Discorso
27 ottobre 2006

La seconda occasione dell' Europa

Lettera di Massimo D'Alema a "La Repubblica"


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Caro direttore,

nel marzo prossimo l'Europa, come progetto di integrazione politica, compirà mezzo secolo. Non sarà un compleanno facile. Non c'e dubbio, infatti, che la vita dell'Unione europea sia stata dominata negli ultimi anni da segnali di crisi: le drastiche divisioni sull'intervento in Iraq, prima, e poi la bocciatura per referendum del Trattato costituzionale in due dei paesi fondatori, Francia e Olanda. Ma se i governi europei trarranno le lezioni giuste, potrà essere un compleanno molto utile: utile perché l'Europa possa ripartire. Si muoverà in questo senso la presidenza tedesca dell'Unione, cui il governo italiano darà tutto il suo contributo di idee e il suo appoggio politico. Su che basi può ripartire l'Europa?

Una prima condizione è che venga colto il cambiamento strategico in atto. Nel mondo anarchico ma interdipendente di oggi, l'Europa riuscirà a rispondere alle preoccupazioni di fondo dei suoi cittadini -occupazione e sicurezza- solo diventando un attore globale. Nel mezzo secolo scorso, l'Europa è stata costruita sull'integrazione interna, dal mercato unico alla moneta; nel prossimo mezzo secolo, l'Europa esisterà solo se saprà proiettarsi all'esterno. Da questo punto di vista, la missione in Libano ha costituito un segno di risveglio positivo. Ma in quanto tale insufficiente se gli Stati nazionali europei non prenderanno fino in fondo coscienza della realtà: restando divisi nel mondo rischiano tutti l'irrilevanza, piccoli o grandi che siano.

Ed efficace significa multilaterale, in un mondo caratterizzato da nuove potenze economiche e da una frantumazione dei rischi. In questa logica, gli europei dovrebbero avere il coraggio di compiere insieme, nel prossimo decennio, scelte che oggi sembrano irrealistiche: unificare la loro rappresentanza nel Fondo Monetario e nella Banca mondiale, agire a nome dell'Europa nel consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (mettendovi anche a disposizione una vera Forza di reazione rapida), costruire una politica comune dell'energia e definire un approccio unitario verso gli altri grandi attori, a cominciare dalla Russia vicina.

Per cogliere questa “seconda occasione” della propria storia, l'Europa ha bisogno di altre due condizioni: un nuovo assetto istituzionale e confini esterni certi.

L'essenza del Trattato costituzionale firmato a Roma nel 2004 resta indispensabile perchè l'Unione allargata possa funzionare. Sappiamo tutti che nessuna decisione definitiva in materia verrà presa prima del 2008, dopo l'esaurimento del ciclo elettorale che si aprirà in Francia nell'aprile prossimo. Ma dobbiamo rompere lo stallo fin dalla Presidenza tedesca del 2007, definendo le tappe di un percorso che possa produrre un “patto” costituzionale per le elezioni europee di due anni dopo.

Per l'Italia, l'unico patto possibile è un Trattato fondamentale (che si chiami o no Costituzione è meno rilevante) che integri le riforme essenziali su cui gli Stati membri avevano già raggiunto a Roma un difficile accordo. Le riassumo: la creazione di un Ministro degli Affari esteri, che presieda il Consiglio e faccia parte della Commissione; la designazione di un Presidente stabile del Consiglio europeo; l'estensione del voto a maggioranza qualificata sulla base del principio della doppia maggioranza; l'introduzione di meccanismi di democrazia diretta e di un più chiaro sistema della ripartizione di competenze e delle fonti legislative; il conferimento di forza giuridica vincolante alla Carta dei diritti. Avremmo cosi salvato l'essenza del Trattato costituzionale: sarebbe un "core" Treaty, non un "miniTreaty".

Sbloccare il processo costituzionale permetterà anche di completare l'allargamento. Dopo l'inclusione di Romania e Bulgaria (gennaio 2007), la porta dell'Europa democratica dovrà restare aperta ai paesi dei Balcani occidentali e, in uno scenario più lungo e più delicato, alla Turchia. Nelle altre direzioni, l'Europa dovrà invece sviluppare politiche di vicinato molto più credibili, anzitutto verso l'Ucraina, lo spazio ex sovietico, il Mediterraneo settentrionale.

Il rischio di una esclusione a priori della Turchia è chiaro: la tentazione di definire l'identità dell'Europa non su valori condivisi propri ma "contro" qualcosa, in questo caso il mondo islamico.

Definire l'identità del progetto europeo contro un nemico esterno, invece che partendo da se, è naturalmente un facile fattore di unità. L'Europa degli anni '50 era definita anche contro l'ex spazio sovietico. L'Europa post 1989 e post 2001 tende ad essere definita da alcuni "contro" gli Stati Uniti e da altri “contro” l'Islam. Si tratta comunque di scelte sbagliate. L'Unione europea continua ad avere bisogno, anche per restare unita, di un rapporto molto solido con gli Stati Uniti. D'altra parte, se tentasse di definirsi contro l'Islam, l'Europa aumenterebbe drammaticamente le proprie tensioni interne, diventando davvero parte di uno scontro di civiltà. Non abbiamo nessun interesse a favorire un esito del genere: dobbiamo definire l'identità dell'Europa su valori positivi condivisi, non su scelte negative di esclusione.

Ma tutto questo richiede, per poter funzionare, una condizione ulteriore e generale: una maggiore flessibilità. Con l'aumento dei membri dell'Unione, dovrà anche aumentare la capacita di gestire differenze e diversità. L'Europa andrà a più velocità; il punto è che vada sulla stessa strada. Lo scenario ideale, per lo sviluppo politico dell'Unione, è che un nucleo trainante di paesi -fra cui il nostro- faccia parte di tutte le forme di cooperazione o integrazione ulteriori: nelle politiche di sicurezza interna, ad esempio, nella politica estera e di difesa.

In una visione euro idealista aggiornata, avremo un'Europa delle regole comuni e del mercato interno, che coinciderà con lo spazio allargato; e insieme avremo gruppi europei più ristretti, come del resto già avviene con l'Euro. Gestire l'insieme di questo disegno, e insieme adattare le politiche economiche alle pressioni globali, non sarà facile; ma resta l'unico modo perchè glie europei possano competere con successo nel mondo del XXI secolo.

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