Discorso
4 ottobre 2006

Senato della Repubblica - Discussione sul finanziamento della missione italiana in Libano<br>

Testo dell'intervento durante la riunione congiunta delle commissioni Esteri e Difesa.


Il ministro D'ALEMA richiama in via preliminare le motivazioni di fondo che spiegano il ruolo particolarmente attivo svolto dal nostro Paese fin dai primi segnali della crisi con riferimento all'importanza geo-strategica del Medio Oriente e della sua stabilità, per la sicurezza dell’Europa e dell’Italia, all’importanza di contribuire alla definizione e all’attuazione della risposta delle Nazioni Unite, con la Risoluzione n. 1701, quale esempio concreto di quel multilateralismo efficace che deve orientare l’approccio della comunità internazionale alla gestione e soluzione delle crisi, e all’importanza di sostenere il nuovo ruolo politico e strategico dell’Europa nella regione, un ruolo per la prima volta richiesto dagli attori locali stessi, Israele incluso, a partire dalla missione per il controllo del valico di Rafah.

Aggiunge che l'impegno attivo in Libano deriva anche dalla convinzione più generale che la pacificazione di tale paese sia un tassello essenziale di uno scenario medio-orientale fortemente modificato rispetto al passato, in primo luogo per il fatto che la sicurezza di Israele non può più essere perseguita con scelte unilaterali; secondariamente perché l’ascesa del radicalismo islamico mette ormai a rischio la stabilità dei regimi arabi moderati; infine per via delle nuove connessioni fra queste dinamiche regionali, almeno in parte collegate all’implosione dell’Iraq, e la questione palestinese.

Dando atto alle Forze armate italiane di svolgere un ruolo fondamentale nell'area, riconosciuto anche nel recente incontro del premier israeliano Olmert con il presidente del Consiglio dei ministri Prodi, l'oratore ripercorre i risultati finora raggiunti in attuazione della citata risoluzione n. 1701 con riferimento al consolidamento del cessate-il-fuoco, all'effettivo controllo della linea di confine, allo spiegamento dell'esercito libanese a Sud del Litani e dei contingenti UNIFIL sul terreno e al ritiro delle forze israeliane dal Libano meridionale.

Rileva tuttavia come per conseguire dei risultati duraturi sia necessario anche un processo politico che vede l'Italia fortemente partecipe e che include, in primo luogo, l'esigenza di assicurare un forte sostegno al governo del premier libanese Fouad Siniora. Fa parte di tale politica di sostegno attivo anche la consistente iniziativa di aiuti al Libano già annunciata dalla comunità internazionale alla Conferenza di Stoccolma. Non si tratta solo di aiuti ad una popolazione civile colpita da un drammatico conflitto ma di un segnale di fiducia verso il premier libanese nella convinzione che una destabilizzazione della situazione politica interna avrebbe riflessi immediati anche sulla sicurezza, fino al rischio di una ripresa della guerra civile. L’Italia ha risposto prontamente alla sfida libanese anche sul piano degli aiuti, con l’approvazione di un Programma di cooperazione straordinario per il Libano che prevede lo stanziamento di un contributo pari a 30 milioni di euro, che si aggiunge alla cooperazione ordinaria bilaterale, che ammonta a circa 80 milioni di euro, e a quella posta in atto attraverso la partecipazione italiana ai programmi multilaterali. In questo quadro, la prossima settimana, il presidente Prodi visiterà il Libano per ribadire il sostegno italiano al governo Siniora e concretizzare gli impegni bilaterali dell'Italia.

Rileva poi come esistano rischi di nuova instabilità: la valutazione del Governo è che non si tratti di rischi imminenti sul piano militare. E’ da presumere che almeno per qualche tempo Hezbollah sarà focalizzato sulla dinamica politica interna libanese e non sarà interessato a provocare nuove crisi con Israele; il punto vero è che cessi il passaggio di nuove armi dalla frontiera siriana.

Se una ripresa del conflitto con Israele non sembra essere la minaccia più immediata, il rischio principale appare legato ai possibili tentativi di destabilizzare il governo Siniora. Una ipotesi di questo genere potrebbe alterare significativamente il sistema di equilibri politico-confessionali su cui si è retto il Libano, con il rischio di farlo precipitare nuovamente negli anni bui della guerra civile.

Tra i problemi specifici da affrontare resta la controversa questione delle Fattorie di Sheeba che, insieme al completamento della delimitazione delle frontiere tra Libano e Siria, continua ad alimentare le rivendicazioni di Hezbollah. Come richiesto dalla Risoluzione 1701, Kofi Annan ha preso nota della proposta contenuta nei sette punti del Piano Siniora, volta a porre l’area di Sheeba sotto la temporanea giurisdizione dell’ONU. Sarà in ogni caso difficile stabilizzare il fronte libanese senza progressi concreti anche su quello palestinese. La crisi libanese non può infatti essere vista in maniera isolata dal contesto regionale. Se non si risolve la questione palestinese, nuove tensioni si ripercuoteranno negativamente sull’intera area e quindi sul Libano stesso. E’ questa una convinzione condivisa dai partner europei e dai paesi arabi moderati, secondo i quali il protrarsi del conflitto israelo-palestinese produce una crescente radicalizzazione delle proprie società. Secondo taluni di essi l’ultima data utile per la creazione dello Stato palestinese è il 2007. E’ una previsione che appare consolidata dai chiari segnali di disgregazione della società palestinese; in particolare si riscontra una sorta di resa dei conti interna fra Hamas e Al Fatah, che finirebbe inevitabilmente per scaricarsi all’esterno. A tale proposito sottolinea come si debba prevenire uno scenario del genere, appoggiando concretamente Abu Mazen nel tentativo di costruzione di un governo in grado di negoziare con Israele, come auspicato anche dagli Stati Uniti, e si debba altresì impedire che la drammaticità della crisi economica ed umanitaria a Gaza sfoci nella protesta incontrollabile, suscettibile di ripercuotersi sulla stabilità dei paesi arabi moderati, da cui traspare un senso di urgenza che la comunità internazionale non può ignorare. La comunità internazionale deve scegliere una linea più dinamica e più netta: anzitutto, la convinzione dell’Italia è che sia essenziale appoggiare più concretamente la formazione di un nuovo governo palestinese sia sulla base di una piattaforma politica sia con interventi concreti di solidarietà sul piano degli aiuti economici in quanto appare sbagliato far pagare alla popolazione palestinese la vittoria elettorale di Hamas.

In questa prospettiva, come proposto dall'Italia e sostenuto anche dal segretario di Stato americano Rice, la riapertura del valico di Rafah è essenziale per spezzare l’assedio economico di Gaza e, quindi, alleviare la crisi umanitaria nei Territori palestinesi, dovendosi, in alternativa, procedere a una riflessione sul senso della missione ivi inviata dall'Unione europea.

Con riferimento alle proposte di modifica preannunciate in relazione al disegno di legge n. 1026, sottolineando l'auspicio del Governo che questo concluda rapidamente il proprio iter, rileva, da un lato, come alcune indicazioni politiche potrebbero più opportunamente essere recepite nella forma di un ordine del giorno e, dall'altro, preannuncia iniziative legislative volte a superare l'attuale sistema dell'autorizzazione semestrale delle spese per le missioni internazionali che, lasciando impregiudicati i poteri del Parlamento in merito alle decisioni politiche di fondo, che potrebbe pronunciarsi con frequenza anche superiore all'attuale cadenza semestrale, assicuri maggiore stabilità circa il regime giuridico e finanziario applicabile in relazione ai contingenti militari all'estero.

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