Discorso
16 novembre 2006

Roma - Senato della Repubblica

Question time: svolgimento di interrogazioni a risposta immediata sui diritti umani in Cina


Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, ai sensi dell'articolo 151-bis del Regolamento, sui diritti umani in Cina (ore 16,05)


PRESIDENTE.
L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata sui diritti umani in Cina.

Ai sensi dell'articolo 151-bis del Regolamento, dopo l'eventuale intervento del Governo, un senatore per ciascun Gruppo parlamentare può, per non più di un minuto, formulare interrogazioni consistenti in una pura e semplice domanda senza alcun commento.

Dopo la risposta, per non più di tre minuti, da parte del rappresentante del Governo, l'interrogante può a sua volta replicare per non più di tre minuti.

Al fine di consentire al maggior numero di oratori di intervenire entro la conclusione della ripresa televisiva diretta, la Presidenza provvederà ad assicurare la rigorosa osservanza dei limiti di tempo stabiliti.

Chiedo al vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri, onorevole D'Alema, se intende intervenire preliminarmente.

D'ALEMA vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. ,
Signor Presidente, la ringrazio per questo dato. Credo che una formula così stimolante forse richieda qualche brevissima considerazione preliminare, prima di essere interrogato all'impronta, su un tema sicuramente di grandissimo impegno ed anche assai vasto. Infatti, il tema dei diritti umani in un Paese come la Cina tocca molti e diversi aspetti, all'attenzione non soltanto del Governo italiano, che costituiscono, come è noto, oggetto di quel dialogo permanente sul tema dei diritti umani tra Unione Europea e Cina di cui l'Italia è partecipe e che è esattamente il modo in cui l'Unione Europea tende ad incalzare la Repubblica popolare cinese sul terreno della costruzione di un autentico Stato di diritto e nel pieno riconoscimento dei diritti collettivi e individuali.

Dato che il caso vuole che questo incontro con il Senato della Repubblica avvenga all'indomani di una missione che ho svolto per conto del Governo italiano in Cina e in un momento particolarmente intenso delle relazioni sino-italiane, vorrei premettere al nostro dibattito qualche considerazione di carattere generale. La trasformazione della Cina ed il suo emergere - si dovrebbe dire riemergere, dato che la Cina è uno Stato millenario che ha svolto, nel corso della storia umana un grande ruolo di protagonista - come grande protagonista mondiale attuale, è probabilmente oggi il più grande fenomeno del nostro tempo. Sta mutando i caratteri dell'economia mondiale, i rapporti di forza internazionali e si impone come processo decisivo nel definire un nuovo assetto del mondo non soltanto dal punto di vista dello sviluppo impetuoso dell'economia cinese, una economia di mercato che ha caratteri via via sempre più aperti e competitivi, ma anche dal punto di vista della trasformazione della società cinese. Penso che chiunque si trovi ad andare in Cina viva l'impressione, nel volgere di pochi mesi, di un mutamento impetuoso e radicale che, certo, in modo diseguale investe quel Paese, in modo particolare le aree più aperte, le grandi concentrazioni urbane.

Questo processo, che a mio giudizio è fondamentalmente positivo, non solo per gli equilibri mondiali, dove pure determina squilibri e contraddizioni, ma anche per la società cinese, è destinato ad aprire, anzi sta già aprendo, grandi contraddizioni e sta spingendo verso un'innovazione anche sul piano delle relazioni sociali e politiche.

D'altro canto, rispetto ad un Paese chiuso, con un'economia e una società chiuse, la Cina di oggi è un Paese in comunicazione con tutto il mondo. Per quanto il Governo, il regime possano sforzarsi di condizionare le comunicazioni, in tutte le case arrivano la CNN e la BBC e gran parte dell'opinione pubblica è in contatto con i grandi mezzi di informazione e di comunicazione. Tutto ciò è destinato ad avere una influenza crescente sulla società cinese, i cui segni sono largamente visibili.

Credo pertanto che dobbiamo sostenere l'approccio che l'Unione Europea ha avuto alla grande trasformazione della Cina, un approccio che è stato insieme di apertura e di forte collaborazione sul piano economico, politico, culturale, senza tuttavia rinunciare ad un incalzante condizionamento sul tema dei diritti umani, delle questioni della democrazia, delle libertà, che costituisce un tratto non rinunciabile della politica estera dell'Unione Europea. Penso che questo approccio, che non è compatibile con atteggiamenti di chiusura e che non rinuncia ad una posizione di principio fondamentale che definisce l'identità europea, sia quello giusto.

Come è noto, la posizione europea si sviluppa attraverso un dialogo continuo. La ventiduesima sessione del dialogo sul tema dei diritti umani si è svolta il 19 ottobre. La valutazione dell'Unione Europea, e quindi la nostra, contenuta nel rapporto presentato il 31 ottobre scorso (si tratta perciò delle valutazioni europee più recenti) è che dall'avvio di questo dialogo si sono compiuti progressi significativi, soprattutto in termini di procedure e di approvazione di leggi, ma che nel complesso permangono punti di sofferenza e di preoccupazione estremamente significativi su aspetti diversi della realtà politica cinese.

Vorrei sottolineare entrambi questi aspetti. Mutamenti e avanzamenti si registrano senza dubbio. In modo particolare, per riferirsi alle questioni più recenti, due provvedimenti di rilievo sono all'esame delle autorità cinesi, uno dei quali prevede l'appellabilità della pena di morte alla Corte suprema. Con ciò non soltanto si introduce un elemento di garanzia oggi sconosciuto al diritto cinese, in cui l'appello si rivolge soltanto alla Corte che ha già pronunciato la sentenza, ma indubbiamente si introduce anche un filtro volto a limitare il ricorso alla pena di morte. Non è questo il punto di vista europeo, in effetti è molto più drastico, tuttavia una misura di questo tipo deve essere considerata un passo avanti.

Un altro tema che appassiona grandemente la società cinese e anche molti osservatori internazionali è la discussione di una nuova legge per la tutela del lavoro.

Questo è uno dei punti più delicati. Il tema dei diritti del lavoro non sempre viene considerato un aspetto dei diritti umani, ancorché ne costituisca una parte fondamentale. Non c'è dubbio che nella modernizzazione della Cina il moltiplicarsi di conflitti nel mondo del lavoro è stata una delle contraddizioni più laceranti. Sotto questo profilo, l'introduzione di una legge che rafforza i poteri sindacali, che introduce - almeno sulla carta - poteri di contrattazione e tutele, dai minimi salariali alla tutela della salute, potrebbe costituire (il provvedimento non è ancora approvato, ma se ne sta discutendo) un passo avanti importante e a mio giudizio di grande valore.

I punti di sofferenza più gravi, sui quali ci intratterremo nel corso del nostro dialogo, sono rappresentati senza dubbio da tre aspetti, che cito.

In primo luogo, vi sono limitazioni tuttora assai significative alla libertà di espressione. Non voglio citare in questa sede i casi che sono noti e sui quali in diversi momenti le autorità (l'Unione Europea, il Governo italiano) sono intervenute, relativi alla persecuzione di singoli giornalisti. Questo tema ci preoccupa molto, anche nella prospettiva delle Olimpiadi e della libertà dei giornalisti che saranno chiamati a seguirle. Su questo punto vi è stata una specifica iniziativa: sono giunte assicurazioni da parte cinese, ma sicuramente ciò costituisce un banco di prova molto significativo. In materia di limitazione della libertà d'espressione è ancora aperta la questione delle limitazioni anche per quanto riguarda l'accessibilità a Internet.

Il secondo punto di grande delicatezza è il tema della piena garanzia della libertà religiosa. Questo tema è stato sollevato anche dal Presidente del Consiglio nel corso del suo ultimo viaggio e nel suo incontro con il primo ministro Wen Jiabao.

Infine, vi è il grande tema della tutela dei diritti delle minoranze. In particolare evidenza è il noto tema della minoranza tibetana, ma non è l'unico a suscitare la nostra preoccupazione.

Vorrei concludere affermando che su ciascuna delle suddette questioni (ma siamo pronti ad approfondire insieme) l'Italia e l'Europa credo non debbano cessare di incalzare la Cina e di chiedere concreti passi avanti. La Cina è in un passaggio molto importante della sua storia. È alla vigilia di grandi appuntamenti internazionali (le Olimpiadi nel 2008, l'Esposizione universale nel 2010); è quindi nella vetrina internazionale. Ritengo sia questo il momento migliore per incalzare le autorità cinesi, chiamate a rispondere ad una larga opinione pubblica che guarderà alla Cina.

Questa azione, tuttavia, a mio giudizio, deve intrecciarsi ad una politica di cooperazione, sul piano economico e su quello politico. Solo in un rapporto di cooperazione con la Cina è possibile - io ritengo - spingere quel grande Paese a modernizzarsi, non solo nell'economia, ma anche nelle sue istituzioni e nel suo sistema di diritti.

IOVENE (Ulivo).
Signor vice Presidente del Consiglio, nell'esposizione che ha appena svolto lei ha ricordato due aspetti molto importanti.

Il primo concerne la legge che prevede l'appellabilità delle sentenze di condanna alla pena di morte. Vorrei ricordare che le esecuzioni nel 2005 sono state 1.770 secondo Amnesty International e 5.000 secondo l'associazione «Nessuno tocchi Caino», il 91 per cento delle esecuzioni totali eseguite nel mondo nell'ultimo anno. La seconda questione, rispetto alla quale si misura la capacità di riconoscere un'autonomia ad una regione molto importante, riguarda il Tibet.

Vorrei sapere se su questi due punti ci sono stati, da parte del Governo cinese, nei colloqui e negli incontri che lei ha avuto, passi avanti significativi e cosa si può fare in questa direzione.

D'ALEMA, vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri.
Come ho già detto, per quanto attiene alla pena di morte è nota la posizione del Governo italiano, che ne sostiene l'abrogazione e che è impegnato, insieme agli altri membri dell'Unione Europea, nella raccolta di adesioni ad una dichiarazione per l'abrogazione della pena di morte e per la moratoria nell'esecuzione delle sentenze. Stiamo raccogliendo adesioni fra tutti i Paesi del mondo sulla base di un impegno comune e cioè che questa raccolta di adesioni sia preliminare alla presentazione, nella prossima Assemblea dell'ONU, di una risoluzione contro la pena di morte. Questa è la nostra posizione. La posizione cinese è diversa. Io ritengo che questo provvedimento di appellabilità dovrebbe introdurre un limite; naturalmente, si tratterà di vedere, nella pratica, se tale limitazione vi sarà e, da questo punto di vista, noi continueremo ad osservare e ad incalzare.

Per quanto riguarda il Tibet, abbiamo avuto certamente occasione di avere uno scambio di opinioni sul tema, come avviene normalmente nei rapporti con le autorità cinesi. La posizione della Cina è la seguente: i cinesi ritengono di avere applicato al Tibet quei criteri di rispetto dell'autonomia che sono compatibili con il loro ordinamento costituzionale e contestano al movimento che si raccoglie intorno al Dalai Lama l'intenzione di perseguire, invece, l'obiettivo dell'indipendenza del Tibet e quindi la rottura dell'unità nazionale cinese; dicono, inoltre, che in questo senso essi contrastano questo movimento perché avrebbe obiettivi incompatibili con il mantenimento dell'unità della Cina.

Il nostro punto di vista è diverso: abbiamo salutato con favore il fatto che il Dalai Lama, già da diversi anni, avesse assunto una determinata posizione. Io stesso fui latore di una lettera dello stesso Dalai Lama al presidente cinese Jiang Zemin nel 1996 nella mia veste di leader di partito: una lettera nella quale si dichiarava la disponibilità ad aprire un dialogo con le autorità cinesi nel nome della ricerca di una autonomia che escludesse l'indipendenza nazionale. Questo dialogo, per la verità, si è avviato nel 2002, ma ha poi subito una drastica battuta d'arresto perché le autorità cinesi accusano il Dalai Lama di una sorta di doppio gioco: da una parte la dichiarazione di non sostegno all'indipendenza, dall'altra un'azione che invece alimenterebbe il movimento indipendentista.

Quindi, il nostro punto di vista è chiaro. Mentre la posizione cinese ha delle rigidità, in particolare nel dialogo con il Dalai Lama, noi abbiamo insistito ed insistiamo per la ripresa di un dialogo che si era positivamente avviato e che ci sembra l'unica via per affrontare il problema con mutua soddisfazione.


IOVENE (Ulivo).
La ringrazio per la risposta, signor Vice presidente del Consiglio. Credo sia importante che il Governo italiano si impegni per la richiesta di una moratoria universale dell'esecuzione delle pene capitali che da tempo viene sollecitata e sulla quale, finora, non c'è stata una iniziativa conseguente ed adeguata.

Il Governo italiano ha avviato una vera e propria campagna in questi mesi: prima è andato in Cina il Presidente del Consiglio, poi lei, nel giro di due mesi, lo ha seguito, giustamente, come ci ha ricordato, per intensificare le relazioni economiche e commerciali con un partner di prima grandezza. Credo vi sia tutto l'interesse a che queste buone relazioni, che devono consolidarsi, crescere e svilupparsi, non si smarriscano su quei punti sui quali lo stesso Parlamento europeo, con la risoluzione del 7 settembre di quest'anno, ha richiamato l'intera Unione relativamente ai suoi rapporti con la Cina, e cioè il rispetto dei diritti umani e il mantenimento di un confronto, di un dossier aperto per questo tema, proprio per le motivazioni che lei stesso ci ricordava.

Tra queste, oltre alla pena di morte e al Tibet, vi sono sicuramente anche i diritti sindacali e sociali. Sono sempre di più gli operai e i sindacalisti in galera negli ultimi anni. Questo, tra l'altro, è uno degli aspetti di quel dumping sociale che spesso viene utilizzato.

Un altro punto, che forse non è stato ricordato, è il sostegno che la Cina dà ad alcuni Paesi che violano sistematicamente i diritti umani. Penso ad alcuni Paesi africani con cui la Cina sta intessendo relazioni molto forti e, in particolare, alle vicende del Sudan e del Darfur, che comunque fanno parte di un dossier sul quale dovremmo continuare ad insistere con forza per qualificare meglio le buoni relazioni che vogliamo costruire.

PIANETTA (FI).
Signor Ministro, lei ha usato la parola «incalzare». Vorrei capire come, durante i suoi colloqui, ha concretamente incalzato le autorità cinesi sui diritti umani. Ad esempio, proporre l'abolizione dell'embargo sulle armi, che tra l'altro è argomento di competenza dell'Unione Europea, senza la garanzia del rispetto dei diritti umani - come mi pare abbiate fatto lei e il presidente Prodi - significa firmare una cambiale in bianco inutile e dannosa.

Credo che i temi concreti sui quali veramente bisogna incalzare siano quelli che riguardano i vescovi cattolici imprigionati, il Dalai Lama costretto all'esilio, i liberi pensatori incarcerati e le esecuzioni, che sono all'ordine del giorno. Non è un'interferenza, ma dovere contribuire a fare in modo che i diritti umani, che sono la base per la costruzione di una convivenza civile, possano essere affermati. Vorrei capire come lei ha incalzato le autorità cinesi.

D'ALEMA, vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri.
Vorrei dirle che l'Italia si propone di rafforzare le sue relazioni economiche e politiche con la Cina arrivando non dico ultima, ma sicuramente non nel gruppo di testa, perché molto più strette delle relazioni che l'Italia ha con la Cina sono quelle che con la Cina stessa hanno gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia, la Germania. Lo dico perché credo che da questo punto di vista la nostra condotta sia in linea con quella dei maggiori Paesi occidentali.

Un aspetto che mi ha colpito, in materia di coerenza occidentale, è che di fronte alla proposta di una legge per la tutela dei diritti minimi del lavoro in Cina il centro dell'opposizione si concentra nella Camera di commercio sino-americana di Shanghai, dove le grandi compagnie multinazionali occidentali fanno lobby per ostacolare l'introduzione in Cina di diritti elementari minimi dei lavoratori. Lo dico perché il richiamo ad una certa coerenza dell'Occidente, alla quale lei giustamente ha fatto riferimento, vede anche me favorevole. Abbiamo sollevato questi temi nel rapporto con i cinesi in ogni momento, riservato e pubblico. Ad esempio, l'appoggio cinese al Governo del Sudan, a fronte della strage del Darfur, è stato da me rimproverato ai cinesi in una conferenza nell'università Beida di fronte alle autorità cinesi e alla presenza di tutti i mezzi di informazione. Quindi, non abbiamo avuto reticenze in un linguaggio chiaro.

A proposito dell'embargo delle armi, voglio ribadire quanto da me espresso in precedenza, che è poi del tutto simile a ciò che caratterizza la posizione europea. Siamo per lavorare e per arrivare a un superamento dell'embargo delle armi verso la Cina, sulla base delle condizioni poste dall'Unione Europea. D'altro canto, nella conclusione del summit Unione Europea-Cina che si é tenuto il 9 settembre scorso a Helsinki, con il comunicato congiunto si è ribadita la disponibilità dell'Unione Europea a lavorare nella direzione di un superamento dell'embargo sulla base del comunicato congiunto della riunione del 2004. Non abbiamo, quindi, proposto che domani si tolga l'embargo alla Cina, ma vogliamo lavorare per arrivare a superarlo. È una posizione, questa, che mi pare largamente condivisa dai nostri partner europei.

PIANETTA (FI).
Signor Presidente, comprendo il pragmatismo del ministro D'Alema per quanto riguarda tutti gli aspetti di natura economica e commerciale, ma pretenderei anche maggior fermezza sulla questione direi diritti umani.

Ministro D'Alema, i cinesi, quando si trovano di fronte un interlocutore molto deciso e coerente sui grandi princìpi fondamentali, lo rispettano, per cui si può creare veramente un grande rapporto. Se invece - come mi è parso di capire - vi è un atteggiamento di sudditanza o di non chiarezza sui princìpi fondamentali, questo non avviene.

Ad esempio, la questione dell'embargo mi pare veramente un fatto non chiaro ed equivoco. Quando si è promotori della sua sospensione, infatti, ma senza specificare la priorità di controbilanciare tale eventuale apertura con la correttezza e l'impegno assoluto nel campo dei diritti umani (penso, ad esempio, alla libertà religiosa), si mostra un atteggiamento di debolezza e accondiscendenza che poi, alla fine, mette nella condizione di essere poco credibili nei confronti dell'interlocutore cinese.

Ricordo - io che ho partecipato, tra l'altro, ad un incontro diretto con Jiang Zemin - che Vittorino Colombo, promotore dei rapporti con la Cina, quando metteva in evidenza i princìpi fondamentali della democrazia contro il comunismo, era fortemente rispettato. Non credo che il suo atteggiamento, onorevole D'Alema, per com'è apparso sugli organi di stampa, sia stato così forte, deciso e determinato circa la questione dei diritti umani.

La dignità e l'importanza del nostro Paese sull'argomento devono essere assolutamente prioritarie ed è impensabile che non si assuma un atteggiamento di grande coerenza e determinazione. Non vogliamo dare l'impressione di essere subalterni su questi grandi princìpi, fondamentali per la nostra convivenza civile.

SELVA (AN).
Signor Presidente, sull'affresco da lei tracciato delle due opportunità che l'Italia ha avuto - prima con la visita del presidente del Consiglio Romano Prodi, poi con la sua - si può, in linea generale, concordare, ma non certo con quella nota di ottimismo che sembra aver disegnato in ordine al rispetto dei diritti umani.

Vorrei soprattutto sapere con quali interlocutori precisamente avete posto il problema. In qualità di Presidente della Commissione affari esteri della Camera dei deputati, ebbi l'occasione di parlare con il Vice presidente dell'Assemblea del Popolo, che è un vescovo cattolico; posi a lui precisamente tale domanda, non ottenendo - neanche per quanto riguarda la Chiesa patriottica - una risposta soddisfacente.

D'ALEMA, vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri.
È ovvio che stiamo svolgendo un dibattito politico, per cui anche le impressioni sono un fatto politico. Tuttavia, sarei curioso di capire quali sono i rilievi concreti, perché abbiamo mantenuto una posizione del tutto chiara, non subalterna a nessuno. Non si è certamente udito nulla di paragonabile a quello che fu detto, in materia di coerenza sui diritti umani, a proposito della Russia in Cecenia, da parte di un Governo italiano precedente. La nostra è una posizione chiara - non ostile - nel sollevare questioni concrete, anche relative a singoli casi, nell'ambito del dialogo con un Paese con il quale noi - come tutte le Nazioni del mondo - intratteniamo rapporti amichevoli.

Quindi, vorrei rassicurare tutti che non c'è alcuna subalternità, né alcuna sottovalutazione del rilievo di questi problemi; problemi che abbiamo posto nel dialogo con il Governo cinese - con gli interlocutori di Governo - che abbiamo avuto a diversi livelli, in modo particolare, per quanto mi riguarda, nel dialogo più approfondito e vasto che è stato quello con il Ministro degli esteri della Cina.

Ritengo importante, ed è chiaro, che tali questioni vengano sollevate anche in occasione di rapporti parlamentari, perché è evidente che non sono solo materie di esclusiva competenza governativa. Tuttavia, sono state sollevate nei rapporti con il Governo e, come ho detto poco fa, anche in occasioni pubbliche, non soltanto in dialoghi riservati.

SELVA (AN).
Signor Presidente, vorrei sottolineare che in termini numerici, per quanto riguarda la pena di morte, la Cina resta anche percentualmente il Paese in cui maggiormente le esecuzioni vengono eseguite.

Considero molto rilevante, e gliene do atto, signor Ministro, l'azione comune che può svolgere l'Unione Europea per il maggior ottenimento possibile delle fondamentali libertà e, soprattutto, del rispetto dei diritti umani, civili e religiosi.

A questo proposito mi permetterei di avanzare due proposte. Lei sa che la prossima Olimpiade si svolgerà proprio a Pechino in Cina; noi dovremmo chiedere almeno per quel periodo una moratoria nell'esecuzione - per quell'anno naturalmente - delle pene di morte. La seconda proposta è quella di stilare al termine di ogni periodo semestrale di Presidenza del Consiglio dell'Unione Europea una dichiarazione comune in cui fare un bilancio delle risposte positive in ordine ai diritti umani e presentare proposte alternative per il semestre successivo.

In questo modo credo che si darebbe ufficialità, senza nessun pericolo di interferire negli affari interni in modo non proprio ai rapporti internazionali, ma fornendo un contributo reale ed effettivo ad un obiettivo senza il quale, mi sembra, noi non rendiamo neanche omaggio agli sforzi compiuti da certe opposizioni interne che pagano spesso con il carcere l'opposizione che fanno per introdurre un minimo di libertà democratica e dare al popolo cinese un sistema giuridico e politico che sia compatibile con il rispetto dei diritti umani.

MARTONE (RC-SE).
Signor Presidente, intervengo ancora sulla questione dell'embargo delle armi. Noi riteniamo che possano esserci anche altre modalità di rilanciare le relazioni economico-commerciali con la Cina; penso ad esempio all'alta tecnologia per lo sviluppo sostenibile. Reputiamo, inoltre, che la questione dell'embargo delle armi riguardi anche le ripercussioni politiche in tutto lo scacchiere; basti pensare ai rapporti con Taiwan o al ruolo che la Cina ha nel sostenere la dittatura birmana.

Ora, riconoscendo la centralità, come ha fatto anche lei, del percorso proposto dall'Unione Europea, quali sono a suo parere alcuni degli indici e dei criteri che devono essere seguiti in futuro, a parte l'adozione di legislazioni o di una normativa che dovrebbe restringere i casi di esecuzioni capitali? Quali sono gli altri elementi cui la Cina dovrà assolvere per poter pensare ad una prospettiva di revisione dell'embargo?

D'ALEMA, vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri.
In materia di embargo delle armi, le ragioni per cui esso fu deciso all'indomani della repressione di piazza Tienanmen sono note. Innanzitutto, la Cina non dava garanzie dal punto di vista del rispetto dei diritti umani e del legittimo uso della forza: l'embargo, infatti, avvenne all'indomani del drammatico e tragico episodio in cui le armi furono rivolte contro i giovani che protestavano; questa fu l'occasione.

È chiaro che i criteri che sono stati indicati dall'Unione Europea (perché naturalmente è in quella sede che vengono assunte queste decisioni, che non dipendono dalla volontà esclusiva del Governo italiano) sono imposti in relazione sia alla politica pacifica della Cina, che da questo punto di vista sta giocando un ruolo di equilibrio indiscutibile - non è questo il tema - e di cooperazione con la comunità internazionale che è apprezzabile, sia alla tutela dei diritti umani.

Sempre sull'embargo delle armi, che è materia più ampia, vorrei esprimere un'opinione. A mio giudizio, il commercio delle armi è un tema che va molto al di là della Cina. La mia opinione è che la questione andrebbe affrontata più in prospettiva che con singoli embarghi, rafforzando quei criteri restrittivi in materia di commercio delle armi di cui l'Unione Europea è già portatrice e che dovrebbero essere applicati generalmente, per ragioni di sicurezza e di tutela della vita umana. Ma questo ci porterebbe molto più in là. Tuttavia non c'è dubbio che, dal punto di vista europeo, il superamento dell'embargo è legato all'avanzamento di precisi standard di rispetto dei diritti umani e delle libertà.

MARTONE (RC-SE).
Signor Presidente, è evidente che la questione relativa agli strumenti per assicurare il rispetto e la promozione dei diritti umani va al di là degli strumenti coercitivi, come le sanzioni e gli embarghi, su cui c'è una discussione anche a livello di Unione Europea. È altresì evidente, però, che questa diplomazia dei diritti umani non può prescindere dal ruolo di altri soggetti, come le organizzazioni per i diritti umani cinesi o la società civile cinese, che dovrebbero poter contribuire a definire le condizioni per una riattivazione di alcuni canali commerciali o di rapporti politici con il Paese in cui vivono. Su questo bisognerebbe fare molto di più, perché le persecuzioni nei confronti dei difensori dei diritti umani in Cina continuano ad essere estremamente gravi.

Né si può dimenticare la questione della pena di morte. In effetti, la possibilità di fare appello è già un passo avanti notevole, lo ha detto anche Amnesty International di recente, ma sarebbe utile ed importante garantire il diritto ad un processo equo, cosa ancora estremamente lontana dalla realtà in Cina. Insomma, è un processo in corso. Penso che la diplomazia internazionale possa lavorare con un mix sapiente di concessioni e rigidità.

La questione dell'embargo è anche simbolica, ma effettivamente la situazione dei diritti umani in Cina è altra da quella di Tienanmen. Ci sono anche altre sfide che si stanno affacciando. Auspichiamo una cautela nella rimozione di questa misura, anche perché, secondo noi, sarebbe un esempio negativo per gli sforzi che la Comunità internazionale sta facendo per giungere ad un trattato internazionale sul commercio di armi, uno strumento che il Governo italiano dovrebbe sostenere con più forza a livello di ONU.

BACCINI (UDC).
Signor Ministro, volevo sottolineare in questa chiacchierata, come l'ha definita lei, che la dimensione ed il ruolo acquisiti dalla Cina, negli ultimi dieci anni, nelle relazioni economiche e commerciali internazionali non possono far perdere di vista il quadro politico. Mentre sul terreno internazionale registriamo il ruolo significativo della Cina - vedi le ultime vicende del potenziale nucleare della Corea del Nord - sul piano interno registriamo invece un monopolio politico del Partito comunista, che è rimasto intatto.

Questo monopolio, a suo parere, può incidere nelle relazioni tra Unione europea e Cina? Lo chiedo perché, come lei saprà, molti Paesi dell'Unione Europea a livello domestico hanno una forte politica di tutela dei posti di lavoro.

D'ALEMA, vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri.
Senatore Baccini, non c'è dubbio, e d'altro canto è stato l'oggetto principale di tutto il nostro dialogo, che mentre osserviamo con grande interesse la crescita dell'economia cinese e il ruolo internazionale che la Cina esercita - lei ha citato la vicenda della Corea del Nord, ma anche nella vicenda iraniana la Cina ha giocato un ruolo di cooperazione con la Comunità internazionale nell'impegno contro la proliferazione delle armi nucleari - restiamo preoccupati per la situazione interna della Cina, per la lentezza del processo di apertura democratico, per il regime di monopolio politico, di partito unico, anche se naturalmente le forme in cui potrà svilupparsi la democrazia in Cina saranno originali rispetto a quelle europee.

Altra cosa è il tema della difesa dei posti di lavoro, e cioè della competizione economica con la Cina, che pone problemi di altra natura. Come lei sa, sono personalmente convinto, ma è convinzione anche del Governo, che in prospettiva non sarà attraverso misure protezionistiche, bensì attraverso una rinnovata capacità competitiva delle nostre economie che ci misureremo con le sfide che vengono dalla Cina. Tuttavia, non vi è dubbio che di fronte alle forme di competizione sleale che vi sono l'Europa ha anche diritto di esercitare proprie difese; non a caso il Governo italiano, per esempio, ha votato a favore di determinate misure antidumping nel campo delle calzature, non soltanto per difendere dei posti di lavoro, ma anche per affermare il principio di una competizione leale sul mercato internazionale.

BACCINI (UDC).
Signor Presidente, ministro D'Alema, sono convinto che i processi di liberalizzazione economica e di distribuzione della ricchezza dovranno verosimilmente allentare quel monopolio politico che in qualche modo penalizza le relazioni internazionali, soprattutto nel medio termine. Ma, proprio per le profonde differenze economiche e sociali tra le regioni costiere, per esempio, e le regioni interne della Cina, siamo convinti che ci sia ancora molto da fare e queste repressioni siano soltanto un mero tentativo di tenere il Paese unito.

La politica della Farnesina credo sia sulla strada giusta. La nostra diplomazia sta a mio parere lavorando molto bene per avvicinare la Cina all'Europa e anche nelle sue dichiarazioni in questi giorni ha chiarito bene la posizione del nostro Paese. Su questo punto, signor Ministro, siamo d'accordo con lei; ci sembra francamente intollerabile, comunque, che ci sia ancora nel Paese asiatico questa grande diffidenza verso i movimenti religiosi, dal Tibet, dove la figura del Dalai Lama, come lei ha detto, è oggetto di un'azione di contrasto anche a livello internazionale, fino alla Chiesa cattolica, le cui attività sono mantenute sotto stretto controllo.

Ecco, credo che a questo punto dovremmo utilizzare una grande lente di ingrandimento, considerando la grande priorità, e siamo d'accordo sulla strategia che lei ha impostato in queste settimane, tenendo conto anche dell'ultima iniziativa americana, quella della maggioranza nel Congresso americano, anche dei democratici, che sulla questione delle politiche sociali ha concentrato un'attenzione particolare.

La difesa dei posti di lavoro rappresenta una priorità in Europa come anche negli Stati Uniti. Su questo punto credo che l'Italia possa svolgere un ruolo non solo economico, soprattutto rispondendo alla grande vocazione di solidarietà e di diplomazia preventiva che ha caratterizzato sempre il nostro impegno internazionale.

DIVINA (LNP).
Ministro D'Alema, mi rivolgo a lei anche in qualità di uomo di piazza, quale lei è stato, per mettere in relazione molto più di quanto sembra i diritti dei lavoratori della Cina e quelli dei lavoratori del nostro Paese.

Sappiamo che il lavoro in Italia come nella Comunità europea soffre di grossa concorrenza sleale da parte della Cina. La Lega in più occasioni ha chiesto dei dazi, proprio a protezione del nostro sistema imprenditoriale. I lavoratori cinesi migrano sempre più dalle campagne verso le città e il sistema cinese non sa offrire loro nessun tipo di diritto, vivono in condizioni precarie, vi sono restrizioni per l'accesso alle cure sanitarie e ai servizi sociali; sostanzialmente i costi produttivi in quel Paese sono irrisori e mettono in ginocchio le nostre imprese. Vengo ora alla domanda.
Come Ministro degli affari esteri, proprio a tutela dei nostri lavoratori non ritiene opportuno che si allaccino rapporti con la Cina a patto che questi vengano barattati con il riconoscimento, da parte dei cinesi, dei diritti interni? In tal modo, migliorerebbero sicuramente le condizioni dei lavoratori, ma si eviterebbe anche la morte di tante aziende ed imprese italiane: con un unico atto intelligente, sostanzialmente risolveremmo due problemi.

D'ALEMA, vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri.
Non c'è il minimo dubbio che io sia favorevole, come uomo di piazza, come ella ha detto - tuttavia ridimensionerei, e direi come persona che di tanto in tanto ritiene che in un regime democratico si possa anche andare in piazza, come d'altro canto è previsto dalla Costituzione repubblicana come diritto - ed auspico fermamente che i diritti dei lavoratori vengano pienamente riconosciuti in ogni parte del mondo ed anche in Cina. Non a caso ho citato come positivo il fatto che in questo momento l'Assemblea nazionale cinese si appresti a discutere una legge che introduce per la prima volta un pacchetto di diritti fondamentali del lavoro.

Penso che si debba combattere contro la concorrenza sleale. Il Governo italiano ha votato a favore di misure antidumping, come ricordavo; questa misura è stata approvata in sede di Unione europea, tuttavia ritengo che le prospettive siano quelle di un'economia aperta. Vede, i cinesi competono con noi su tutti i mercati mondiali, per cui la protezione esclusiva del mercato italiano non avrebbe nessun effetto economico consistente, neppure dal punto di vista del mantenimento dei posti di lavoro.

Il problema vero è quello di cogliere nella crescita cinese anche le grandi opportunità che essa determina. La Cina è un grande mercato, è un mercato per i nostri prodotti e c'è un grande interesse verso i prodotti italiani, la Cina è un Paese che ha bisogno di servizi e di tecnologie e credo che ciò che si deve fare sia cercare di integrare l'economia italiana in uno sviluppo mondiale che ci offre delle grandi opportunità.

Non credo che l'ostilità verso la Cina risolva il problema, tanto più che esserle ostili non fermerà la crescita della Cina, né l'internazionalizzazione di quell'economia. Penso che, sul modello di quanto hanno fatto altri Paesi occidentali, l'Italia debba cercare di cogliere di più le opportunità che lo sviluppo cinese offre per le nostre aziende e quindi anche per i nostri lavoratori.

DIVINA (LNP). Lei è stato cordiale e generoso con me, signor Presidente, e io sarò rispettoso nei confronti suoi e dell'Aula.

Onorevole Ministro, ho visto che ha preso un po' in punta l'espressione «uomo di piazza». Creda, era un'espressione del tutto benevola, anche perché pure noi ci riteniamo uomini di piazza, nel senso buono del termine; appunto manifesteremo contro il suo Governo proprio il 2 dicembre e speriamo di essere in tanti in quel caso, non soltanto parlamentari, ma anche cittadini.

Il più delle volte si concentra l'attenzione sulla Cina soltanto per le grandi violazioni dei diritti umani; credo siano decenni che parliamo di libertà religiose negate in Cina, come nel caso del Tibet, della persecuzione nei confronti delle religioni non di Stato. Amnesty International fa quello che può, mi pare che sia stato già detto che quest'anno abbia denunciato quasi 1.800 esecuzioni della pena di morte, nonostante in tutto il mondo ci si dia un gran da fare per provare a sopprimere questa repressione inumana nei confronti di chi si comporta in modo anche non civile (3.900 sono le condanne in attesa di essere eseguite).

Riguardo al tema delle donne, ho sentito poche donne in questo Paese, ad esempio, recriminare la condizione della donna in Cina, assolutamente impari, assolutamente discriminata, con la pianificazione delle nascite che ormai risale a lungo tempo. Si parla addirittura di tratta di donne, adesso, di una forte campagna di sterilizzazione forzata. Vorrei sentire anche qualche signora dell'altra parte di quest'Aula magari dire la propria opinione su questi argomenti.

Presidente D'Alema, non so se lei abbia accompagnato Prodi - probabilmente sì - nell'ultima visita in Cina: le ricordo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio riguardo alla sospensione dell'embargo di armi alla Cina da parte dell'Italia e dell'Unione Europea (a nome della quale parlava); tuttavia, sappiamo che la Cina, sottobanco - o forse neanche tanto sottobanco - continua a finanziare e ad inviare armi in Sudan nonostante tutta la comunità internazionale abbia ripetutamente chiesto un ripristino e un rafforzamento del rispetto dell'embargo da parte del Sudan.

È un Paese che viola tutte le norme internazionali interne e nei confronti dell'economia italiana è un'autentica minaccia, un salasso. Sono poche, secondo noi, Presidente - forse sbaglieremo - le grandi imprese del nostro Paese che possono vedere la Cina come mercato; sono tantissime, invece, le piccole e microimprese che vengono schiacciate della sleale concorrenza cinese. D'altra parte, la mancanza del diritto e del riconoscimento dei diritti umani in quel Paese non fa altro che schiacciare di riflesso la nostra economia.

Le chiediamo soltanto di provare ad incidere in modo che i nostri rapporti possano vedere come contraltare il rispetto dei diritti umani in Cina.


SILVESTRI (IU-Verdi-Com).
Presidente, la Cina ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne con molte riserve, mentre invece non ha firmato il protocollo opzionale di tale convenzione.

Secondo un rapporto di Amnesty International di quest'anno - cito testualmente - in Cina abbiamo ancora molte donne che continuano a essere sottoposte ad aborti e sterilizzazioni forzate da parte delle autorità locali, nel tentativo di applicare la rigida politica di pianificazione familiare. Dobbiamo dare atto comunque alle autorità cinesi che tutto questo è illegale, ma è indubbio che la situazione delle donne, nel grande Paese cinese, è ancora una situazione di emarginazione e di misoginia. So che il nostro Governo non ha grandissimi poteri in questa direzione, però penso che, nei rapporti di amicizia e di collaborazione, la questione dell'altra metà del cielo e della determinazione delle donne debba sempre essere presente.

D'ALEMA, vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri.
È vero, come lei ha dichiarato, che queste pratiche di discriminazione verso le donne, in particolare in relazione all'applicazione di una politica di controllo delle nascite, vi sono, ancorché siano illegali ormai anche sulla base della legislazione cinese; tuttavia è vero - ed è una delle osservazioni che vengono fatte nel rapporto dell'Unione Europea, la quale ha un monitoraggio molto attento nell'ambito del dialogo strutturato e permanente con la Cina - che c'è una evidente contraddizione in qualche caso tra mutamenti, anche positivi, sul piano del diritto derivanti anche dal recepimento di convenzioni internazionali e la concreta applicazione, in un Paese molto vasto, dove la rigidità della struttura di Governo, di potere, amministrativa, rimane ancora legata, molto spesso, ad un criterio discrezionale e non vincolata alle regole dello Stato di diritto.

Penso che questo sia un tema reale, ed è una delle ragioni per le quali noi continuiamo ad esercitare una pressione sulla Cina e ad applicare alla Cina anche quegli atteggiamenti restrittivi di cui qui abbiamo parlato. Da questo punto di vista, quindi, non posso che condividere la sua sottolineatura e anche il suo richiamo.

SILVESTRI (IU-Verdi-Com).
Signor Presidente, le do atto della risposta e devo altresì dire che siamo orgogliosi di sostenere un Governo, e in questo caso anche l'Unione Europea come attore, che lega i rapporti internazionali ai diritti civili, ai diritti delle persone e credo anche - me lo lasci dire, come esponente dei Verdi - alla salvaguardia dell'ambiente, del grande habitat su cui i popoli vivono e delle risorse.

Credo, riagganciandomi anche ad altre domande, che in questa fase sia importantissimo arrivare ad una moratoria internazionale sulla pena di morte sia come questione fisica, di vita dei soggetti in carne ed ossa, sia come questione morale fondamentale, perché questi crimini di Stato nel pianeta cessino. Il poter dire, nelle relazioni internazionali e nei rapporti di amicizia con i popoli che questo Governo giustamente vuole avere, che la questione dell'assassinio di Stato fa passare dalla preistoria alla storia l'umanità credo sia un qualcosa che deve essere fatto. Quindi, sollecito il Governo, condividendo ed apprezzando le parole del Ministro, a forzare maggiormente affinché le Nazioni Unite arrivino in tempi brevi ad una moratoria anche in questa direzione.

TONINI (Aut).
Ministro D'Alema, lei ha dato atto, e credo che non si possa che essere d'accordo, dell'atteggiamento costruttivo che la Cina sta svolgendo sullo scacchiere internazionale in molti dossier, alcuni dei quali assai complessi e problematici. Tuttavia, vi sono almeno due questioni sulle quali c'è preoccupazione circa l'atteggiamento cinese.

La prima riguarda la Corea del Nord, con gli aspetti specifici che investono i diritti umani; l'altra è quella della Birmania. L'Italia sarà in Consiglio di Sicurezza dal prossimo anno e all'attenzione del Consiglio di Sicurezza è stata portata la questione dei diritti umani in Birmania: sappiamo che la Cina è tra i Paesi che si oppongono a tale inclusione nell'ordine del giorno del Consiglio di Sicurezza, sostenendo che la situazione birmana non è una minaccia per la pace.

Vorrei chiederle se è stata anche questa una materia oggetto di colloquio in Cina e se ci sono novità da parte del Governo cinese.

D'ALEMA, vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri.
Da questo punto di vista no, non ci sono novità. Noi abbiamo avuto una discussione sul tema della Corea del Nord perché è nell'agenda internazionale e in questi giorni la Cina si sta adoperando per la ripresa del negoziato a sei, volto proprio a fermare la proliferazione nucleare nella penisola coreana.

È vero che la Cina adotta un criterio che noi europei consideriamo superato, non più accettabile, ed è su tale questione di principio che abbiamo discusso, le ripeto, anche pubblicamente. Il tema che ho affrontato anche nella mia conferenza all'Università di Pechino era proprio questo, cioè se il principio del rispetto della sovranità nazionale non debba oggi essere integrato dal diritto-dovere della comunità internazionale di tutelare i diritti umani e se la tutela dei diritti umani non sia più forte del principio del rispetto della sovranità.

È esattamente su tale questione di principio che si articola il dissenso a proposito del caso della Birmania, nel senso che noi riteniamo che la comunità internazionale abbia il diritto di intromettersi anche nella situazione interna del Sudan o della Birmania quando si tratta di difendere i fondamentali diritti delle persone. Questo è un punto che il Governo della Repubblica popolare cinese non accetta in linea di principio ed è, direi, dal punto di vista della concezione delle relazioni internazionali il punto di maggiore dissenso.

Bisogna anche dire che su tale questione la posizione europea è particolarmente avanzata; ci sarebbe poi da discutere se su questo punto gli occidentali siano sempre coerenti o non indulgano ad applicare un doppio standard a seconda che il Paese che violi i diritti umani sia amico o non amico dell'Occidente, ma questo meriterebbe forse una discussione più prolungata.

TONINI (Aut).
Signor Ministro, condivido e apprezzo le sue riflessioni; credo che questo sia uno dei punti cruciali delle relazioni internazionali in questo momento, come del resto lei ha già detto.

Negli ultimi anni ci siamo trovati di fronte a due posizioni estreme: da un lato, una iperrealista, che tende a dire che l'importante è l'atteggiamento internazionale di ciascun Paese e cosa poi succede là dentro sono fatti loro, dall'altra, l'atteggiamento opposto che conduce il principio di ingerenza fino al punto di portare la guerra all'interno del panorama internazionale con la ragione, l'intenzione o magari il pretesto di portare la democrazia.

Tra questi due estremi bisogna trovare il punto di equilibrio e mi pare che la comunità internazionale sia alla ricerca di questo, di come cioè riuscire a costruire la pace, rispettando naturalmente la sovranità di ciascun Paese, e allo stesso tempo fare in modo che il clima di convivenza non ignori le situazioni interne che poi sappiamo essere esse stesse causa di instabilità e quindi, in definitiva, di conflitti. Credo che il Governo debba insistere su questa strada che a me pare possa qualificare l'Europa nel suo insieme e l'Italia in modo particolare.

ANDREOTTI (Misto).
Fermo restando che, da quanto ha detto, mi sembra importante la sussistenza di una continuità della politica estera italiana verso la Cina, che parte dal riconoscimento che facemmo con qualche anno di anticipo sugli Stati Uniti rispetto alla Repubblica cinese, vorrei chiederle, ministro D'Alema, se nei colloqui di questi giorni le hanno dato qualche ragguaglio sul vertice cino-africano, che vi è stato qualche settimana fa, con la partecipazione di un numero notevole di Capi di Stato dell'Africa, e che ha avuto nella stampa internazionale un riscontro piuttosto limitato, mentre credo sia stato un incontro importante.

D'ALEMA, vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri.
Mi sono trovato più di una volta a sottolineare gli elementi di continuità della politica estera italiana. Poiché non intendo, però, dare l'impressione di voler compromettere i miei predecessori, soprattutto quelli un po' più lontani nelle decisioni contemporanee, mi astengo dall'insistere troppo su questo concetto di contiguità; tuttavia non vi è dubbio che l'Italia fu negli anni difficili della Guerra fredda un Paese di frontiera, di avanguardia nel riconoscere il posto della Cina popolare sulla scena internazionale.

Il vertice di cui lei ha parlato è stata una riunione di grandissima importanza e certamente l'eco era molto forte a Pechino, per cui abbiamo avuto modo di parlarne con i cinesi. Naturalmente questo vertice, che dimostra la forza di attrazione, è il risultato di una politica cinese in Africa che ha conosciuto negli ultimi dieci anni una espansione straordinaria. La presenza politica ed economica della Cina in Africa è un fenomeno di primissimo rilievo; naturalmente non credo che dobbiamo considerare questo come una minaccia.

Ho insistito con i dirigenti cinesi proprio sul punto di cui poco fa discutevamo con il senatore Tonini: la politica africana dell'Unione Europea applica una condizionalità, condiziona cioè gli aiuti al principio della democrazia. La politica cinese non applica questa condizionalità, quindi ha un'estensione assai maggiore nel continente africano. Ritengo tuttavia che questa crescente influenza della Cina in Africa e il peso maggiore che la Cina esercita in America Latina debbono attirare la nostra attenzione sulla crescita di questo sistema di relazioni che i tecnici delle relazioni internazionali definiscono «Sud-Sud», che pesa sempre di più nell'equilibrio mondiale e che dovrebbe sollecitare Europa e Stati Uniti ad un'azione assai più incisiva.

Di fronte al successo del Vertice di Pechino, mi è venuto in mente che l'Europa non è più in grado di convocare una riunione euro-africana dal 2000 e che è preoccupante che l'Europa mostri una incapacità di iniziativa così prolungata, di fronte ai giganteschi problemi che riguardano il sottosviluppo, la fame, le migrazioni e che indubbiamente ci legano al destino dell'Africa anche per resistenze e responsabilità di altri Paesi.

Speriamo che il messaggio che viene dal Vertice di Pechino sia di stimolo. Tra pochi giorni avremo una riunione ministeriale euro-africana in Libia e stiamo lavorando perché entro qualche mese si torni ad un grande vertice tra Europa e Africa. Non si tratta di fare la competizione con i cinesi, ma penso che in un grande continente come l'Africa è giusto che anche l'Europa faccia sentire il peso della sua azione, del suo aiuto e della sua politica.

ANDREOTTI (Misto).
La ringrazio per questo ragguaglio.
Vorrei dire anche ai colleghi che sono intervenuti che dobbiamo stare attenti a non avere, nei confronti dei cinesi, un tono didattico che qualche volta abbiamo. E poi, trattando di alcuni problemi, dobbiamo tener conto che ha un valore la campagna per abolire la pena di morte, ma non può portarsi questo come argomento specifico nei confronti della Cina, sapendo per esempio che in alcuni Stati degli Stati Uniti c'è la pena di morte, ma è un argomento che con gli americani non si può trattare.
Vorrei ricordare inoltre una volta che accompagnai il presidente Craxi, il quale fece il suo fervorino, come fanno tutti i Capi di Governo europei. Ebbi l'impressione che Deng Xiao Ping dormisse; per la verità, invece, stava molto attento e quando Craxi finì si alzò e disse: la ringrazio, non so se lei in Italia ha il 99 per cento dei consensi. Craxi rispose di no e Deng Xiao Ping aggiunse: vede, anche se avessi il 99 per cento, mi rimarrebbero 11 milioni di cinesi da convincere; provi un po' a rifletterci.

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