Intervista
24 gennaio 2007

Afghanistan, D'Alema: lavoro per la svolta, dobbiamo avere la maggioranza

Intervista di Alberto Gentili - Il Messaggero


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ROMA - Il messaggio di Massimo D’Alema è chiaro. Tanto chiaro da suonare come un avvertimento: «Un governo deve avere una maggioranza in grado di sostenere la sua politica estera». Altrettanto diretto il messaggio che il ministro degli Esteri e presidente dei Ds manda a Walter Veltroni: «E’ strano aprire adesso un dibattito sulle primarie che si svolgeranno tra quattro anni. Solo allora decideremo chi mettere ai blocchi di partenza. Può anche darsi che arrivi qualche nome nuovo». Ma partiamo da Kabul. Dalla trattativa urticante per ottenere il voto della sinistra radicale.

Ministro, è appena tornato da Bruxelles con due proposte: una conferenza di pace e più impegno civile in Afghanistan. Quale accoglienza ha avuto dagli alleati?

«E’ da tempo che abbiamo avviato questa iniziativa. Già in occasione del mio viaggio in Afghanistan lanciammo la proposta di una conferenza internazionale, sottolineando come l’andamento della situazione fosse allora e resti ancora preoccupante. Dopo ormai 5 anni dall’intervento internazionale, non solo non si delinea un processo di stabilizzazione del Paese, ma la guerriglia dei talebani sembra trovare, non dico consensi, ma nuove basi d’appoggio. Tutto ciò denuncia una difficoltà».

Dunque?

«Dunque, il punto è che evidentemente non è sufficiente una presenza militare se non c’è un rinnovato impegno politico, civile, umanitario, che sia in grado di guadagnare il consenso dei cittadini afghani e di impegnare nella ricerca di una soluzione tutti i Paesi dell’area. Di qui la necessità di una Conferenza, che certo trova qualche resistenza. Tuttavia la necessità di un nuovo impulso politico esiste, come si evince anche dalla proposta fatta da altri, di un ”gruppo di contatto”. Per quanto riguarda il ritiro delle truppe nella fase attuale, non c’è alcun Paese al mondo che lo richieda».

In Italia invece sollecitano il ritiro un pezzo di maggioranza e un pezzo di governo.

«Ma non possiamo deciderlo da soli. Se l’Italia dovesse attuarlo in modo unilaterale, non risolveremmo alcun problema e pagheremmo un prezzo altissimo in termini di isolamento internazionale e di credibilità. Comunque, indipendentemente da un ritiro impossibile, lavoriamo per cambiare la strategia dell’intervento a Kabul nelle sedi istituzionali internazionali e al massimo livello. In qualità di membri del Consiglio di sicurezza, saremo relatori all’Onu in occasione delle due discussioni cruciali di quest’anno: a marzo, quando si dovrà rinnovare la missione civile (Unama) e, a ottobre, quando si dovranno ristabilire i compiti della forza militare (Isaf)».

Per il leader del Pdci, Diliberto, però si tratta di «pannicelli caldi» e per il segretario del Prc, Giordano, «siamo al caro amico».

«Tendo a discutere dell’Afghanistan dal punto di vista dell'Afghanistan, non della politica interna italiana».

La maggioranza però rischia di non esserci sul voto per il decreto di rifinanziamento della missione...

«Sarebbe certamente un fatto molto grave. Da parte mia, cerco di fare una politica efficace, ragionevole, in grado di dialogare costruttivamente con gli interlocutori e di incidere sui fatti. Intendiamoci: condivido pienamente le preoccupazioni di chi nella maggioranza dice che in Afghanistan la violenza non si placa e che le cose non vanno bene. E sono convinto anch’io che ci voglia una svolta».

Vale il principio che enunciò sei mesi fa, quando andò in scena lo stesso psicodramma?

«Già. Un governo deve avere una maggioranza in grado di sostenere la sua politica estera. Per quanto mi riguarda, non sono attaccato alle poltrone».

Non le viene mai la tentazione di costruire una coalizione che possa fare a meno dei Rossi, delle Menapace, dei Turigliatto...?

«Io mi occupo della politica estera, cercando di collocare l’Italia in prima fila nell’impegno per la pace, per voltare pagina dopo anni segnati da tragici conflitti e da politiche unilaterali. Spero che il risultato trovi consensi. Se no, pazienza, non farò drammi».

Nell’Unione è forte anche il maldipancia per il sì all’ampliamento della base Usa di Vicenza...

«Il Comune ha deciso di autorizzare l’ampliamento della base, e da questo punto di vista il governo ha rispettato tale scelta. Palazzo Chigi è il luogo sbagliato per indirizzare le proteste: è una questione complessa e dolorosa, ma il governo non può espropriare il Comune del compito di deliberare o di esprimere il proprio parere sullo sviluppo della città. Siamo talmente consapevoli dell’impatto che l’ampliamento può avere su Vicenza, che agli Usa abbiamo perfino proposto una sede alternativa. Ma gli americani hanno risposto: ”Questa area ci è stata indicata dal governo Berlusconi, non è una nostra idea. E ora abbiamo fatto dei progetti, compiuto degli investimenti e dunque non siamo in grado di cambiare localizzazione”. Insomma, c’è stata una decisione politica da parte del precedente governo Berlusconi. E’ il caso di ricordarlo, perché a destra ora fanno finta di essere dei passanti, cercando di evitare di assumersi le gravi responsabilità che hanno».

La partita è proprio chiusa?

«Prodi ha compiuto una scelta obbligata, in base agli impegni presi da Berlusconi e al via libera del Comune di Vicenza. Negare l’ampliamento adesso sarebbe un arbitrio e un atto di ostilità. Ma è possibile rivedere il progetto, garantire un impatto minore per la città. Lo stesso Comune ha posto alcune condizioni, chiederemo agli americani di tenere conto di tali osservazioni e di rimodulare il piano e di dare quelle garanzie che il Consiglio comunale ha chiesto».

Si sente, per citare Bertinotti, più a suo agio in eskimo o in grisaglia?

«Mi sento a mio agio con il pullover durante il weekend e in abito quando faccio il mio lavoro. L’eskimo è da parecchio tempo che non lo indosso più, con tanti traslochi devo averlo smarrito. Ma non ho nulla contro l’eskimo, anzi, come diceva un grande scrittore, ”il pensiero di giovinezza è rimpianto”».

Ha detto: «Il socialismo non basta più per rappresentare il mondo riformista». E’ un ritorno alla Terza Via che percorse con Blair e Clinton alla fine degli anni Novanta?

«Ritengo che nel mondo esista un campo vasto di forze che si battono per la pace, per la lotta contro la povertà, per fermare la distruzione dell’ambiente, perché i valori fondanti della società siano l’uguaglianza, la libertà. E se questa è la sinistra, oggi il socialismo è solo una parte di questa sinistra. Non è la parola che racchiude tutto questo campo di forze progressiste. E dico ciò, perché fare il congresso dei Ds sulla parola socialismo non mi pare giusto, forse bisognerebbe discutere più sui valori e sui contenuti di una moderna forza di sinistra».

I Ds perderanno pezzi?

«Non si tratta di pezzi, ma di persone che potrebbero decidere di andarsene. Spero che non accada, sarebbe un errore, una scelta di corto respiro che renderebbe più povero il nostro partito senza aprire prospettive neppure a chi se ne va. Se l’alternativa a un grande partito è un piccolo partito, non mi sembra una alternativa brillante. Di scissioni ne abbiamo viste tante, ma c’è un destino curioso: ci scindiamo e poi dobbiamo stare insieme. E dal momento che dobbiamo stare insieme, perché questa è la logica del maggioritario, tanto vale evitare di scinderci».

Tra i più entusiasti del partito democratico è Veltroni. Ha già cominciato il suo giro d’Italia. E molti scommettono che sarà lui a vincere le primarie. Cosa ne pensa?

«Se si dovessero fare oggi le primarie, probabilmente Veltroni potrebbe vincere. Ma è strano aprire un dibattito sulle primarie che si devono svolgere tra quattro anni. Ora tutti gli sforzi dovrebbero essere indirizzati a garantire la stabilità e il successo del governo di centrosinistra nel suo difficile programma di rilancio e di rinnovamento dell’Italia. Se falliamo, forse tra quattro anni ci saranno pure le primarie, ma a quel punto essere leader di una alleanza che ha fallito la prova del governo sarà un posto cui pochi ambiranno. Insomma, metterei le cose in ordine: adesso c’è la sfida del governo, delle decisioni politiche, del confronto. Ed è importantissimo che Veltroni dia un contributo al congresso dei Ds, alla costruzione del partito democratico. Poi, tra qualche anno, arriverà il momento in cui si sceglierà la leadership del futuro e vedremo chi si metterà ai blocchi di partenza. Può anche darsi che quel giorno arrivi qualche nome nuovo».

Lei sarà ai blocchi di partenza?

«Io? Io sto facendo il mio lavoro e lo faccio tanto più serenamente perché non partecipo a questi esercizi».

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