Intervista
14 maggio 2006

D'Alema: "Io vicepremier con Rutelli. Se Prodi lo chiede sono pronto"

Intervista di Massimo Giannini - La Repubblica


amato_padoa477_img.jpg
"Restiamo perplessi sullo schema dei due vicepremier, ma siamo una forza responsabile. Se Prodi ce lo chiede, siamo pronti a farci carico dei problemi dell'alleanza. Sono pronto a fare il ministro degli Esteri, e se necessario il vicepremier insieme a Rutelli". Massimo D'Alema apre uno spiraglio, nella complicata trattativa interna all'Unione sulla squadra di governo che irrita e preoccupa l'opinione pubblica. "L'opinione pubblica deve essere tranquillizzata - dice il presidente Ds - stiamo procedendo in fretta, addirittura a tempo di record...".


Lei dice? Avete vinto le elezioni da un mese, e da allora non fate altro che litigare sulle poltrone...
"Guardi, in Germania, dopo le elezioni, ci hanno messo un mese e mezzo a fare il governo Merkel. In Italia abbiamo dovuto affrontare un ingorgo istituzionale tutt'altro che semplice. Capisco che possa apparire sgradevole che si parli di poltrone, ma questo non succede per un peccato di 'ubris'del centrosinistra. E' vero che stiamo discutendo, ma non ci sono risse né battaglie all'ultimo sangue. Dobbiamo costruire una struttura di governo destinata a durare a lungo e un assetto politico nuovo: occorre una riflessione seria e profonda. E' quella che stiamo facendo. E' quella che noi Ds abbiamo fatto, con la segreteria di venerdì scorso".

Appunto. La rinuncia di Fassino sul governo, non è un sacrificio insensato, visto che tutti gli altri leader di partito entreranno?
"Quella di Fassino è stata una scelta di grandissimo valore, che è stata apprezzata da tutti. Piero non aveva nessun obbligo. Poteva entrare nel governo, potevamo entrarci tutti e due, o stare entrambi fuori. Il segretario ha preso una decisione, ed io credo sia stata la più giusta, di fronte alla complessità del quadro politico".

E' ovvio che lei condivida la scelta. Si dice che proprio D'Alema abbia preteso di essere il solo capo delegazione Ds dentro il governo...
"Questa è una fesseria assoluta. La decisione di Fassino nasce da ragioni politiche, e nient'altro. Noi siamo convinti che, per governare al meglio il Paese, occorra costruire in fretta il partito democratico. L'Ulivo ha preso 12 milioni di voti. Grazie al traino dell'Ulivo, il centrosinistra ha intercettato il voto dei giovani, quello delle aree urbane, perfino delle grandi città del Nord. Il messaggio che viene da questi consensi è chiaro: fate subito il partito democratico. La decisione di Fassino nasce da qui. Siamo convinti che se Piero si impegna in prima persona in questo processo, aiuta anche la stabilità del governo. Con il mio esecutivo nel '98 sperimentai sulla mia pelle che non esiste l'idea di un 'riformismo dall'alto'. Non basta il governo, se il riformismo non è supportato da cambiamenti reali nel processo politico".

Non è che Fassino si è sacrificato per lasciare campo libero a lei?
"No, mi creda, in questa decisione non hanno agito i capricci personali. Saremo pure all'antica, ma per noi la serietà politica fa premio sulle ambizioni dei singoli. E per noi la vera leadership è la guida del partito. E' stato sempre così. Anch'io, nel '96, quand'ero leader del Pds non entrai nel governo. Può anche darsi che, rispetto all'opinione comune, Fassino si sia 'sacrificato'. Ma non l'ha fatto per me. Non bisognava fare nulla, per me. Io non ho mai preteso nulla. Se avessero chiesto a me di occuparmi del partito democratico, l'avrei fatto, e senza alcun sacrificio. Ha deciso di farlo Piero, e noi lo ringraziamo".

D'accordo. Tra lei e Fassino è un idillio. Ma ora non smentirà il braccio di ferro tra lei e Rutelli sulle vicepresidenze.
"Nessun braccio di ferro. Noi riteniamo che non ci sia l'esigenza di fare due vicepremier, perché consideriamo che tra noi e la Margherita non ci sia il rapporto classico che c'è tra partiti di un 'governo di coalizione'. Un presidente leader del futuro partito democratico c'è già, e si chiama Romano Prodi. Ds e Margherita, in prospettiva, appartengono a quello stesso partito. Distribuire tra loro le due vicepresidenze sarebbe una fotografia statica, che non coglie la grande novità del futuro che ci aspetta".

C'è anche un'altra ipotesi: che lei voglia fare il vicepremier unico per fare un dispetto a Rutelli. E poi non c'era già un patto pre-elettorale per fare i due vicepresidenti Ds-Margherita?
"Che io abbia chiesto di fare il vicepremier unico è una volgare menzogna. Di più, è una calunnia. Quanto ai patti pre-elettorali, non ne conosco. All'inizio si pensavano tante cose, che poi non sono successe... Comunque noi non vogliamo fare dispetti a nessuno, e non vogliamo lanciare ultimatum. Decide Prodi. Se ritiene opportuno che i due vicepresidenti si facciano, noi siamo pronti a farci carico dei problemi dell'alleanza, e io sono pronto ad assumere questo impegno insieme a Rutelli. E comunque non è che i Ds hanno deciso di 'mandare D'Alema al governo'. Voglio ricordarle che è stato Prodi a chiedermelo, in modo pubblico tra l'altro. Facciamola finita di pensare che D'Alema pretende, D'Alema ordina. Se io avessi puntato i piedi avrei potuto fare il presidente della Repubblica con i soli voti del centrosinistra. Non l'ho fatto, non l'abbiamo fatto, perché siamo gente che ragiona di politica. Almeno questo ci sia concesso, per favore".

Non l'ha fatto perché nel centrosinistra non tutti erano convinti della bontà di questa candidatura. Tra voi c'è chi in questi giorni ha riesumato vecchi sospetti sulla Margherita, o sbaglio?
"Io non so se qualcuno non era convinto. Alcuni che non lo erano, l'hanno detto pubblicamente. I radicali, Boselli. Se c'erano altri alleati perplessi, dovevano dirlo. Per diventare Capo dello Stato io avrei avuto molto più bisogno del consenso dell'opposizione, rispetto a Napolitano. E in partenza la mia candidatura questo consenso non lo aveva. Io sarei stato il candidato se il centrodestra non avesse chiesto per quell'incarico un profilo politico diverso, più istituzionale e meno di parte. Quando questa richiesta è stata formulata, proprio in quel turbolento pomeriggio di domenica scorsa, Fassino ed io non abbiamo esitato a mettere in campo Giorgio Napolitano".

Lei aveva scommesso sul "coraggio di Berlusconi", come ha già detto, ma a Berlusconi quel coraggio è mancato.
"Io non avevo 'scommessò niente. Il mio, ancora una volta, era solo un ragionamento politico. Se ci fosse stata la convinzione del leader del centrodestra di fare un'operazione politica innovativa, anche in virtù dei precedenti tentativi riformatori sperimentati con la Bicamerale, la mia candidatura avrebbe avuto un senso. Ma nel momento in cui quelle condizioni non sono maturate, Napolitano è stata la scelta più logica, giusta e naturale. Giorgio sarà un grande presidente: è un uomo delle istituzioni, una figura di garanzia, la più adatta a raccogliere l'eredità di Ciampi".

Non è stata improvvida l'intervista di Fassino al "Foglio", che aveva ipotizzato una piattaforma programmatica per la sua elezione al Colle?
"Quell'iniziativa di Piero è stata caricata di troppi significati. Fino al punto di rievocare il fantasma dell'inciucio, un classico del nostro stupidario nazionale. Quell'intervista non conteneva nulla di scandaloso né di inquietante. Certo, se l'avessi fatta io avrebbe avuto un altro significato. Ma era la proposta di un leader di un grande partito, che voleva sostenere la forza politica di una candidatura. E invece, apriti cielo. Ho letto persino che quella proposta sanciva il 'passaggio a una Repubblica semipresidenziale'. Scemenze. Non siamo golpisti, sa? Sappiamo anche noi che l'unico 'programmà del Capo dello Stato è la Costituzione. Vorrei rassicurare tutti: almeno di questo eravamo stati informati".

Ironie a parte, in questo grand-guignol quirinalizio c'è un'altra "vittima" innocente: parlo di Giuliano Amato. L'ex-socialista, che ha pagato il settarismo degli ex-comunisti. E' così?
"Rivolta a me, questa affermazione è vergognosa. Vorrei ricordare che fui io, nel '98, a chiamare Giuliano nel mio governo. E quelli che oggi denunciano la 'discriminazionè nei suoi confronti sono gli stessi che allora mi dicevano 'tienilo fuori, non rappresenta nessuno'. E fui sempre io, che gli sono amico e ho grande stima di lui, che gli chiesi di fare il ministro per le Riforme, poi il ministro del Tesoro, e poi lo indicai come premier quando mi dimisi nel 2000. Non è male, come prova di antisocialismo, le pare? E non è male che tutte queste presunte 'vittimè dei famigerati 'complotti dalemianì diventino ministri, presidenti del Consiglio, presidenti di assemblee legislative. Se mi dite come si fa, mi ci iscrivo anch'io, a questa associazione delle vittime di D'Alema...".

Sta di fatto che anche Amato, che aveva tutte le carte in regola, è uscito misteriosamente dalla corsa per il Colle.
"Nessun mistero. Ci siamo trovati di fronte a una discriminazione per noi irricevibile: chi ha avuto la tessera del Pci non può fare il presidente della Repubblica. E' chiaro che a quel punto non avremmo mai più rinunciato alla candidatura di Napoletano. Amato è stato sfilato dalla corsa al Colle proprio da chi ha messo in campo questa pregiudiziale. Non certo da noi. La vicenda di tutti questi anni dimostra che lo abbiamo sempre considerato proprio 'uno di noi'".

C'è un'altra corrente di pensiero, un po' più perfida: Amato ha pagato la mancata solidarietà verso i Ds nella vicenda Unipol.
"Questa, se mi permette, è una corrente di letame, non di pensiero. Vuole una prova inconfutabile di quello che le dico? Anche Napolitano, l'estate scorsa, fece un'intervista sollevando perplessità su quella vicenda. Eppure oggi è il nostro presidente della Repubblica...".

Comunque, a questo punto vi tocca il governo. Lei è convinto davvero che durerà l'intera legislatura?
"Io credo di sì. La forza del governo si misurerà nella sua fase iniziale. La sfida sarà molto difficile. I conti pubblici vanno male. E anche le scelte che mi riguarderanno personalmente, quelle di politica estera, sono molto delicate: l'Iran, il Medioriente, il rientro dall'Iraq. Dovremo rimboccarci le maniche, ma possiamo e vogliamo farcela".

E' vero, come si dice, che i suoi rapporti con Prodi escono comunque rinsaldati da questa tormenta sulle elezioni delle cariche istituzionali?
"Sì, è vero. Fino a qualche tempo fa, io ero molto restio all'idea di entrare nel governo. Non volevo, per tante ragioni. Ora, invece, lo faccio con convinzione. Sento che tra me e Romano c'è un clima di fiducia, forte e reciproco. Ci sono tutte le condizioni per lavorare insieme e per lavorare bene":

E tra lei e Rutelli?
"Spero che ci siano anche con Rutelli. Certo, anch'io dovrò correggere qualche mia asprezza. Ma per tutti e due è arrivato il momento della prova. Dobbiamo dimostrare, con i fatti, quanto crediamo al governo, e soprattutto quanto crediamo alla nuova forza che deve nascere, il partito democratico. Se non c'è l'uno, è più difficile che tenga l'altro".

stampa