Discorso
4 aprile 2005

Quando mi disse "Parliamo del mondo"

di Massimo D'Alema - il Messaggero


LA MORTE era, nel Medioevo cristiano, un evento pubblico. Così il Maresciallo Guglielmo, rievocato da Georges Duby, sentendosi morire, convocò intorno a sé gli amici, i parenti e i seguaci perché potessero assisterlo e raccogliere la sua eredità non solo materiale, ma spirituale. Per contro, la rimozione della morte e la solitudine del morente sono uno dei tratti più angosciosi della modernità. C'è, dunque, qualcosa di antico nella lunga morte pubblica di Giovanni Paolo II, testimonianza di sofferenza, di amore e di fede offerta alla comunità dei credenti e dei non credenti. Ma modernissimi sono stati i mezzi quelli del villaggio globale della comunicazione con i quali il mondo intero è stato convocato intorno al Papa morente. In questo incrocio complesso, contraddittorio e a volte drammatico di tradizione e di modernità si riassume in modo emblematico il tratto della personalità fortissima
di Karol Wojtyla. A lungo il suo dolore è stato rappresentato come un evento pubblico. Le spalle curve, i brevi movimenti stremati, la voce inespressiva fino al mutismo degli ultimi drammatici giorni erano tutti segni di una sofferenza profonda. La realtà, come accade con un parente gravemente infermo, è che a lungo abbiamo convissuto con l'idea della morte del Papa. E ora che la morte è sopraggiunta siamo chiamati tutti ciascuno per la sua parte a valutare l'itinerario complesso dell'ultimo grande protagonista di un secolo e di un millennio archiviati. Dovremmo farlo, se possibile, cogliendo il significato più autentico di un'esistenza e di una eredità uniche. Sarà questo, negli anni a venire, l'impegno di tanti cattolici, ma anche di quanti, da versanti diversi, hanno trovato nella parabola del Papa polacco motivo di riflessione e giudizio.
Quasi ventisette anni è durato il pontificato di Wojtyla. E il tempo la durata della sua missione riassume, almeno in parte, la grandezza del ruolo che egli ha ricoperto. Nessuna autorità, politica o religiosa, in epoca recente ha potuto governare così a lungo attraversando stagioni diverse e proiettando su ciascuna di esse la propria influenza o magistero. In un'era frenetica, dove le leadership si avvicendano con rapidità, il Papa è stato per un quarto di secolo guida del cattolicesimo e custode di un verbo e di un'etica millenari. E' stato l'osservatore, mai neutrale, del cambiamento e il garante, mai ordinario, della tradizione. Non sempre protagonista dei grandi eventi, ma certo testimone critico della modernità che la storia veniva elaborando. In questa sua missione egli è stato più spesso stimolo al progresso o uomo di conservazione? Credo sia vera l'una cosa e l'altra. Giovanni Paolo II, anche per le sue origini, ha contribuito in modo deciso e decisivo alla consunzione del comunismo come realtà storica, e in questo egli è annoverabile tra i protagonisti di una nuova, fondamentale, stagione di libertà. Allo stesso tempo ha difeso sino alla fine quei dogmi dalla sessualità ai limiti della procreazione e della ricerca in campo scientifico che a una razionalità laica appaiono in conflitto con i bisogni primari del mondo contemporaneo.
Dunque una personalità complessa e di “transizione”, nel senso che sotto la sua guida la Chiesa cattolica ha traguardato un secolo che ha visto il mondo attraversato da enormi rivolgimenti politici, sociali, religiosi. Giovanni Paolo II ha sempre mostrato una straordinaria capacità di lettura di questi mutamenti. Ciò non vuol dire che sempre egli li abbia condivisi, ma neppure ha mai sottovalutato l'impatto del nuovo in una visione alta e mi sia concesso il termine “politica” del suo magistero. Penso, da ultimo, al Papa che si è battuto contro la guerra e le sue implicazioni rispondendo al richiamo coerente di un'etica cristiana. Ma come non vedere nella fermezza di quelle posizioni qualcosa di più che un afflato umanitario? Nell'offensiva diplomatica del Vaticano alla vigilia dell'occupazione militare dell'Iraq si rifletteva anche il timore per le conseguenze “spirituali” del conflitto. In particolare la paura che una frattura con il mondo islamico potesse indebolire il disegno di evangelizzazione universale così caro al pontificato di Wojtyla. Una guerra di religione, tra i molti effetti prodotti, avrebbe finito infatti col costringere di nuovo la Chiesa dentro il campo angusto dell'Occidente spezzando in qualche modo l'opera più che ventennale di un Papa pellegrino e pastore. E d'altra parte lo stesso Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus , enciclica del 1991, aveva parlato di opportunità e rischi della mondializzazione, sottolineando la centralità di una visione multipolare delle relazioni internazionali. Parole profetiche.
Comunque, ripeto, saranno a questo punto storici e studiosi a ricostruire la trama di un lungo viaggio spirituale. A noi, nell'immediato, resta la memoria dell'uomo. Il ricordo di una personalità carismatica. Se ne intuiva l'energia da lontano, come testimonia l'emozione di queste ore in ogni parte del mondo. Tanto più quella forza si coglieva, avendone l'opportunità, quando l'uomo si avvicinava, e da simbolo si faceva interlocutore e persona. Allora a prevalere era l'umanità, il tratto ironico, quasi confidenziale. Qualcosa che strideva con la solennità della sua missione. A restituirci questo profilo sono le immagini che, incessanti, le televisioni si rimbalzano da giorni. Il Papa tra la gente, tra i fedeli, uomini e donne di ogni angolo del pianeta. Il Papa che scherza, che ride, che si diverte con un gruppo di bambini. E' il Papa che ha saputo toccare le corde profonde dell'emozione quando ha portato la sua parola nei luoghi di sofferenza e dolore. Il Papa delle carceri, degli ospedali. Il Papa che incontra gli operai delle acciaierie di Terni nel pieno di una lotta difficile per salvare il posto di lavoro.
E' un Papa che in ciascuno di questi momenti, come in mille altre occasioni, ha testimoniato l'enorme autorità morale che aveva saputo conquistarsi vivendo. E fu questa del resto la sensazione che provai nel corso dei nostri contatti, e in particolare durante la visita di Stato che feci in Vaticano durante la mia permanenza a Palazzo Chigi. Fu un colloquio intenso e sereno. Uno di quei momenti che segnano, anche emotivamente, la vita e l'esperienza di un leader politico e di una persona. C'era stata una preparazione carica di tensione e di attesa per l'incontro tra il Papa e “il primo Presidente del Consiglio ex comunista”. I giornali avevano numerato i punti possibili di contrasto, gli aspetti diversi di un possibile contenzioso sulla scuola privata, la legge 194 ecc. Poi, seduti uno di fronte all'altro, con in mezzo un tavolo semplice di legno, tutto si sciolse. Le mani nelle mani, lo sguardo azzurro profondo fisso negli occhi, il sorriso. «Parliamo del mondo...», così cominciò.

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