Discorso
27 febbraio 2004

Non votare non vuol dire volere la guerra in Iraq

da "Il Messaggero" - L'opinione di Massimo D'Alema


“CENTROSINISTRA spaccato sull'Iraq”, questa notizia domina con insistita malizia il notiziario politico nazionale da molti giorni. Telegiornali e giornali sono pieni delle battute e delle accuse reciproche di questo o quell'esponente politico mentre assai meno si riesce a capire di che cosa effettivamente si tratta, quale sia la natura e il contenuto del provvedimento all'esame del Parlamento, in che cosa si differenzino le posizioni delle forze politiche.
Di che cosa stiamo discutendo? In primo luogo di una guerra sbagliata e di un dopoguerra aperto tuttora a scenari gravidi di pericoli per il futuro. Se si rimuove questa premessa tutto appare più confuso. Il centrosinistra non ha mutato giudizio sulla guerra preventiva e sui guasti che la strategia dell'Amministrazione americana ha prodotto.
Oggi l'Iraq non è ancora un paese pacificato: fondamentalismo e terrorismo non appaiono indeboliti mentre è accresciuto sensibilmente il rigetto di vasti strati del mondo arabo verso la presenza delle truppe anglo-americane in un grande paese islamico. Si tratta di uno scenario che tutti, compresa una parte significativa dell'opinione pubblica statunitense, considerano preoccupante. Neppure è mutata la nostra valutazione sulle responsabilità del governo italiano. Eravamo contro l'invio di nostri militari in Iraq e contrari a questa missione siamo rimasti non essendo intervenuto alcuno di quegli elementi di svolta da noi invocati all'indomani della terribile strage di Nassiriya.
Naturalmente alla luce di questa situazione si pone oggi, drammatico, l'interrogativo sul che fare. In particolare su come favorire l'accelerazione della nascita in Iraq di un nuovo regime democratico, restituendo al contempo un ruolo di guida della transizione alle Nazioni Unite coerentemente con quanto sostenuto nella risoluzione 1511 ed anche eventualmente, come abbiamo già sollecitato, tornando ad investire il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del compito di assumere nuove decisioni. Colpisce che proprio ieri il leader della comunità sciita Sistami si rivolga alle Nazioni Unite per avere garanzie circa una data certa per le elezioni nei confronti delle resistenze da parte degli americani alla prospettiva di un reale autogoverno degli iracheni: ma non erano andati per portare la democrazia? E' evidente che permangono dunque tutte le ragioni che hanno portato il centrosinistra a votare, nel luglio scorso, contro il finanziamento della missione italiana. Anche perché negli ultimi giorni la richiesta al governo italiano di una nuova e più incisiva posizione non ha ottenuto nessuna significativa risposta.
Con maggiore prudenza si deve considerare invece la richiesta di una parte dei movimenti pacifisti di un ritiro immediato delle forze di occupazione che aprirebbe la strada ad un pericolo di caos e di sanguinosa guerra civile. E' evidente che innanzitutto gli Stati Uniti devono assumersi le proprie responsabilità e che un passaggio immediato della guida alle Nazioni Unite toglierebbe al terrorismo e alla guerriglia una grande parte della loro "giustificazione".
Questa è stata la cornice del dibattito al Senato sul decreto di rifinanziamento della missione italiana. E molto probabilmente questa sarà la cornice che si riprodurrà a breve nel dibattito e nel voto della Camera.
Ma veniamo al punto. In questa discussione come si sono mosse fin qui le forze della Lista Prodi? Credo nel modo più trasparente e lineare come possono testimoniare i fatti. Al Senato sono state presentate e poste in votazione una pregiudiziale di costituzionalità sulla parte del decreto relativa all'Iraq (respinta) e poi la proposta di soppressione dell'articolo 2 del decreto stesso (quello che riguarda appunto la missione in Iraq). I parlamentari della lista unitaria hanno votato a favore della soppressione di quell'articolo. Vale a dire che hanno votato contro, oggi come nell'estate scorsa, il rinnovo del finanziamento di quella missione. E nello stesso senso hanno votato tutti i parlamentari dell'opposizione.
Dunque, in verità, non sembrerebbe che il centrosinistra sia effettivamente spaccato sull'Iraq. Il problema è un altro, come forse poco si è fatto capire alla pubblica opinione. Il problema è che il decreto, a differenza di quanto accadde nel luglio scorso, per volontà del governo riguarda il rifinanziamento di tutte le missioni internazionali che vedono impiegati contingenti delle nostre forze armate per la tutela della pace. Anzi, le altre missioni (quelle, a differenza dell'Iraq, sotto l'egida delle Nazioni Unite) rappresentano la parte prevalente del decreto. Dunque nel voto finale il centrosinistra dovrebbe, per tornare a votare contro la missione in Iraq, esprimere un voto contrario anche nei confronti delle tante missioni di pace che noi stessi abbiamo voluto e sostenuto nel passato. E' evidente che si tratta di una operazione strumentale per mettere in imbarazzo l'opposizione, per impedire che essa possa esprimere un giudizio differente su differenti missioni. Ed anche di una meschina trappola propagandistica nella prospettiva delle prossime campagne elettorali: sarebbe infatti facile per la destra dire: «Hanno votato per tagliare gli stipendi dei militari che loro stessi hanno inviato in missione di pace».
Per questo mi è parso assolutamente corretta e giusta la decisione assunta dai parlamentari della lista Prodi, al Senato, di non partecipare ad un voto nel quale non vi sarebbe stata la possibilità di esprimere pienamente la nostra posizione. Una scelta che ha assunto anche il carattere di una condanna per il modo in cui governo e maggioranza hanno gestito questa vicenda. Una scelta pienamente coerente con ciò che il centrosinistra fece a luglio quando poté votare contro l'Iraq e a favore delle altre missioni.
So bene che vi sono forze e movimenti, nonché singoli parlamentari della lista unitaria, convinti per ragioni politiche e simboliche che comunque sarebbe stato giusto votare contro il decreto nel suo complesso. E' una posizione che rispetto anche se lo dico sinceramente non mi convince e soprattutto non mi pare esprima una maggiore forza o coerenza. Quel che non comprendo, e francamente non accetto, è far discendere dalla scelta del non voto la conclusione di un cambio di linea. Questo è profondamente falso. E soprattutto non aiuta il centrosinistra a consolidare le ragioni della propria unità, da sempre particolarmente decisive sul terreno della politica internazionale. E mentre comprendo la posizione di chi, come Rifondazione comunista, ha da sempre contrastato ogni missione militare all'estero, comprendo meno la posizione di quanti, nel passato, hanno condiviso con noi una responsabilità di governo. Continuo a credere che nella vita politica occorra non solo un’“etica delle convinzioni”, ma anche un’“etica delle responsabilità”, in particolare per quelle forze che hanno svolto e che intendono tornare a svolgere una funzione di governo del paese.
E' evidente che non è sostenibile, alla luce dei fatti che ho sommariamente ricordato, definire la posizione della Lista Prodi come una posizione incoerente o, addirittura, favorevole alla guerra. E' evidente che non sono tollerabili minacce e aggressioni personali come quelle alle quali abbiamo assistito nei giorni scorsi. Vorrei dire ad amici e compagni nella sinistra che la esasperazione di una differenza tra di noi su questi temi appare più legata al prevalere di una logica strumentale e preelettorale che non al merito effettivo del dissenso.
Che il governo abbia montato una sgradevole trappola come quella che abbiamo di fronte è, purtroppo, nella logica di questo governo. Noi ci batteremo perché alla Camera si possa, come a luglio, dividere il provvedimento in due parti ed esprimere un voto limpido e chiaro anche nel momento conclusivo. Ma se così non fosse vorrei sperare che nessuno ne approfitti per alimentare polemiche astiose e inutili che, alla fine, non aiutano nessuno, né "pacifisti radicali" né pretesi guerrafondai, ma danneggiano l'insieme dell'opposizione e danno una mano ad una destra che certamente, a mio giudizio, non lo merita.

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