Intervista
27 novembre 2006

D'Alema: da gennaio federalismo e legge elettorale <br>

Intervista a Massimo D'Alema - Repubblica


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«E´ inutile, senza un´iniziativa forte della Ue in Medioriente, che crei le basi per la nascita di un governo palestinese, le prospettive di pace, dall´Iraq al Libano, sono destinate a fallire. «. Nel suo ufficio alla Farnesina, Massimo D´Alema scorre perplesso il solito bollettino di guerra che arriva da Bagdad, da Gaza, da Beirut. Il ministro degli Esteri l´aveva detto: «Sono preoccupato». Ora, dopo l´assassinio di Gemayel, lo conferma: «Purtroppo avevo ragione. Ma trovo sconcertanti le critiche di chi ora, nel Polo, dopo aver sostenuto una guerra in Iraq che ormai produce 200 morti al giorno, dice che dovremmo ritirarci dal Libano. Non ci siamo mai illusi che l´Italia, da sola, sarebbe riuscita a portare la pace nel mondo. Sapevamo e sappiamo quanto sia difficile e rischiosa la nostra missione in Libano. Ma sappiamo anche quanto sia necessaria. «Nonostante i problemi del mondo, il vicepremier oggi vuole parlare anche dell´Italia, dei guai del governo sulla manovra e della «fase due».

«Vedo segnali di stabilizzazione - dice D´Alema - forse stiamo superando il momento più acuto di incomprensione nel rapporto con il Paese, che in queste settimane, dobbiamo riconoscerlo, si è manifestato in modo grave con le polemiche sulla Finanziaria. E´ inutile negarlo: abbiamo subito un colpo, in termini di credibilità. Evidentemente il Paese, dopo le tante promesse di Berlusconi in campagna elettorale, non si aspettava di dover fare ancora altri sacrifici».

Questo dipende dal fatto che «il Paese è impazzito», come ha improvvidamente sostenuto Prodi, o piuttosto dalla vostra incapacità di comunicare agli italiani «la missione», come sostiene opportunamente Ciampi?

«Ognuno ha il suo linguaggio. Prodi, con un messaggio accorato, indica con parole diverse quello che sto dicendo anch´io. Il Paese non sembra pronto ad accettare la durezza di scelte che tuttavia sono necessarie. Ma su questo, non lo posso negare, si sono innestati i nostri errori. Dovevamo lanciare con più forza questo messaggio, perché l´emergenza, dopo cinque anni di dissipazione del governo di centrodestra, c´era davvero. E invece, per l´eterogeneità della nostra coalizione, abbiamo lanciato un messaggio confuso e spesso contraddittorio. Si sono accavallate esigenze diverse. Si è avuta l´impressione che la manovra cambiasse in continuazione, da un giorno all´altro. Molti interessi si sono sentiti fatalmente minacciati. Anche al di là degli effetti concreti della Finanziaria».

Non ricominci a difenderla: se ha appena detto che la durezza di certe scelte era necessaria, è chiaro che le categorie colpite protestano.

«Io invece difendo la Finanziaria: Prodi e Padoa-Schioppa hanno avuto il coraggio di una scelta, anche impopolare, che mette al sicuro i conti pubblici e mette l´Italia in condizione di ritrovare la via dello sviluppo, gettando le basi per creare nuovo lavoro e nuova ricchezza. Certo, abbiamo chiesto e chiediamo agli italiani un altro sforzo. Ma con la busta paga di gennaio si vedrà che non c´è nessuna stangata. E poi abbiamo sulle spalle il macigno colossale del debito pubblico. Dobbiamo liberarcene. Ma abbiamo due vincoli. Primo: non possiamo ridurre drasticamente, dall´oggi al domani, le entrate. Secondo: non possiamo tagliare drasticamente la nostra spesa pubblica, che al netto degli interessi e a prescindere da un´anomalia nel capitolo previdenza, resta assai inferiore ai nostri partner».

L´impressione è che, per compiacere la sinistra radicale, non abbiate fatto una scelta netta, a favore dello sviluppo e del sostegno all´economia.

«Questa storia che il governo è ostaggio della sinistra radicale è davvero grottesca. Al di là di alcune intollerabili intemperanze in qualche corteo, e di qualche slogan infelice perché ideologico, tipo `anche i ricchi piangano´, la sinistra radicale, nonostante avesse chiesto di spalmare la manovra su due anni, ha accettato responsabilmente la scelta drastica di un risanamento immediato. La prova sta anche nella tenuta parlamentare di queste settimane».

Vi salva sempre la stampella dei senatori a vita, che la destra continua ad attaccare senza pietà.

«La destra dovrebbe tacere, visto che è responsabile di una legge elettorale mostruosa, che ha prodotto due maggioranza diverse nei due rami del Parlamento e ha rischiato di rendere il Paese ingovernabile. I senatori a vita vanno ringraziati. Rimediano ai pasticci di Berlusconi, garantiscono la governabilità, e dunque rendono un grande servizio al Paese. Per quanto riguarda noi, forse aveva ragione Prodi, quando disse che una maggioranza risicata è più sexy. Votare sempre sul filo di lana, al Senato, ci spinge tutti ad una maggiore coesione».

Ma siete davvero così sicuri di veleggiare tranquilli verso il fine legislatura?

«Abbiamo superato il crinale, come si dice in questi casi. E´ un fatto importante, perché il sentiero della Finanziaria era stretto. Ne usciamo con qualche ammaccatura, ma adesso possiamo aprire una fase nuova».

Dunque, anche lei, come Fassino e Rutelli, rilancia la «fase due», che fa tanto arrabbiare Prodi?

«Non ci impicchiamo alle formule lessicali. Ma possiamo trovare una convergenza ampia almeno sul fatto che a dicembre finisce un anno, con il varo della Finanziaria, e a gennaio ne comincia un altro, del tutto nuovo.E possiamo convenire che, con l´anno nuovo, il governo ha l´occasione per rilanciare un grande progetto - Paese per l´Italia? Per me è un´esigenza irrinunciabile. Abbiamo il dovere di ridare slancio a tutto il processo riformatore».

In che modo? In che senso?

«Intanto, con le riforme sociali ed economiche di cui abbiamo già posto le premesse. La riforma delle pensioni, puntando ad elevare l´età pensionabile, dopo aver individuato con chiarezza il perimetro dei lavori usuranti. Poi gli ammortizzatori sociali, la Pubblica Amministrazione, la sanità».

E le liberalizzazioni? Non rischiate una competizione interna Rutelli-Bersani?

«Le liberalizzazioni sono essenziali come tutto il resto. Ma sarò sincero. Non credo che la nostra capacità di riforme si misuri solo sulle pensioni e sulle liberalizzazioni. E´ una visione parziale, e anche un po´ ideologica. Dovremo affrontare anche il tema delle politiche attive, la ricerca, la formazione, la competitività. Non voglio rispolverare il famigerato statalismo della sinistra, ma anche in questi campi si è dimostrato ampiamente che l´idea di un libero mercato che sistema tutto è illusoria. Ma il nostro progetto riformatore deve essere più ampio e più ambizioso. A partire proprio dalla Finanziaria».

Lei l´ha definita «un suk arabo»: calzante, ma per niente edificante.

«Mi riferivo allo strumento, non a questa in particolare. Tutte le Finanziarie, da sempre, finiscono in un suk arabo. Per questo va rivisto lo strumento. Ma da gennaio dobbiamo anche riaprire il cantiere delle grandi riforme politico-istituzionali. A partire dal rapporto tra centro e periferia: abbiamo un mezzo federalismo, che ha generato un enorme contenzioso tra Stato e regioni. Così non si può andare avanti».

Il Polo ha fatto disastri, ma il Titolo V l´avete riformato voi.

«Fu un errore fare una riforma a metà e con i voti della sola maggioranza, lo dissi allora e non ho difficoltà ad ammetterlo oggi. Dobbiamo rimediare. Ma poi dobbiamo rimettere mano anche alla legge elettorale, e qui la colpa è davvero tutta del centrodestra».

Vi costringerà il referendum, a fare qualcosa.

«Il referendum è una soluzione estrema. Dobbiamo riprendere il confronto. Il Paese deve uscire da questa condizione di impasse».

In che modo? Veltroni ha proposto una commissione costituente. Lei che ne pensa?

«E´ giusto riproporre uno spirito costituente sulle riforme. Spero che il centrodestra abbia capito che non è più tempo di spallate, e che dopo il varo della manovra serve un confronto meno muscolare. Ma una premessa deve essere chiara. Per aprire una fase costituente su obiettivi circoscritti, dal federalismo alla nuova legge elettorale, occorre un impegno comune che metta al sicuro la governabilità del Paese. Non sarebbe accettabile usare la leva delle riforme per mettere in crisi gli attuali equilibri politici».

A proposito di equilibri politici: il dibattito sul partito democratico si è nuovamente avvitato. I congressi di Ds e Margherita si preannunciano infuocati.

«Io sono convinto che anche il partito democratico sia parte integrante di questa nuova stagione di cambiamento che ci aspetta. Anche qui, abbiamo commesso qualche errore. Continuare a viverlo solo come un fatto organizzativo e quasi burocratico, l´ha reso un po´ asfittico, e gli ha fatto perdere fascino. Dobbiamo ridargli un grande respiro politico. Non è stato e non può essere solo il mettersi insieme per consentire a Prodi di battere Berlusconi».

C´è il sospetto che vi si siano invece acconciati all´idea di fare solo una federazione Ds-Margherita. E´ così?

«No, affatto. Una semplice federazione non ci può bastare. Non si tratta di limitare il campo solo a Ds e Margherita. Dobbiamo aprirci anche a culture diverse. Non mi scandalizzano le discussioni o le mozioni che si preparano in vista dei congressi. Mi preoccupo solo che il nuovo soggetto riprenda la forza politica di cui ha bisogno. Certo, l´appuntamento che non possiamo mancare è quello delle prossime europee. La vera forza del nuovo soggetto si misurerà da quanti voti prenderà alle elezioni del 2009. Lì si definirà tutto. Compresa la collocazione tra le diverse famiglie europee».

Anche su questo il confronto è a un crocevia pericoloso. Fassino insiste con il Pse, Rutelli e la Margherita non ne vogliono sapere.

«Su questo, e voglio dirlo con chiarezza, Fassino ha fatto un grande lavoro, che ha dato grandi risultati. Non a caso il partito socialista europeo cambia il suo statuto. Non a caso l´esperimento italiano suscita grande interesse in tutti gli interlocutori europei. E´ evidente, da quello che sta accadendo in Europa, che il socialismo come movimento ideale resta quanto mai attuale. Ma è altrettanto evidente che il progetto socialdemocratico ha perso forza, così come quello neo-conservatore. Le elezioni che si stanno svolgendo ovunque, ultime quelle in Olanda, lo confermano. Si pareggia ovunque, e ovunque ci sono segnali di radicalizzazione e di frammentazione. In tutti i casi, si palesa una crisi egemonica che investe tutte le grandi famiglie politiche europee. Basta questo a capire che il processo di contaminazione culturale che stiamo vivendo in Italia interessa tutti».

Continua a gettare il cuore oltre l´ostacolo. Ma ci crede davvero, che questo benedetto partito possa vedere la luce entro la legislatura?

«Non ci ho mai creduto come oggi. Il partito democratico è il nerbo del processo di cambiamento di cui il Paese ha bisogno. Ed è l´asse riformista che rafforza e stabilizza il governo. Anche il partito democratico è dovuto passare per la strettoia della manovra economica, con tutte i suoi fattori di criticità. Ma il partito democratico non è un emendamento alla Finanziaria. E´ parte di un grande disegno di modernizzazione dell´Italia. Per questo non si può più fermare».


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