Discorso
14 febbraio 2004

"Il cammino che comincia oggi è importante per l’Italia" <br>

Intervento alla Convezione per la Lista Europea


Carissime amiche, cari amici, cari compagni,
vorrei innanzitutto esprimere la gratitudine, tutti noi dobbiamo essere grati, a Romano Prodi che si è messo in gioco con molto coraggio e con generosità proponendoci di fare ciò che stiamo facendo. E credo che abbia avuto ragione lui quando ha deciso che deve rimanere al suo posto, rispettare il suo impegno istituzionale, dando così una lezione ad altri che pensa, invece, di potersi candidare in elezioni nelle quali non è neppure eleggibile anziché fare il lavoro al quale è stato chiamato dagli italiani. Ma Romano Prodi ha dato il suo impegno personale, e lo farà tra poco, a questa impresa. Ha messo in gioco il suo nome, ha tagliato i tempi di un messaggio all’Italia perché ha compreso che non c’era più da attendere.
Dobbiamo essere grati ai leader dei partiti che hanno deciso di concorrere a questa lista unitaria anch’essi con una scelta generosa – vorrei smentire Gad Lerner – non abbiamo come lui ha detto “un” amministratore delegato - ottimo anche perché ha riportato l’azienda in attivo - ma Piero Fassino, Francesco Rutelli, Enrico Borselli e la nostra cara amica Sbarbati - che, avete sentito, con quanto orgoglio ha ritrovato in questa esperienza le ragioni della sua passione politica - hanno deciso di concorrere a questa avventura comune. E per leader di partito che attendono un buon risultato elettorale - che, normalmente, è appunto la sanzione di un buon lavoro svolto – rinunciarvi, nel nome di un risultato comune, è un atto di generosità. Qui non si uniscono forze che stanno arretrando, che sono in rotta, non si uniscono partiti che devono nascondere il loro risultato, si uniscono forze che sono in crescita in ogni parte del paese e che raccolgono il consenso crescente di tanti italiani delusi dal fallimento della destra.
Quella che stiamo compiendo è una scelta importante e non c’è dubbio - senza enfasi retorica - che queste giornate possono lasciare un segno nella storia del nostro paese. Ma io vorrei innanzitutto sottolineare che il progetto che abbiamo messo in campo si rivolge all’Europa, in primo luogo all’Europa, all’Europa che vive un momento così difficile della sua storia, all’Europa che è apparsa divisa e impotente di fronte alle scelte unilaterali e brutali della destra americana. All’Europa che non è riuscita ad approvare la sua nuova Costituzione e che appare priva di istituzioni forti, in grado di governare l’allargamento evitando di ridurre l’unione in un’area di libero scambio. All’Europa che appare affaticata e lenta nella sua economia percorsa da un senso di incertezza e di paura del futuro. Mai come in questo momento l’Europa ha bisogno di un progetto coraggioso intorno a cui raccogliere le sue forze migliori, un progetto coraggioso e radicale che io non vedo nel panorama della politica europea, neppure nel campo socialista e riformista. La destra ci ha dipinto spesso come una forza - noi il centro sinistra - malata di un europeismo acritico, retorico: non è così. Mai come in questo momento il nostro europeismo è critico è esigente. Ciò che ci divide da loro è che essi criticano l’Europa per quello che ha fatto, mentre noi la critichiamo per ciò che non ha avuto il coraggio e la capacità di fare.
Il problema non è l’euro, il problema è la mancanza di una politica economica, di un’armonizzazione fiscale, delle politiche sociali, il problema è che non vive una moneta unica senza un’autorità politica che indirizzi lo sviluppo e le scelte. Il male dell’Europa è essersi fermati a metà strada, come alla metà di un guado che appare rischioso se non c’è il coraggio di andare avanti. Non c’è, sarebbe buffo, una destra che vuole investire e crescere e una sinistra che difende l’ortodossia monetarista del patto di stabilità. C’è una destra che vuole rinazionalizzare le politiche economiche, restituendo flessibilità alle politiche di bilancio, magari per premiare questa o quella corporazione, per alimentare questo o quel privilegio. E c’è dall’altra parte uno schieramento progressista che dice che il patto di stabilità può essere radicalmente reinterpretato consentendoci, come è giusto, di investire grandi risorse sull’innovazione, la formazione, lo sviluppo, la ricerca. Risorse e investimenti che, come nel bilancio di ogni impresa ben condotta, non possono essere messi sotto la voce “spese”. Ed è soltanto un’Europa unita, che getti le sue forze congiunte verso uno sviluppo qualitativamente nuovo, che può rimettere in cammino la crescita ma anche dare lavoro di buona qualità e speranza ai nostri giovani.
Dunque ci vuole più Europa, istituzioni più forti, più Europa perché anche l’Onu conti di più nel difendere insieme la pace e la sicurezza, più Europa per correggere le distorsioni di una globalizzazione, di una economia che, abbandonata a sé stessa, ci ha dato un mondo più ingiusto. E lì noi abbiamo perduto o comunque è stato il limite della esperienza degli anni novanta, quando i progressisti hanno governato in Europa e negli Stati Uniti ed anche con risultati importanti, positivi e tuttavia non abbiamo avuto la capacità di affrontare il vero grande problema che era quello di governare la globalizzazione, di costruire una dimensione sovranazionale della politica e del governo. Siamo stati – lo ha detto Bill Clinton – troppo ottimisti a proposito della globalizzazione. O, se vogliamo dirlo con parole crude, anche noi abbiamo subito il fascino direi l’egemonia di una impostazione neoliberale di cui oggi misuriamo i risultati e la sconfitta.
La globalizzazione ha bisogno di istituzioni forti. Anche per questo noi dobbiamo dire la verità e la verità è un po’ a metà strada tra quello che sostiene Rosy Bindi e quello che può sostenere chi come noi si sente legato alla grande famiglia del socialismo europeo. E’ vero, io credo, che oggi in nessuna delle grandi famiglie politiche europee c’è il senso pieno di questa sfida, c’è la determinazione a prendere in mano la bandiera dell’unità e del rinnovamento dell’Europa. Dobbiamo riconoscere che anche la famiglia socialista è attraversata da contraddizioni, debolezze, segnata da un ritorno o da una persistenza di resistenze nazionalistiche all’unità europea, marcata in diverse sue parte da una subalternità alla politica americana. Non c’è solo Blair in Iraq: ci sono i governi socialisti della Polonia, della Romania, dell’Ungheria e davvero se noi presentassimo quel mondo, quel movimento come un modello a cui approdare non saremmo convincenti. Ecco perché io penso che rispetto a chi nella sinistra dice “fate la lista unitaria, annacquate la sinistra” per molti aspetti l’idea dell’Europa, il progetto per l’Europa che dall’Italia noi possiamo lanciare con la lista unitaria è più radicale, più innovativo, più coraggioso di quello che oggi pensa una parte della sinistra europea, questa è la verità. Se partiamo dai contenuti, come tante volte ci viene detto, e non dalle sigle. E penso che questo messaggio l’idea cioè che in un grande paese europeo, 55 milioni di abitanti, in uno dei paesi fondatori dell’unione, l’idea che una lista che ha questo segno europeista, radicale, coraggioso possa avere un grande successo elettorale. Questo è un messaggio per tutta l’Europa, può incoraggiare chi in ogni paese dell’unione vuole l’unità, vuole il federalismo europeo, vuole un’Europa forte.
Certo, se questo è vero d’altro canto è anche vero che non c’è un pieno parallelismo di queste due crisi: la crisi della famiglia del popolarismo europeo è la fine del centrismo democristiano e l’esito è uno spostamento a destra. Il partito popolare diviene sempre di più punto di raccolta di forze conservatrici, nazionalistiche fino a perdere parte importante della sua natura. Berlusconi è uno dei leader del partito popolare europeo. Il campo socialista pur attraversato dalle contraddizioni che ho ricordato, pur sempre meno autosufficiente è, tuttavia, tanta parte di quella nuova alleanza riformatrice europeista alla quale noi vogliamo concorrere. Proprio per questo io considero la lista a cui diamo vita una sfida anche per il socialismo europeo, per la sua capacità di mostrarsi aperto, di non chiudersi in una ortodossia sterile, di promuovere un incontro con un mondo cristiano, liberale, laico, ambientalista:
non è solo una questione italiana. Il bipolarismo europeo e la crisi del centrismo in Europa libera forze di ispirazione diversa da quella socialista che possono divenire parte essenziale di una nuova coalizione riformatrice ed europeista. E nello stesso tempo il socialismo europeo deve sapere dialogare con i nuovi movimenti della società civile, con il pacifismo, con la critica alla globalizzazione ed anche con una sinistra radicale.
Non è privo di interesse il tentativo di costruire una sinistra radicale in Europa postcomunista, non più segnata dai vincoli di una vecchia ortodossia. Tutto il mondo politico europeo si è rimesso in movimento e non può essere letto attraverso vecchie categorie e in questo movimento, in questo processo di riorganizzazione noi ci collochiamo con una grande e nuova iniziativa politica. Saprà il socialismo europeo coglierne il significato, la portata, aprire i suoi confini? Se fosse così anche il tema del gruppo parlamentare acquisterebbe un altro segno ma non lo sappiamo e trovo sinceramente oggi difficile e persino inutile accapigliarsi in una disputa di questo tipo. Ciò che è importante è che noi abbiamo chiara la direzione di marcia anche se i singoli passaggi verranno via via determinati dalla nostra iniziativa e da quella degli altri; io credo tuttavia che con questa lista l’esperienza italiana appare destinata ad avere un peso in Europa e a contribuire a una riorganizzazione della politica europea.
Io penso – e questa è la seconda parte, più rapida – che questa lista sia una grande opportunità anche per l’Italia. Ieri Bassolino ha detto una cosa importante - che può sembrare strana perché è in modo non propagandistico - ha detto attenzione perché la crisi della destra non è soltanto qualcosa di cui noi ci dobbiamo compiacere, la crisi della destra è anche parte di una crisi del paese. La crescita della sofferenza sociale, della rabbia, dell’incertezza, il venire meno di una guida, persino la delusione di tanti italiani che si sentono traditi dalle promesse di Berlusconi, possono anche sfociare in un distacco dalla democrazia e dalle istituzioni, può essere l’intero sistema politico così fragile, confuso della cosiddetta seconda repubblica ad essere messo sotto accusa. C’è ormai chi dice che questo bipolarismo non funziona, non dà governi in grado di governare… attenti: c’è un vuoto politico da riempire, non c’è più soltanto una opposizione a cui dare voce, c’è una protesta legittima a cui dare forza, c’è un vuoto politico da riempire e per riempire un vuoto politico occorre un progetto e una speranza, non basta una manifestazione o un grido.
Questa iniziativa di Prodi ha già cambiato il quadro della politica italiana: per tanto tempo gli italiani hanno pensato che noi eravamo forse più rassicuranti ma un po’ vecchiotti, un po’ tradizionali, un po’ quel che resta dei vecchi partiti e che dall’altra parte c’era uno meno rassicurante ma sicuramente innovatore. In questi giorni, mentre il grande innovatore è impantanato nei riti delle verifiche, dei vertici, dei rimpasti annunciati ed abortiti e appare così la raffigurazione direi quasi grottesca della vecchia politica, mentre egli declina nell’arroganza, nella confusione e nella mediocrità, da questa parte si mette in campo una grande, concreta novità e una speranza. Comincia la sfida, non è vinta ma, per la prima volta, lui è costretto ad inseguire sul terreno che gli era più congeniale, quello dell’innovazione, del cambiamento. Io non so se riusciranno in extremis a costruire anche dall’altra parte qualcosa che somiglia alla lista unitaria, personalmente lo auspico perché questo darebbe più forza al bipolarismo e darebbe un contenuto più nettamente maggioritario alla sfida. Non lo so se ce la faranno ma comunque se ce la fanno arrivano secondi e se non ce la fanno non arrivano neppure al traguardo!
Questa grande novità si proietta anche oltre la sfida di giugno. Non mi appassiona il tema del partito riformista e non è neppure in agenda di fare a luglio un nuovo partito, fa caldo oltretutto…Discuteremo poi delle forme che dovrà assumere questa cooperazione rafforzata. Su questa realtà nuova che chiamerò “forza”, una forza plurale ma “una” forza plurale e credo che dovremo sforzarci di inventare forme innovative della politica che certo non possono essere quella del partito tradizionale. E tuttavia io credo che quello che facciamo oggi, cioè assumere un comune orizzonte strategico, legare i nostri destini oltre questa fase della politica italiana, questo dare vita a ciò che è stato chiamato da alcuni una grande forza riformatrice, da altri una forza di garanzia riformista (non voglio partecipare a questa gara dei nomi) questa realtà nuova che nasce, superate le polemiche – lo dico ai nostri alleati – e i timori di concorrenze elettorali io credo che ognuno capirà nel centrosinistra che questa realtà nuova non è contro nessuno ed anzi è una garanzia per tutti ed è non ostacolo ma condizione di una unità più larga, che sarebbe stata resa difficile dal fatto che nel cuore dell’Ulivo ci fosse una competizione tra le due maggiori forze di questa alleanza, come noi tutti sappiamo bene.
Poi bisogna pensare anche all’Italia e la sfida del governare sarà una sfida dura, non ce lo possiamo nascondere, perché non ci sarà soltanto da rimediare ai guasti di Berlusconi. C’è da affrontare un passaggio stretto nella storia d’Italia, bisogna restituire slancio vitale ad una società, io non voglio parlare di “declino”, ma che certo appare sfiduciata, timorosa del futuro. Bisogna dare una possibilità ai giovani e non lo si fa in questo paese senza sfidare resistenze corporative e privilegi e interessi costituiti, e da una parte noi siamo pressati, ci mancherebbe altro, da questo bisogno di equità, di giustizia sociale, da questa sofferenza sociale di cui abbiamo sentito l’eco e bisogna costruire un patto tra le ragioni dell’equità e quindi del riequilibrio - perché con questi salari non si vive - e le ragioni dello sviluppo, dell’innovazione, della competitività: non sarà facile. Noi abbiamo misurato negli anni di governo la debolezza, la fragilità di un riformismo dall’alto e cioè di un riformismo che non sia capace di muovere grandi forze nel paese. E per muovere grandi forze nel paese ci vogliono grandi forze politiche, grandi associazioni di cittadini. Ecco perché una politica debole produce governi deboli e non produce cambiamenti.
C’è bisogno di una politica forte, bisogna dare un nerbo al futuro del paese. Ecco il compito che ci siamo dati. Dunque – ha detto Arturo Parisi – ci siamo uniti per scelta e non per necessità e questo io credo sia un messaggio importante. Veniamo da storie diverse ed è interessante, sottolineata la solennità del momento, che molti abbiano voluto in queste due giornate richiamare padri e madri. C’è un bisogno di certezze nel momento in cui si intraprende un cammino futuro. Io sono fra quanti ritengono con grande convinzione che queste storie diverse siano una ricchezza e non un fardello e che noi possiamo guardare al futuro anche perché ciascuno a modo proprio è legittimamente orgoglioso della sua storia. Il che non significa non saperne vedere i limiti, ma anche saperne riconoscere il valore. E tuttavia tutti noi abbiamo avvertito come questo nuovo sistema politico nel quale viviamo ormai da oltre un decennio somiglia ancora molto alle rovine del vecchio più che ad un nuovo villaggio della politica; e tutti noi abbiamo a volte l’impressione di continuare a vivere qualcosa che somiglia ai vecchi partiti, naturalmente indeboliti, ma non siamo riusciti. Quando dico che non siamo riusciti lo dico perché in qualche modo qui c’è una storia parallela tra i Democratici di sinistra e la Margherita: sono parallelamente due forze in movimento, due forze che hanno cercato di andare oltre i loro confini, di darsi una forma federativa, insomma sono due storie parallele che dimostrano che quest’ansia di costruire qualcosa di nuovo ha animato - con questa sensazione di una transizione che non finisce mai, che a qualcuno dà fastidio ma, attenzione, è anche il segno di una vitalità, di una percezione - questo stare in movimento, questo non far finta di essere arrivati che è stato un grande segno di vitalità.
Oggi noi ci siamo come resi conto che se questa ricerca di nuovi confini della politica se la facciamo ognuno per conto nostro non ne arriveremo mai a capo. E ci siamo anche resi conto di una cosa importante: che non basta cambiare le istituzioni se non si riforma la politica e ogni tentativo di affrontare il problema italiano attraverso anche una coraggiosa ingegneria istituzionale si scontra con le debolezze di un sistema politico democratico fragile e incompiuto. Ecco perché io credo che il cammino che comincia oggi è importante per l’Italia. Naturalmente sappiamo che sarà difficile, che verranno le scelte difficili, la politica è fatta poi, dopo le feste, di liste… tutti sappiamo cos’è. Ma sappiamo anche che da queste giornate viene per ciascuno di noi un vincolo di responsabilità. Sappiamo perché ce ne rendiamo conto, lo percepiamo tra la gente che c’è attenzione, sappiamo che dovremo coltivare con amore questa speranza, non lasciarla sfiorire, dando a questo progetto l’impegno e la dedizione di ciascuno di noi. Se sarà così io credo che i risultati non mancheranno. Noi abbiamo fatto tanta strada, compiuto errori, anche se io credo che al netto degli errori il lavoro comune che abbiamo fatto in questi dieci anni è stato utile per il nostro paese, lo dico perché ogni tanto lo dovremmo rivendicare.
Noi abbiamo compiuto già molta strada insieme, adesso abbiamo tutti la percezione che abbiamo in mano una grande opportunità. Sapendolo, ne sono sicuro, non ce la lasceremo sfuggire.

(Bozza non corretta)

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