Discorso
14 ottobre 2004

Ulivo unito, il programma è la priorità

di Massimo D'Alema - il Messaggero


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Un felice passo avanti. Più o meno tutte le cronache sul vertice di lunedì tra Romano Prodi e i segretari dei partiti del centrosinistra hanno riferito l’evento in chiave positiva. Sarà stata, dopo mesi, la fotografia di Boselli e Di Pietro seduti allo stesso tavolo o, più banalmente, il coro dei commenti, per una volta unanime. Resta il fatto che il rientro formale di Prodi sulla scena politica interna pare coincidere con una luna di miele tra i promotori della nuova Grande Alleanza Democratica. Non c’è che da gioirne per ovvie ragioni. Era questa certamente la domanda che proveniva dal popolo dell’Ulivo come è fuori dubbio che un clima di coesione può favorire efficacia e visibilità delle iniziative future, a partire dalla manifestazione contro la finanziaria convocata a Roma per il prossimo sei novembre.
Eppure non sono mancate ancora una volta interpretazioni singolari dell’incontro e delle posizioni lì emerse. Ma se appare normale il nervosismo della destra e il tentativo di schiacciare la leadership di Prodi sulle posizioni di Rifondazione, meno comprensibili risultano altri due estremi. Quello di chi dice “finalmente”, scorgendo nel tavolo della coalizione il nuovo inizio per un Ulivo dimostratosi fin qui inabile all’azione e prigioniero delle sue stesse macchinazioni. E quello, in certo modo speculare, di chi, alla luce dell’alleanza larga del centrosinistra, certifica la morte della lista unitaria e delle sue ambizioni riformatrici. Come sempre consiglierei prudenza e soprattutto misura. Offrire del vertice dell’altro ieri l’immagine di una ripartenza inattesa dopo anni di motori fermi è per lo meno una caricatura della realtà. Nessuno nega difficoltà e divisioni, il più delle volte evitabili. Ma bisogna riconoscere che dal 2001 in avanti l’Ulivo si è sempre presentato unito di fronte agli elettori, come del resto testimoniano i risultati ottenuti. Le cifre di solito non appassionano, ma è bene ricordare che veniamo da una riga ininterrotta di successi. Dunque la riunione di lunedì non è il riemergere improvviso di un’opposizione sommersa ma il punto d’arrivo di un lavoro unitario che ha già dato buoni frutti. La lista unitaria promossa da Prodi è stata un momento qualificante di questo processo. Non solo per il risultato in sé, ma per l’ovvio significato che quei voti hanno assunto negli equilibri interni alla coalizione. Diciamo che senza quel trentuno per cento di consensi intorno alla proposta e alla figura di Romano Prodi tutto sarebbe stato più difficile. Anche la piena legittimazione del candidato premier agli occhi di tutti, dicasi tutti, gli alleati. Dunque noi non siamo giunti al vertice di lunedì “nonostante”o “contro” la lista unitaria, ma piuttosto grazie allo spirito che ne aveva suggellato la nascita. Aspetto che lungi dall’avere risolto ogni problema, neppure può venire liquidato alla stregua d’un fallimento. In sintesi, non direi che il più è fatto, ma è netta l’impressione di avere intrapreso la strada giusta. Il che dovrebbe consentire di centrare adesso l’attenzione sulle due questioni urgenti della nostra agenda. La prima è completare presto e bene la rosa dei candidati alle elezioni regionali della prossima primavera.
“Presto” significa impiegare alcune settimane al massimo per avere a disposizione una mappa completa delle donne e degli uomini che sfideranno la destra in una scadenza politicamente decisiva. “Bene” vuol dire che dovremo scegliere ovunque le personalità in grado di vincere e di governare. Privilegiando quindi non già gli equilibri interni ma lo spirito di squadra e, in primis, la domanda di buon governo che gli elettori ci rivolgono. L’altra priorità è ancora una volta il capitolo del Programma. Con la maiuscola iniziale, a conferma che non di un’elencazione di traguardi si tratta ma delle scelte fondamentali dove più pressante è la domanda di una svolta dopo il fallimento della destra. Sicurezza, interna e internazionale, e interventi mirati al rilancio della crescita e dell’economia: passa da qui la risposta che il centrosinistra deve saper offrire alla crisi di credibilità e fiducia che investe oggi il paese. La guerra in Iraq - è opinione oramai diffusa - ha rappresentato un errore tragico. Fondata su premesse bugiarde si è risolta in un dramma politico e umanitario, alimentando le centrali del terrorismo, dividendo l’Europa e il fronte delle democrazie contro l’offensiva fondamentalista, rinviando sine die una soluzione giusta per il conflitto medio-orientale. Se a questo sommiamo la dissoluzione del profilo internazionale dell’Italia il quadro è quello di uno sbandamento al quale è necessario porre rimedio con una svolta radicale di politiche, persone, priorità. Quanto alla ripresa, la débâcle del governo si manifesta, se possibile, in forme anche più eclatanti. Perdita secca del potere d’acquisto di salari e pensioni, insofferenza marcata dei nuovi vertici imprenditoriali, una finanziaria destinata a strangolare i bilanci già sofferenti di comuni e province: si è superata la soglia di guardia. Spetta dunque all’opposizione ricostruire quel clima di fiducia e le innovazioni necessarie a restituire slancio alla nostra economia e alla società italiana. Slancio senza il quale non è dato uscire da una condizione prolungata di crisi. Su questo piano, sgombrato il campo dall’assurdo dibattito su quante e quali leggi del “nemico” il centrosinistra dovrà conservare, sarebbe buona cosa cominciare a dire quali e quante priorità un futuro governo alternativo intende perseguire. Poche scelte, come si vede, ma decisive per trasformare la crisi irreversibile della destra in un solido blocco di consensi intorno a Prodi e all’alleanza che lo ha investito come leader. Sapendo che infine passerà da qui, più che dai battesimi formali, l’investitura di quell’alleanza come “grande”. E la corsa, mai scordarlo, è appena cominciata.

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