Intervista
17 gennaio 2007

D'Alema: c'è un piano neocentrista per scardinare il governo <br>

Intervista di Federico Geremicca - La Stampa


Onorevole D’Alema, partiamo dalla questione dell’allargamento della base Usa di Vicenza: perché tante difficoltà a decidere?

«Ma guardi che non è così. La nostra linea di condotta è stata del tutto lineare: non abbiamo nessuna ragione per obiettare all’allargamento, ma fin dall’inizio abbiamo detto che per noi è importante la valutazione che verrà fatta in sede locale. Non c’è un’obiezione politica, né c’è mai stata. C’è solo un problema di valutazione dell’impatto socio-ambientale e urbanistico di un intervento così invasivo per Vicenza. Proprio su queste questioni ho qui, da ultima, una lettera del vescovo della città. Si tratta di valutazioni, comunque, che non spettano certo al governo».

E le resistenze espresse da alcuni partiti della maggioranza?

«E’ stata semplicemente montata una campagna, utilizzando tutto l’utilizzabile, per far credere che sull’allargamento della base di Vicenza vi fosse un problema politico tra noi e gli Stati Uniti. Questo è falso, del tutto inventato. Si è speculato per ragioni di politica interna, ed è molto sgradevole».

E analoga campagna, presumo, sarebbe alla base delle accuse di antiamericanismo rivolte dall’opposizione al governo e a lei personalmente, è così?

«Questa polemica è ancor più stupida e vacua. Invece di parlare delle cose concrete di cui si nutrirebbe questo presunto antiamericanismo, si alza un polverone ideologico su sinistra radicale, sinistra riformista e astrattezze simili. Di che parliamo, concretamente?».

Questo dovrebbe spiegarlo lei...

«Il punto qual è? Stiamo parlando, per esempio, di pena di morte? Bene: noi siamo contrari alla pena di morte. E’ antiamericanismo questo? Non lo so, ma se siamo antiamericani noi, lo è l’Unione europea e gran parte del mondo. Ancora: è così terribilmente grave dire che bombardare i villaggi della Somalia meridionale non è un buon modo per combattere il terrorismo? E’ una preoccupazione espressa da molti, dall’Unione Europea alle Nazioni Unite. Perfino gli amici americani si sono affrettati a spiegare che era un episodio isolato...».

Tutto questo per dire cosa, signor ministro?

«Che da noi non si discute mai dei fatti. Si dice semplicemente: “siete antiamericani”. E allora, poiché le questioni che ho sollevato sono concrete, vorrei che mi si dicesse se ho torto o ragione, non se sono anti o filo-americano. Quello che ha detto Hillary Clinton sul piano Bush per l’Iraq, per esempio, è molto più duro di quel che ho detto io. E spero solo che Cicchitto non voglia accusare anche la Clinton di essere antiamericana...».

La conclusione?

«E’ grottesco. Perché la realtà è che mentre una certa cultura neo-conservatrice sta affondando anche negli Usa, qui da noi sembra resistere un suo ultimo baluardo, l’ultima sacca di un estremismo neo-conservatore che ha dato risultati che sono sotto gli occhi di tutti».

Anche le liti continue tra riformisti e radicali sono sotto gli occhi di tutti... Quanto ne soffre il governo?

«Anche questa è una raffigurazione caricaturale dei problemi del governo. Un’operazione tutta politica. Si tende a dire: Prodi è paralizzato dallo scontro tra riformisti e radicali. Questo non è vero, non ha riscontri fattuali: a cominciare dal fatto che Rifondazione comunista voleva una finanziaria leggera e “spalmata” su due anni, cosa notoriamente non accaduta. Dunque, perché mai si scatena una campagna di questo tipo, dato che non ha alcun fondamento di fatto? Siccome sono un ragazzo che conosce un po’ le cose, dico: questa è una campagna politica che punta a determinare una crisi di questo governo per aprire un altro scenario politico, di tipo neocentrista. E’ un’operazione politica, propaganda. Tutto qui».

Sta negando che esistano posizioni assai diverse, e su molti temi, all’interno della maggioranza?

«Sto negando che questo paralizzi il governo. E che i riformisti siano in un angolo, bastonati e sconfitti. I principali atti del governo sono stati atti ispirati a una visione europea e riformista. Non mi pare sia precisamente la linea di Rifondazione, per esempio, rispettare i vincoli europei in materia di politiche di bilancio... E si pensi alla due giorni di Caserta. Abbiamo avviato da subito una politica di liberalizzazioni, e lì è stato deciso come andare avanti. Un governo si giudica dagli atti che compie, non da altro. Naturalmente un governo di centrosinistra, vorrei ricordare a qualcuno: perché se si ritiene che noi si debba fare una politica neo-conservatrice in campo internazionale e antipopolare per approfondire le ingiustizie sociali in campo interno, è bene si sappia che questo non accadrà. E non perché ce lo impedisce Rifondazione, ma perché è contrario alla nostra ispirazione».

Quindi Fassino ha le traveggole quando chiede più riforme e più in fretta?

«E’ giusto che chi sostiene il governo lo incoraggi a fare di più e meglio. Ma come ha detto giustamente Piero dopo Caserta, il governo non è affatto sordo a queste sollecitazioni. Al contrario, mettere l’accento sulla impossibilità di far convivere sinistra radicale e riformisti significa colpire al cuore la possibilità stessa per questo governo di esistere. In più, a me vengono mosse accuse surreali...».

Del tipo?

«Nelle pieghe di questa campagna mi si contesta di aver disertato il riformismo. Mi si accusa di non fare quel che non mi compete. Io partecipo alla vita del governo, dico la mia, mi batto perché vada avanti sul piano delle riforme, e faccio il ministro degli Esteri. Bene, io sono convinto che se mi occupassi più spesso di queste cose, le stesse persone direbbero “ecco D’Alema che vuol eliminare Prodi, che briga anziché di occuparsi di politica estera”... Il che illumina sul livello di certe accuse».

Ce l’ha con i «dalemiani erranti» dopo la fine del cosiddetto dalemismo riformista?

«Ogni tanto si ripubblica lo stesso articolo sulla fine del dalemismo, sui miei ex collaboratori, quasi io fossi il loro datore di lavoro... Da anni mi sforzo disperatamente di dire che il dalemismo non è mai esistito: e quando uno scopre che non esiste davvero, invece di dire aveva ragione D’Alema mi attacca. Io sono un leader politico che è sempre stato al servizio del Paese e della sinistra. Io non sono mai stato il capo di una corrente».

E’ dispiaciuto della scelta compiuta da Nicola Rossi?

«Mi è dispiaciuto perché lo conosco bene e so che è una persona di grandissima onestà intellettuale e personale, di sincera passione civile e politica. Credo però che abbia compiuto un gesto che è inutile o perfino controproducente, rispetto all’obiettivo che si propone. Chi punta a dar forza all’azione riformista, partecipa al dibattito in corso: e la vigilia di un congresso è il momento migliore per sostenere le proprie opinioni politiche, non per andarsene. Ora godrà di una fama strumentale. Dopodiché, finirà per non incidere come avrebbe potuto. A me spiace: ma senza pronunciare condanne, credo che abbia fatto un errore».

E Caldarola, Angius, Debenedetti, Bresso... Tutti casi personali? Tutti «compagni che sbagliano»?

«Intanto, una cosa è lasciare i Ds e altra è avere un’idea diversa di fronte a una scelta impegnativa come la nascita di un nuovo partito. Comunque è chiaro che non siamo di fronte a casi singoli, ma al travaglio di un partito che è di fronte a una scelta impegnativa che investe non solo il piano della politica ma perfino una dimensione esistenziale, identitaria. Siamo un partito di persone serie, che di fronte a scelte come quella che abbiamo dinanzi si interroga perfino sul senso della propria vita, delle scelte fatte».

Un’ultima questione: ritiene anche lei che il referendum vada evitato?

«Io spero che si faccia una riforma delle legge elettorale, e mi pare che ci siamo abbastanza vicini. Credo si possa arrivare a una proposta che trovi largo consenso. Per altro, il referendum ci regalerebbe una legge che non è certo quella di cui il Paese ha bisogno».

Berlusconi è della sua stessa idea...

«Non so cosa pensi ora, so che ha spinto per un referendum contro la legge elettorale fatta da lui. Io invidio Berlusconi per la straordinaria leggerezza con la quale si aggira tra i mali che ha fatto all’Italia e con la quale appare liberato da ogni responsabilità».

Nuova legge elettorale entro l’anno e poi alle urne? In genere la prassi politica vorrebbe così. E’ d’accordo?

«Normalmente la legge elettorale la si cambia alla fine della legislatura. Siccome però stavolta c’è una ragione specifica - cioè il referendum - che costringe ad accelerare, credo si dovrebbe terner conto di questa ragione e andare avanti. Insomma, la mia idea è che la legislatura debba esser completata, e lo sarà. L’abitudine di avere governi di legislatura è una buona abitudine. Almeno questa non la smarrirei...».

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