Intervista
2 aprile 2004

Scelgo Strasburgo

intervista tratta da Panorama


Non sono mai stato candidato a un incarico politico per finta. Se sarò in lista per le elezioni europee e poi eletto, che ci sia o no l’incompatibilità, sceglierò il Parlamento europeo. Aggiungo che, a differenza dei moralisti che tuonano contro i doppi incarichi, io non ne ho mai avuti». Massimo D’Alema, com’è suo costume, parla chiaro. E a Panorama conferma quello che finora era una voce: la decisione di optare per il Parlamento di Strasburgo e di lasciare Montecitorio se sarà eletto alle europee. Una scelta che ribadisce la sua intenzione di impegnarsi sempre di più sulle questioni di politica estera, anche se nessuno si aspetta una fuga dall’Italia: il presidente dei Ds ed ex premier è in prima fila per il successo della lista unitaria con la quale Ds, Margherita, Sdi e repubblicani di Luciana Sbarbati si presentano alle europee di giugno.

Da tempo lei si sta impegnando soprattutto in missioni all’estero. L’ultima è di qualche giorno fa in Medio Oriente, nei giorni dell’uccisione dello sceicco Ahmed Yassin. Prossima tappa?
Girare l’Italia per la campagna elettorale europea. Poi, essendo vicepresidente con compito esecutivo dell’Internazionale socialista, continuerò a viaggiare: con ogni probabilità avrò anche l’incarico di seguire il dialogo con i cinesi. Certo, il mio viaggiare sarà motivo di grande gioia per molti, diciamo... Certamente anche mia.

Pochi giorni fa, con una lettera a un giornale, Romano Prodi ha chiesto l’intervento in Iraq di tutti i paesi sotto la guida dell’Onu, e non ha escluso l’uso della forza per portare pace e giustizia purché tale uso sia approvato dalla comunità internazionale. È una posizione che condivide?
Il manifesto di Prodi è importante perché indica le coordinate di una visione di politica estera da parte del centrosinistra. Collegandomi a esso, ho indicato alcune ipotesi concrete di lavoro, in particolare sul Medio Oriente e sull’Iraq, per costruire una proposta europea volta ad avviare il processo di pace. In particolare ho lanciato l’idea di una associazione speciale all’Unione Europea di Israele, Palestina e Giordania, e di stabilire un legame con la Nato di Egitto e Iraq, secondo la formula della «partnership for peace». Quindi l’iniziativa di Prodi e queste mie proposte si collocano in sintonia con una ripresa dell’azione politica del centrosinistra in Europa, confortata da importanti successi elettorali nella Spagna di José Luis Rodríguez Zapatero e nella Francia della sinistra plurale.

Il successo socialista in Spagna e Francia impone alla sinistra europea maggiori responsabilità anche in campo internazionale. Cambia qualcosa rispetto alle istanze puramente pacifiste?
Siamo entrati in una fase nuova. Le forze riformiste in Europa cercano di passare dalla contestazione legittima alla guerra a una indicazione di politica internazionale per dare soluzione alla vicenda irachena e affermare un nuovo ruolo dell’Ue. È una fase che passa attraverso il rilancio del multilateralismo e una visione del governo del mondo e dei conflitti che non sia più basata solo sul protagonismo di un’unica potenza: quella americana. La strategia della destra Usa ha prodotto guasti enormi. Non solo non ha arginato il terrorismo, ma per molti aspetti ne ha favorito una crescita nella forma di un vero e proprio scontro di civiltà e ha indebolito tutto il tessuto delle relazioni e delle istituzioni internazionali. Da qui l’esigenza di una risposta.

Il segretario generale Kofi Annan ha annunciato che l’Onu sta lavorando per la svolta in Iraq con una forza multinazionale sotto un comando unificato. Siete d’accordo?
Annan si riferisce a un contesto nel quale ci sia un legittimo governo iracheno che dovrebbe installarsi da giugno. È un contesto molto diverso rispetto a quello attuale, dove ci sono truppe occupanti sotto il comando Usa. È evidente che questo mutamento di scenario richiede una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza. Ora si tratta di vedere se il governo italiano si adopera per una nuova risoluzione, come ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini in un dibattito in tv con me, oppure se basta quella attuale (la 1511) come invece ha detto il premier Silvio Berlusconi. Sarebbe interessante capire, da queste contraddittorie e confuse posizioni, qual è la scelta del governo.

Dopo il suo intervento e quello di Prodi, non teme che la sinistra radicale italiana alzi il tiro e chieda, Onu o non Onu, di andare via subito dall’Iraq? Se nel 2006 il centrosinistra tornasse al potere, come potreste governare con questi alleati?
Il problema dell’alleanza con i gruppi della sinistra più radicale lo vedremo poi, non è questione così immediata. La cosa più importante ora è che questa grande operazione della lista unitaria sta prendendo sempre più la configurazione non soltanto di alleanza elettorale, ma di progetto innovativo, che propone una visione del futuro vincente per affrontare le sfide del nostro tempo. Poi, è evidente che ci sono anche piccoli partiti che rappresentano posizioni più radicali, con i quali discuteremo, cercando di costruire una piattaforma comune. Ma ora, ripeto, non si vota per le elezioni politiche.

Forse lei è ottimista sui pacifisti. Basterebbe ricordare l’aggressione al segretario ds Piero Fassino al corteo del 20 marzo...
C’è stato un episodio grave nei confronti di Fassino. Piero però non è stato aggredito dal movimento pacifista, bensì da gruppetti estremisti che ci sono sempre stati, purtroppo. Quegli stessi gruppetti che hanno ricevuto incoraggiamento anche da forze politiche che non dovrebbero comportarsi così.

Si riferisce anche al Correntone, la minoranza interna ds?
Correntone ormai è un’espressione che non corrisponde più alla realtà, dal momento che molte delle personalità più influenti che sostennero la minoranza congressuale interna, a cominciare da Walter Veltroni e Antonio Bassolino, non ne fanno più parte. Si tratta di capire come questa geografia interna si stia evolvendo. Il punto è che è stato sbagliato, soprattutto da parte di partiti nostri alleati, enfatizzare il dissenso sull’Iraq. Operazione che è stata fatta per ragioni elettorali, per cercare di ostacolare il successo della lista unitaria, presentata come una svolta a destra con una campagna di tipo propagandistico.

A fine giugno la sua fondazione Italianieuropei promuoverà un vertice a Roma tra i consiglieri di John F. Kerry, lo sfidante di George W. Bush, ed esponenti della sinistra europea. Con quale obiettivo?
Sarà un seminario a porte chiuse. Con i democratici americani abbiamo un dialogo strutturato: la fondazione culturale di cui è presidente Madeleine Albright è entrata a far parte dell’associazione delle fondazioni culturali che fanno capo all’Internazionale socialista. Bisogna preparare una nuova stagione internazionale. La ripresa del centrosinistra in Europa, e la possibilità per i democratici Usa di vincere le elezioni, comporta una forte collaborazione transatlantica tra progressisti, dopo il fallimento della destra euroamericana. Uno dei temi in agenda sarà certamente anche la ridefinizione della strategia contro il terrorismo.

di Paola Sacchi, Panorama

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