Discorso
23 gennaio 2004

Volto nuovo ma politica invecchiata


E' annunciata per domani a Roma la rentrée ufficiale di Silvio Berlusconi in una manifestazione convocata nel decennale della nascita di Forza Italia. Buon per lui e bene per il Paese. Vuol dire che il capo del governo è in ottima forma e che finirà l’ozioso tormentone sulle cause della sua assenza prolungata. Vorrà anche dire che l’attenzione tornerà sui contenuti, sottraendo la politica al protagonismo esagerato di chirurghi plastici e visagisti.
Detto ciò, l’episodio è interessante non tanto per le implicazioni estetiche ma per il profilo di un uomo politico, ché tale per definizione è il presidente del Consiglio, a dieci anni dalla sua “discesa in campo”. Esattamente il 26 gennaio del 1994, colui che a tavolino aveva pensato e modellato Forza Italia spediva alle redazioni dei telegiornali la cassetta con il primo dei suoi discorsi alla nazione. Era l’annuncio solenne di una svolta radicale, una scelta di vita che avrebbe condotto il potente imprenditore televisivo a vestire i panni dello statista. Su quella vicenda la sua origine, le modalità con le quali si manifestò, le conseguenze indotte le opinioni come è logico divergono, ma comunque la si pensi, non c’è dubbio che essa investì il sistema politico e istituzionale con la forza di un tornado e una durata ben più lunga delle previsioni allora dominanti. Quel che interessa, a un decennio dal fatto, è confrontare le premesse di quella scelta e gli approdi successivi.
Silvio Berlusconi irrompe nella politica italiana come simbolo del “nuovo”, raccogliendo in questo una domanda diffusa. Il Paese aveva alle spalle il crollo dei due terzi della vecchia classe dirigente e la disperata esigenza di individuare una rottura col passato, in primo luogo sotto il profilo dei volti e del linguaggio. Il volto, dunque.
Anche all’inizio della sua vicenda politica, la faccia del capo del governo giocò un ruolo, e per nulla irrilevante. Quella faccia già allora levigata e sorridente era garanzia di uno strappo con le antiche cerimonie travolte, al pari dei cerimonieri, da una sorta di bancarotta morale. Era, quello di Berlusconi, il volto che meglio seppe interpretare la domanda di novità. Nuovo era l’aspetto, nuova la cornice degli spot, nuovo il linguaggio scelto, così distante all’apparenza dalla gergalità in uso fin lì. Poi sono seguiti anni di dura battaglia politica. Con un successo dell’Ulivo nel ’96 e la rivincita della destra nel 2001 che ha riportato il neofita di allora a Palazzo Chigi. Ma cosa è cambiato in questi dieci anni nel profilo del leader indiscusso del centrodestra? Stando esclusivamente ai fatti, la modifica principale si coglie proprio sul piano che consegnò a Berlusconi la sua prima sonante vittoria: la verità semplice come spesso sono semplici i meccanismi della politica e del consenso è che il capo del governo non è più “il nuovo”. Ha perduto per strada l’atout fondamentale della sua discesa in campo. Quella particolare freschezza (anche solo apparente) che lo rendeva un marziano tra i terrestri, esaltando i tratti di una biografia molto poco ortodossa per la politica italiana. L’uomo che si era fatto da sé, il capitano di un’impresa vincente, quello abituato a parlar poco e agire molto. E’ quasi secondario, oltre che scontato, indagare col senno di poi sulla veridicità di quelle affermazioni.
Conta di più ricordare quale peso ebbero nell’orientare l’atteggiamento e il voto di milioni di elettori. Il punto è che quell’immagine è svaporata col tempo e con la consuetudine che molti di quegli elettori hanno stabilito col Cavaliere. Per cui dove prima prevaleva la novità ora domina il recupero di riti e linguaggi datati e al “sogno di un nuovo miracolo italiano” si sostituisce la “verifica” di governo, il “rimpasto” dei ministri, il “vertice di maggioranza” dal quale non può che venire una “schiarita” con tutti gli alleati. L’uomo partito per riformare la politica e il suo linguaggio è stato riformato a sua volta. Al punto da essere oggi costretto a resuscitare i fantasmi di un passato che, a parole, si era impegnato a cancellare. Personalmente, la trovo una parabola interessante. Non perché sia radicata in me l’idea di un primato della politica, che per altro non ho mai inteso come il prevalere di vecchi riti. Ma perché, esattamente a dieci anni dal suo beau geste, Silvio Berlusconi si trova a interpretare la parte a lui meno avvezza. Quella di esponente di una vecchia, vecchissima politica che tanto promette e nulla fa. Subendo con ciò la condanna peggiore. Proprio lui, l’uomo che sul motto “lasciatemi lavorare” aveva fondato carisma e impero.
Tutto questo, in fondo, rende anche più comprensibile la scelta eventuale di un ritocco qua e là. Può darsi sia il modo di sublimare sul piano estetico ciò che la politica non è più in grado di offrire, la certezza della novità. In questo vi sarebbe persino qualcosa di alto e tragico al tempo stesso. O comunque di umanamente comprensibile.
Anche se poi, maliziosa torna alla mente quella vecchia battuta dei due amici al museo. Col più arrogante a dire «...e questa roba orribile sarebbe un altro esempio di pittura surrealista?». «No, quello è uno specchio».

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