Discorso
21 gennaio 2006

Assemblea nazionale DS segretari di sezione

Testo dell'intervento (trascrizione da nastro)


Carissime compagne e compagni,
è molto importante questa giornata per il nostro partito. E’ una giornata importante anche per noi: dopo avere vissuto ore difficili di tensione, ritrovare nel rapporto con voi, con i dirigenti di base del nostro partito la forza, ritrovare quel sentimento di solidarietà che è una condizione fondamentale che nutre, alimenta e sostiene l’impegno politico di ogni giorno. Un grande partito è innanzitutto una comunità di persone, di donne, di uomini che sono uniti tra di loro non soltanto da un programma comune, da valori, da una concezione della politica ma anche da un sentimento di fraternità, di reciproca fiducia, che è una condizione fondamentale perché si possa continuare ad agire, perché si possa malgrado tutto continuare ad andare avanti, che è il modo in cui un grande teorico della politica definiva la missione dell’uomo politico. E quindi grazie perché in questi giorni è venuto dal partito questo slancio di solidarietà, questo incoraggiamento a reagire, questo sentimento di fiducia che ci hanno aiutato, come qualcuno ha detto, a rompere l’assedio.

Ma noi non siamo qui solo per questo. Noi siamo una grande forza politica, abbiamo reagito all’aggressione, lo abbiamo fatto – come ha ricordato giustamente Fabio Mussi – gridando no alle accuse ingiuste, alla pretesa volgare di processare l’avversario politico e nello stesso tempo non nascondendoci una riflessione sugli errori, i limiti, sul non avere visto per tempo anche i caratteri che andava assumendo quella vicenda finanziaria che poi ci è stata gettata contro per potere alimentare una campagna rozza e qualunquista contro di noi. Torneremo a riflettere su questi aspetti, sui grandi problemi a cui anche quella vicenda allude: il ruolo, il destino del movimento cooperativo, il rapporto tra mondo cooperativo e mondo della finanza. E’ evidente che intorno a questi temi l’insieme del centro sinistra dovrà approfondire una discussione politica, comprendendo che non si tratta di un problema che riguarda un partito ma di una grande questione che riguarda il futuro dell’economia italiana, le possibilità stesse di sviluppo. Anch’io condivido con Mussi la scarsa simpatia verso la rendita finanziaria e tuttavia non è indifferente il modo in cui è organizzato e governato il sistema bancario e finanziario, proprio ai fini della promozione dello sviluppo, del lavoro, della crescita moderna e competitiva del nostro paese. Ma io credo che in questo momento noi dobbiamo anche ragionevolmente mettere in secondo piano queste questioni.

In questo momento la grande priorità è unire tutte le forze per vincere la sfida del governo del paese. In questo momento è fondamentale che noi stessi non ci sentiamo un gruppo assediato - non lo siamo - e che ci mostriamo invece come una grande forza politica, grande forza di governo in tanta parte del paese e delle istituzioni, grande forza unitaria in grado innanzitutto di restituire speranza alla società italiana e di dare il suo contributo fondamentale alla vittoria di un progetto di governo, di ricostruzione del paese. Più che mai necessario - se qualcuno poteva avere dei dubbi circa la natura, la pericolosità di questa destra - io credo che la vicenda di questi ultimi giorni abbia fugato molti dubbi. Noi siamo grati per la solidarietà dei nostri alleati, per le parole forti e chiare che ha pronunciato a più riprese, da ultimo l’altro giorno, Romano Prodi di solidarietà politica e personale verso il nostro partito. E’ in momenti come questi che si misura la forza di una coalizione, il legame tra le persone chiamate a condividere una battaglia così difficile e un impegno per il futuro. Nessuno di noi si è perso d’animo in questi giorni.

Certo, la politica è anche fatta da momenti di amarezza. Per quanto mi riguarda personalmente non era la prima volta che mi trovavo a essere accusato. Mi è tornato alla mente un episodio di molti anni fa quando fu Bettino Craxi a denunciare alla Procura della Repubblica di Roma Achille Occhetto e Massimo D’Alema di una serie di crimini che poi la magistratura accertò che non erano mai avvenuti. Ma c’è una differenza molto grande: allora era il gesto di un uomo disperato, umanamente comprensibile: noi reagimmo naturalmente, ma umanamente comprensibile. Adesso è stato il calcolo cinico di un uomo che non ha esitato a offrire al paese lo spettacolo inconsueto, direi, di un presidente del Consiglio che si infila nel furgone della scorta per arrivare nascostamente alla procura della repubblica allo scopo di gettare un’ombra. E’ un reato, non è un reato? C’è un aspetto anche grottesco in tutto questo ma io non vorrei soffermarmi sull’aspetto grottesco. Naturalmente c’è da domandarsi se per denunciare un non-reato si debba andare alla procura della repubblica, soprattutto uno che non vuole andarvi a rispondere di reati. C’è un aspetto grottesco ma vi è anche, ripeto, il calcolo del giocatore che non avendo in mano le carte buone per vincere la partita alza la posta per fare scappare i competitori, per spaventarli, per intimorirli. Del giocatore che disprezza le istituzioni, le regole, i principi e che ci offre per la prima volta un esempio davvero emblematico di quell’uso politico delle procure che non si era capito che cosa fosse fino a quando il presidente del consiglio non ci ha fatto capire che le procure della repubblica si può cercare di utilizzarle come sede per iniziative di propaganda elettorale e di intimidazione dell’avversario politico. Noi abbiamo reagito, lo abbiamo fatto con fermezza, abbiamo anche dovuto alzare un pochino la voce per rompere l’assedio che a un certo punto si era davvero determinato. Ci sono momenti in cui quando si ha l’impressione di poterci mettere sotto – questo accade, ogni tanto, non spesso – è impressionante vedere in quanti accorrono. E’ come un riflesso antico, ci sono rancori non sopiti, c’è chi pensa che noi dobbiamo pagare un conto, dobbiamo pagare qualcosa che viene da lontano. Ma ancora una volta saranno delusi. Noi dobbiamo reagire con serenità, potranno esservi ancora, nel corso di questa campagna elettorale, provocazioni. Potrà accadere -effettivamente circolano dei veleni - ma penso che fortunatamente ciò che è avvenuto negli ultimi giorni ha contribuito a fare chiarezza, direi a togliere credibilità. Molti hanno capito, debbo dire che in questo c’è stato che alla fine lui non ha saputo trattenersi e gli va dato atto - non vorrei dire con gratitudine perché non mi viene ma con onestà - che in questo momento lui è un po’ come il re Mida alla rovescia cioè tutto quello che tocca lui perde di credibilità agli occhi di milioni di italiani.

Non sarà un cammino agevole quello di questi 78 giorni. Diversi compagni e compagne hanno parlato – e io apprezzo questo senso della prospettiva, anche io dirò qualcosa – su tutto quello che dobbiamo fare dopo. Io vorrei che non dimenticassimo questo prima, perché sarà un percorso faticoso, a ostacoli. Io sono tra quanti non hanno mai sottovalutato la forza, la determinazione, la spregiudicatezza, il peso dei mezzi che sono in campo. Non c’è uno scontro di civiltà - per riprendere un’espressione “due civiltà, due mondi” e siamo solo all’inizio, non so che cosa potrà essere detto! - non c’è questo, non ci sono liste di proscrizione, nessuno dovrà espatriare. D’altro canto noi non espatriammo nel 2001, riflettemmo e poi organizzammo l’opposizione e la riscossa. Lo dico non soltanto per quello che dice Berlusconi ma persino anche nel nostro campo si sente qualcuno che ti dice “mi raccomando sennò vado in Svizzera…”. No, non c’è bisogno. Ma certo la posta in gioco è alta. Posta politica. E noi sappiamo imporre il terreno dei programmi, delle idee, qualità dei programmi, qualità delle persone. Perché vogliono sfuggire a questo tipo di confronto? Il confronto elettorale è fatto di bilancio delle cose fatte. Loro dicono “ma voi eravate all’opposizione”. No, noi siamo una grande forza di governo, nel bilancio delle cose fatte c’è il modo in cui noi governiamo le grandi regioni, le grandi città, non ci sono soltanto le battaglie e le proposte che abbiamo fatto dall’opposizione, c’è appunto per i cittadini di Roma o dell’Emilia Romagna - questa terra che viene dipinta sotto il giogo di un’oppressione, dove c’è un livello di vita tra i più alti d’Europa - c’è il bilancio delle cose fatte, l’attualità delle proposte, la credibilità delle persone. Questo è il terreno al quale vogliono sfuggire perchè, per dirlo con il linguaggio delle aziende, non sono competitivi, in nessuno di questi tre campi sono competitivi. Ed è questo il terreno sul quale li dobbiamo inchiodare, evitando il rischio di una drammatizzazione della campagna elettorale, parlando al paese reale che semmai guarda con fastidio e distacco alla rissa politica più che con partecipazione. E invece guarda con preoccupazione e partecipazione alla vita di ogni giorno di tante famiglie italiane. E lì che la destra ha fallito.
La destra ha fallito nel dare una risposta a quella domanda di lavoro, di sicurezza, di benessere che aveva intercettato nel 2001 quando vinse offrendo l’immagine di un’Italia nella quale tutti sarebbero stati meglio. Ed ha fallito nella sua incapacità di rinnovare il paese, di spingerlo in avanti, di portarlo ad essere più moderno e più competitivo, perché non solo non ha saputo mobilitare ma direi ha umiliato le qualità migliori di questo paese: la cultura, la creatività, il lavoro, la solidarietà. E invece ha fatto leva sull’illegalità, sulla furbizia. Intendiamoci, non sono caratteristiche assenti nel nostro paese, ci sono, tuttavia non sono le qualità degli italiani. E in questo la destra ha fallito e ha prodotto quella divisione del paese che è forse il risultato più grave della sua politica. Un paese diviso, attraversato da conflitti e quindi più debole non solo economicamente, più debole socialmente, più debole sulla scena internazionale. Una delle cose più comiche che Berlusconi dice è che “l’Italia è più forte e rispettata nel mondo”. Ora io per ragioni del lavoro che mi è stato assegnato dal partito, dagli elettori, lavoro all’estero gran parte del mio tempo, nelle istituzioni europee, e non so come dirvelo ma sento a volte come un sentimento di solidarietà mista a commiserazione. Non so che cosa intenda Berlusconi per un paese più rispettato nel mondo ma mi è capitato di raccontare – e mi ripeto – la scena del Parlamento europeo il giorno in cui parlava Ciampi e una parte della maggioranza di governo urlava parolacce e sventolava stracci contro il Presidente della Repubblica italiana e come la mia vicina di banco, che è una parlamentare spagnola, un paese che ha il senso di sé, mi abbia preso e mi abbia detto “Poverini...!”. Questo è, questa è la realtà, l’immagine del nostro paese ed è forse il prezzo più alto che abbiamo pagato alla destra, ancora più alto del prezzo che abbiamo pagato all’interno dell’Italia. Cioè l’immagine di un grande paese privo di una classe dirigente o come tante volte ha detto Piero “con un governo piccolo”, considerato da tutto il mondo democratico una realtà anomala nel senso appunto dell’anomalia della concentrazione di potere finanziario, politico, mediatico. Che si è distinto per comportamenti singolari da quando il presidente del Consiglio è venuto in visita al parlamento europeo e ne uscì nel modo che forse voi ricorderete; per scelte politiche che hanno contrastato il processo dell’unità europea in tanti campi.

Un governo che ha allontanato l’Italia dal cammino della sua tradizionale politica di pace. Tradizionale, non della sinistra. Di quella politica di pace, per esempio, che ha fatto dell’Italia a lungo il crocevia di un dialogo fra le civiltà del Mediterraneo, che non è stata la politica della sinistra, è stata la politica italiana: della Democrazia cristiana, del partito socialista, del partito comunista, per decenni. Spetta dunque al centrosinistra affrontare la grande e difficile sfida che consiste nel promuovere la giustizia sociale e l’innovazione, il cambiamento, restituire dinamismo alla società italiana costruendo quel blocco di forze, quell’alleanza di forze del mondo imprenditoriale, del lavoro, della cultura. Questo noi vogliamo fare. E io vorrei dirlo al mondo dell’impresa. Una parte del mondo dell’impresa ci ha guardato anch’esso con sospetto per la vicenda Unipol pensando in qualche modo che noi abbiamo un’idea del rapporto con l’economia come se volessimo avere il pezzo dell’economia più legato a noi, una sorta di partecipazioni statali della sinistra. E’ un’idea assurda e d’altro canto io credo che stia a testimoniare che si tratta di un’idea assurda il modo in cui noi abbiamo governato e governiamo. Un modo trasparente, non solo trasparente ma anche aperto alle esigenze del mondo dell’impresa e in particolare di quel mondo imprenditoriale che vuole innovare, competere e che vuole vincere la sfida puntando sull’intelligenza, sulla ricerca e non sullo sfruttamento e sulla precarizzazione del lavoro.

Ma nello stesso tempo il mondo dell’impresa sbaglierebbe a non vedere nell’economia cooperativistica un pezzo fondamentale dell’economia italiana. Non è una sezione di lavoro di un partito. Quando Berlusconi in questi giorni si rivolge ai suoi perché vuole fare i dossier contro le cooperative e vuole dedicare gli ultimi giorni della campagna elettorale ad un attacco, vedete, a me viene rimproverato da tanti ma io non sono pentito, l’aver detto durante la campagna elettorale del ’96 che se il centrosinistra avesse vinto le elezioni non avrebbe perseguitato l’impresa Mediaset, perché una grande impresa è una risorsa del paese. Io non sono pentito, so che questa è una cosa che ancora adesso mi viene rimproverata ma che volete, sono testardo, perché penso che questo corrisponde ad un Dna democratico nostro che ci rende diversi dalla destra. Ma in quale paese al mondo il capo del governo si rivolge a un pezzo dell’economia nazionale, 7milioni trecentomila soci, un milione di lavoratori, per dire “io voglio colpirvi, voglio distruggervi, voglio raccogliere i dossier contro di voi!”? Ma ci rendiamo conto di quale pericolo sia un capo del governo che concepisce la lotta politica non soltanto come aggressione alle persone, ai partiti, ma anche come persecuzione di una parte così larga del mondo del lavoro e dell’economia italiana! E’ una follia e penso che gli imprenditori italiani non lo seguiranno su questo terreno.

Poi spetterà al centrosinistra lavorare per riportare l’Italia in prima fila nel processo di rilancio dell’Europa da cui dipende così largamente non soltanto la difesa della pace, non soltanto quel ritorno della politica – sono d’accordo anche qui con Fabio, è così, è vero – tramontata la lunga stagione di un liberismo estremo in cui ha vinto l’illusione che si potesse fare a meno della politica. Ma governare la globalizzazione con la politica significa dare forza a grandi istituzioni sopranazionali - l’Europa, le Nazioni Unite - e l’Italia deve essere protagonista in quest’opera di rilancio e di rafforzamento di questa dimensione.

C’è moltissimo da fare, non sarà una sfida facile, avremo bisogno anche in questa sfida di una grande forza organizzata nel paese perché senza mobilitare gli italiani non si fanno le riforme. E noi abbiamo imparato che le riforme non sono soltanto delle buone leggi ma sono dei processi sociali, di cui devono essere protagonisti i cittadini e a questo servono i partiti. Non da soli. Noi dobbiamo respingere questa criminalizzazione dei partiti, questo sentimento antipolitico che qualche volta mette radici anche nel mondo della sinistra. Questa idea che ci sono i partiti - cioè qualcosa da guardare con un qualche sospetto - e poi c’è la società civile come se appunto ognuno di voi - il lavoratore dell’Alitalia, l’operaio, l’intellettuale - nel momento in cui prendete la tessera di un partito siete espulsi dalla società civile. A me sembra questa una concezione assurda. I partiti sono appunto cittadini che dedicano una parte del loro tempo all’impegno politico, tanto più un partito come il nostro oramai così povero di strutture, apparati. Vive il mito, diciamo, così come l’anticomunismo è sopravvissuto alla fine del comunismo, così il mito del partito-apparato è sopravvissuto alla sua sostanziale estinzione. Voi lo sapete benissimo che noi viviamo di impegno volontario, di partecipazione, sacrificio, non di grandi apparati, siete i testimoni del fatto che non esistono queste macchine burocratiche che vengono evocate. E meno male che noi attraverso tutti i cambiamenti, le burrasche, abbiamo saputo ridare forza su basi nuove ad una grande forza politica popolare radicata nel paese.

Sapete, una volta mi ha detto – lo ricordo con simpatia – un amico, uno di questi nostri amici, compagni di strada, di quelli appunto “che bisogna stare attenti, i partiti, la partitocrazia…” che fu mandato in un collegio – come si faceva – in un collegio in una parte d’Italia che lui non conosceva e dove loro non conoscevano lui, ma dove doveva essere eletto e dove, dopo avere predicato molto contro i partiti mi disse “Sai la prima cosa che ho fatto? Ho cercato l’indirizzo della sezione del vostro partito: c’era, per fortuna, mi hanno accolto, mi hanno spiegato dov’ero, mi hanno fatto la campagna elettorale!” ecco, è così! E’ la verità: meno male che ci siete, meno male che ci siamo in tanti quartieri, in tante aziende. E’ che non ci siamo abbastanza, forse, ci dovremmo essere ancora di più perché se non ci fosse stata questa forza chi avrebbe organizzato la resistenza, il contrattacco?

Certo, in questi anni siamo stati guidati con apertura, con intelligenza perché Piero ha saputo aprire il dialogo con chi ci criticava, con la società civile. Ho detto tante volte che forse io sarei stato più spigoloso. Lui ha memoria, perché quando poi dopo sono arrivati i risultati gli è venuto in mente di dire che non era vero che con quei dirigenti non si poteva vincere: era giusto, però ha aspettato il momento in cui era possibile dirlo. Insomma abbiamo fatto molta strada e certamente oggi noi non vogliamo che ci sfugga quel risultato che è così importante non solo per il centrosinistra ma per il nostro paese. E questo richiede una grande forza, una grande fermezza, una grande unità anche all’interno del nostro partito che è un partito che discute, un partito che ha avuto anche momenti di conflitto aspro di idee e di progetti, però è stato molto importante il modo in cui in questi giorni si è rinsaldata la solidarietà. Fabio e io ci conosciamo dal novembre del ’67 - siccome lui dice che le perplessità ci sono tra i compagni anziani, anche noi oramai..! - e succede, è successo tante volte di essere d’accordo e non poche volte di essere in disaccordo e di non essere teneri nella lotta politica. Siamo stati educati in un partito alla lotta politica, non si era teneri ed è giusto che sia così. Ma la forza della lotta politica non cancella le ragioni dello stare insieme, le ragioni della solidarietà, le ragioni del rispetto reciproco. Questa è la nostra forza. Il dopo lo discuteremo dopo.

Io penso che in un paese che si divide, in una politica che si spezzetta, in un paese che si frantuma anche socialmente, l’avere messo in campo il grande progetto di una grande forza che unisca riformisti e democratici non ci rende più deboli in questa campagna elettorale. E’ qualcosa che dà coraggio, speranza. Su una cosa mi sento di dire che sono d’accordo anch’io: nessuno di noi – di questo davvero vorrei che ci sentissimo tutti tranquilli – potrebbe aderire ad una prospettiva che cancelli le ragioni, le radici della sinistra in questo paese. Nessuno. Io sono convinto che queste ragioni possono trovare nuova linfa, nuova forza nella prospettiva di un grande partito democratico. Di questo discuteremo, ma non sulle ragioni. Possiamo discutere sui mezzi, non sulle ragioni. Sulle ragioni siamo uniti. Noi abbiamo forse sottovalutato la spregiudicatezza e l’aggressività dei nostri avversari ma loro hanno sottovalutato la nostra forza e nei prossimi giorni se ne renderanno conto!

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