Discorso
24 marzo 2005

Il vero tema è il rispetto delle regole

di Massimo D'Alema - il Messaggero


Pochi giorni fa Romano Prodi ha usato espressioni forti per definire la riforma costituzionale che il Senato, in prima lettura, ha licenziato nella giornata di ieri.

Quel suo riferimento a una dittatura della maggioranza, e ancor più l'insistenza sul carattere devastante della riforma per gli equilibri democratici del Paese, hanno acceso gli animi alla vigilia di un passaggio parlamentare decisivo. Ora, come è noto, la palla rimbalza nuovamente alla Camera per la seconda lettura del provvedimento. A quel punto, ultimato l'iter al Senato e in assenza di una maggioranza qualificata dei due terzi a sostegno della riforma sarà inevitabile, e per molti versi provvidenziale, il ricorso al referendum confermativo previsto dall'articolo 138 della Carta. Referendum che non necessita di quorum e destinato a scrivere l'ultima parola su una vicenda nata male e vissuta peggio. In anni recenti mi è capitato infinite volte di spiegare le ragioni che dovrebbero sconsigliare una maggioranza politica dal metter mano, unilateralmente, al campo delle regole comuni.

L'ho definita una questione di principio, il segno di una sincera cultura liberale, o anche, più semplicemente, un esercizio di buon senso. Pensare, sulla base di rapporti di forza contingenti, di modificare la forma dello Stato, l'articolazione dei poteri e la sfera dei controlli assecondando gli interessi di questo o quell'alleato resta, nella migliore delle ipotesi, un'operazione rozza, nella peggiore un attentato all'unità e alla coerenza di un assetto costituzionale che, per definizione, non si può disintegrare e successivamente ricomporre con la tecnica del puzzle. Sorte provvisoria, quest'ultima, della nostra Costituzione, passata al maglio del tribunale padano e offerta dal Premier come merce di scambio per una pax temporanea tra i suoi alleati litigiosi. Il risultato è quello noto. Un abito d'Arlecchino dove le troppe toppe non riescono a nascondere la nudità del profilo. Un'architettura priva di senso e di senno destinata a incrinare quel poco o tanto di unità nazionale costruita nel tempo, a disarticolare il bene indisponibile di una formazione e di una sanità pubblica, universale e di qualità, a ridefinire l'assetto statuale limitando fortemente, e colpevolmente, i poteri degli organi di garanzia a partire dalla Presidenza della Repubblica. L'elenco delle incongruenze, sino a qualche vero e proprio aborto costituzionale, sarebbe assai più lungo. Quella che resta è l'impressione di una giocata d'azzardo. Il tentativo disperato di una maggioranza in debito d'ossigeno verso il Paese, sconfitta in tutte le più recenti prove elettorali e alla vigilia segnali in tal senso non mancano di un potenziale "rompete le righe". Una maggioranza che tenta, sulla pelle del Paese, di tenere unito un fronte disunito per vocazione, azzerando le ragioni di una crisi profonda e irreversibile.

Letta così si può razionalmente sostenere che per rappattumare la propria coalizione il capo del governo non esita a sfasciare la Costituzione. Spettacolo indecente in sé, ma soprattutto destinato ad aggravare la crisi del Paese senza recare beneficio all'autore dell'operazione. A meno di ritenere un servizio alla Nazione le rientrate dimissioni del ministro Calderoli! Temo che gli spazi per un ripensamento su quanto è andato maturando in queste ore siano praticamente inesistenti. Il che, per mille ragioni, potrebbe sconfortare ancora di più quanti e sono moltissimi temono ricadute serie e drammatiche dall'indebito strappo che si è consumato.

Personalmente non credo affatto che la partita sia chiusa e neppure mi sento di pronosticare, per la maggioranza parlamentare, un percorso in discesa. Certo, si ha quasi l'impressione di una sordina sull'argomento. Qualcosa che stride con mobilitazioni e proteste assai più visibili e che hanno ostacolato, almeno nell'opinione pubblica, passaggi parlamentari meno traumatici dell'attuale. Non lo dico per criticare l'assenza in questa occasione di una forte e visibile mobilitazione dal basso tenuto conto che in gioco sono i destini della Costituzione repubblicana. Lo ricordo piuttosto per segnalare la necessità di tenere alta l'attenzione sui prossimi passaggi politici e parlamentari. Se è vero, infatti, che quasi sicuramente si arriverà al referendum popolare confermativo della riforma, molto conterà il modo con il quale il centrosinistra e io mi auguro uno schieramento più largo di forze e personalità avrà affrontato l'argomento. Non come un problema di tecnica costituzionale appannaggio di pochi esperti, ma come una grande questione democratica dalla quale dipende in modo decisivo l'avvenire del Paese e della società italiana. Come fare? Come rendere la discussione di queste settimane oggetto di un'attenzione più vasta e diffusa? Credo essenzialmente in due modi. Da un lato, riconoscendo senza reticenze cosa del resto già avvenuta in passato l'errore compiuto dal centrosinistra quando, a fine della scorsa legislatura, scelse con la modifica del Titolo V la via di una correzione unilaterale della Carta. Un precedente che, al di là delle intenzioni, ha finito col legittimare l'azione demolitrice della maggioranza attuale. Dall'altro, considerando di fatto avviata una lunga campagna referendaria. E dunque scegliendo di trasformare il tema delle regole, del loro rispetto e dell'impegno a non stravolgerne l'impianto in assenza di un procedimento condiviso, come una fondamentale premessa di principio nell'iniziativa dell'Unione e della sua leadership. Nonché uno dei temi sui quali insistere nelle settimane e nei mesi a venire. In gioco, ripeto, è il destino dello Stato, della politica, della natura unitaria e solidaristica del nostro modello di welfare. Sarà il caso, da qui in avanti, di non scordarlo e di fondare anche su questa frontiera il consenso necessario a garantire al Paese una nuova guida stabile, affidabile, sicura.

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