di questo siete voi, cari compagni, e con voi milioni e milioni di donne e di uomini del nostro Paese.

stampa