Discorso
20 febbraio 2007

Non dividiamoci sulla politica estera

Intervento di Massimo D'Alema, da "L'Unità"


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Italianieuropei nel suo prossimo numero (in libreria in questi giorni) dedica un lungo saggio di Massimo D'Alema ai caratteri della nuova politica estera italiana. Anticipiamo ampi stralci di questo testo, specie quelli riguardanti i temi del multilateralismo e del contributo italiano alla pacificazione in Medio Oriente.

È ancora presto per giudicare i risultati della strategia di politica estera sviluppata dal governo Prodi. È presto per valutare se la svolta attuata rispetto agli anni di Berlusconi darà tutti gli effetti sperati, anzitutto sulla scena mediorientale. Ed è presto per dire quanto il nuovo ruolo internazionale dell’Italia riuscirà a contribuire - come vorrebbero le nostre aspirazioni - a una crescita del ruolo globale dell’Europa e a una ripresa di importanza delle Nazioni Unite.(...)

Il contro-ciclo multilaterale
È già possibile, tuttavia, ripercorrere il modo in cui il governo ha impostato la propria azione internazionale e ha cominciato a svilupparla di fronte a prove difficili. Va premesso che l’Italia si è trovata in una situazione molto diversa rispetto a quella del 2003, segnata dalle fratture sull’Iraq e dalle divisioni fra «vecchia» e «nuova» Europa. La crisi della politica dell’Amministrazione Bush in Iraq e in Medio Oriente è il tema dominante della vita politica internazionale. Questa crisi è percepita in modo drammatico dalla stessa opinione pubblica americana, come testimonia il risultato delle elezioni di midterm, e apre un aspro conflitto nel sistema politico statunitense intorno alle scelte necessarie per uscire dall’impasse e aprire una nuova fase positiva. Si potrebbe dire che nella politica americana sono venute meno le certezze di questi anni.

Si alternano in modo contraddittorio atti testardamente volti alla ricerca di una "vittoria sul campo" ad iniziative più equilibrate che tendono a ricomporre un quadro di alleanze e di cooperazione con l’Europa e con il mondo arabo moderato. Anche la nazione "indispensabile" sembra aver capito di avere bisogno di alleanze stabili, piuttosto che di coalizioni ad hoc. La gestione della crisi libanese, nell’estate del 2006, ha confermato questa possibile inversione di tendenza: dopo anni di forzature unilaterali, siamo tornati alla concertazione multilaterale, che è poi l’unica condizione in cui l’Europa possa esercitare una influenza reale. Si apre per l’Europa un grande campo di azione e nello stesso tempo si accrescono le nostre responsabilità. Le opportunità possono essere colte a due condizioni: a) l’Europa deve essere unita nelle scelte e nell’azione; b) l’Europa deve respingere l’illusione di potere agire da sola, senza un contributo americano che resta determinante per la soluzione del problema mediorientale e in genere dei problemi di sicurezza internazionali.

Le priorità e gli interessi
Non c’è dubbio che una politica estera, al di là dei disegni preordinati e delle piattaforme annunciate, venga forgiata dai momenti di crisi: la risposta italiana alla crisi libanese, a un mese dalla nascita del governo Prodi, ha dato un segno alla nuova politica estera, garantendo all’Italia un forte credito internazionale.
Ciò che conterà, nei prossimi mesi, è il modo in cui l’Italia utilizzerà questo credito per un’azione internazionale di cui vorrei subito ricordare le premesse politiche e concettuali. Le riassumo per punti sintetici, muovendo dal modo in cui interpretiamo gli interessi di fondo del nostro paese:

1. sul piano politico e della sicurezza, le nostre priorità si identificano anzitutto con la stabilità delle aree che ci circondano, a Sud e Sud- Est: Balcani e Mediterraneo allargato, quindi. Siamo un paese front-line rispetto alla regione europea meno integrata nel sistema euro-atlantico; siamo direttamente esposti alla pressione migratoria dell’Africa via Mediterraneo e alle crisi del Medio Oriente. Fondamentalismo, terrorismo e proliferazione nucleare sono una minaccia per tutti; per l’Italia sono anche una minaccia alle porte. La nostra priorità non può che essere quella di contribuire a disinnescare questi fattori di crisi. Alla fine degli anni Novanta, abbiamo cominciato a farlo nei Balcani, ma sapendo che una vera stabilizzazione verrà solo dall’adesione all’Europa. Oggi dobbiamo farlo soprattutto in Medio Oriente, assumendoci gli impegni relativi.

2. Come paese storicamente convinto dell’importanza dell’integrazione europea, l’Italia ha una seconda priorità: vuole contribuire a fare in modo che l’UE superi lo stallo generato dalla bocciatura del Trattato costituzionale e riesca così a garantirsi le condizioni interne per rafforzare la propria capacità decisionale e per continuare il processo di allargamento verso i Balcani occidentali e la Turchia. Ciò, del resto, coincide con gli interessi di sicurezza europei, così dipendenti dalle dinamiche del rapporto con il mondo islamico: mantenere aperte le porte dell’Unione europea alla maggiore democrazia islamica, la Turchia, è una fondamentale garanzia di sicurezza per gli europei nel loro insieme. Al tempo stesso, la forte dipendenza energetica dell’Italia e dell’Europa impone lo sviluppo di politiche di vicinato più efficaci verso la Russia e i paesi produttori del Mediterraneo.

3. Terza priorità: tornare ad allargare gli orizzonti della politica estera nazionale, dopo anni di concentrazione eccessiva su poche direttrici e dopo anni di relativa disattenzione per l’Asia orientale e l’America Latina. Ciò tiene conto del peso politico ed economico ormai assunto da nuove grandi potenze, emergenti o già emerse: Cina, India, Brasile. (...)

4. Infine, ma certamente non in ultimo, l’Italia vuole contribuire, insieme agli altri grandi paesi avanzati, a migliorare la gestione dei grandi squilibri globali - dalla lotta alla povertà alle questioni ambientali. Ciò richiede istituzioni internazionali più forti e impegni molto più concreti.

Idealismo e realismo in politica estera
Nell’impostazione di politica estera del governo, interessi e valori si combinano strettamente. È nostra convinzione, infatti, che solo la promozione di valori essenziali - democrazia, diritti umani, diritto allo sviluppo - garantirà a lungo termine la sicurezza globale e quindi anche la sicurezza del nostro continente. È una visione che gli esperti chiamerebbero "idealistica", che deve però combinarsi, per essere efficace, a una buona dose di realismo. Prendiamo la lotta al terrorismo fondamentalista, come problema essenziale della sicurezza della nostra epoca. È decisivo dimostrare, per avere successo, che i valori per cui operiamo non appartengono soltanto all’Occidente - come vorrebbe la logica dello scontro di civiltà fra Occidente e Islam - ma che si tratta di valori universali, che appartengono all’umanità e quindi anche a quella parte del mondo arabo e del mondo islamico che dobbiamo sottrarre all’influenza fondamentalista.(...) «Prosciugare le paludi dell’odio» è la vera risposta strategica al terrorismo e significa concretamente aprire un orizzonte di libertà, di emancipazione e di speranza a chi vive una condizione di umiliazione, di emarginazione, di negazione dei più elementari diritti. Coerenza significa poi restare fedeli ai propri valori anche per quanto riguarda il rapporto fra mezzi e fini. L’uso della tortura, l’assassinio di civili inermi, la negazione di elementari diritti umani che hanno purtroppo caratterizzato la lotta al terrorismo nel corso di questi anni hanno finito talora per oscurare i valori nel nome dei quali combattiamo il terrorismo stesso. (...).

Multilateralismo efficace significa questo. Europei e alleati degli Stati Uniti Tali premesse spiegano anche perché la politica estera di questi mesi abbia smentito uno degli assunti polemici che hanno accompagnato la nascita del governo Prodi. L’assunto in base al quale l’Italia, decidendo di ritirare il proprio contingente dall’Iraq - peraltro in stretta concertazione con il governo iracheno, con modalità concordate con le forze anglo-americane e rimanendo impegnata nella ricostruzione civile - avrebbe irrimediabilmente leso storici rapporti di amicizia con gli Stati Uniti. (...)

Così non è stato, a conferma di una vecchia regola aurea della politica estera italiana, trascurata negli anni di Berlusconi: europeismo e rapporto con gli Stati Uniti possono combinarsi e rafforzarsi a vicenda. (...) La risposta alla crisi libanese lo ha confermato: dimostrandosi pronta ad assumere responsabilità primarie - sia diplomatiche che sul terreno - l’Italia ha favorito un coinvolgimento dell’Europa nel suo insieme, di una serie di paesi arabi, di Russia e Cina. Le condizioni internazionali, in altri termini, per raggiungere un cessate-il-fuoco e per tentare di garantire sia la sicurezza di Israele che la sovranità libanese. (...) La scelta di restare solidamente impegnati in Afghanistan, proponendo al tempo stesso un ripensamento della strategia di stabilizzazione adottata fino ad oggi, che sta chiaramente incontrando notevolissime difficoltà. La nostra tesi è che la presenza della NATO, sotto mandato delle Nazioni Unite, resti indispensabile; ma non sia di per sé sufficiente a garantire progressi sul piano della ricostruzione civile. È con questo obiettivo che abbiamo proposto una conferenza internazionale per la pace che coinvolga l’intera comunità internazionale e in particolare i paesi della regione.

Guardando al bilancio di questi primi mesi, l’Italia ha esercitato un ruolo nazionale attivo in un’area cruciale per la propria sicurezza e in una logica volta a rafforzare il peso internazionale dell’Europa. La posizione italiana è che la relazione transatlantica sarebbe a sua volta consolidata, non indebolita, da un aumento di coesione europea. Vanno quindi rafforzati i legami diretti fra Washington e Bruxelles, fra gli Stati Uniti e l’Unione europea in quanto tale.

Ciò vale anche sul piano economico: l’accento posto dalla presidenza tedesca sulla necessità di rafforzare l’integrazione dei mercati finanziari, creando nel tempo una sorta di mercato unico per gli investimenti transatlantici, è appoggiato con convinzione dall’Italia. Una partnership economica più solida, che tenga sotto controllo le tentazioni protezionistiche esistenti su entrambi i lati dell’Atlantico, avrà effetti positivi anche sul piano politico. Se guardiamo di nuovo alla sfida mediorientale, nessuna risposta occidentale sarà efficace se Stati Uniti ed Europa torneranno a dividersi e se non riusciranno a coagulare attorno a sé una più vasta coalizione di forze. Appoggiare i democratici in Medio Oriente

Idealismo e realismo devono anche in questo caso guidare le nostre scelte. Il conflitto libanese ha dato indicazioni importanti sulle dinamiche mediorientali a tre anni dall’intervento in Iraq: in primo luogo, Israele ha capito che la propria sicurezza può essere difesa meglio da una garanzia internazionale - ormai anche europea - piuttosto che attraverso il ricorso esclusivo a risposte militari nazionali; in secondo luogo, la questione palestinese ha assunto una nuova dimensione strategica, dal momento che la vecchia agenda nazionalista è ormai utilizzata strumentalmente da forze fondamentaliste; in terzo luogo, il vecchio equilibrio nel Golfo, per decenni fondato sul reciproco contenimento fra Iraq e Iran, è stato scardinato dall’intervento in Iraq, che di fatto ha finito per consolidare le ambizioni regionali di Teheran; in quarto luogo, i regimi arabi cosiddetti moderati cominciano a temere, di fronte all’ascesa del radicalismo sciita, per la propria stessa sopravvivenza. E sono dunque interessati, quanto noi, a due obiettivi: impedire che movimenti nazionalisti e movimenti islamici radicali si saldino; contenere l’ascesa regionale dell’Iran, impedendo che Teheran e Damasco consolidino quella che per ora appare soprattutto come un’alleanza tattica e disegnando un nuovo assetto di sicurezza regionale. Questa l’agenda potenziale della "grande coalizione " di cui avremmo bisogno per pacificare il Medio Oriente e che dovrà intanto appoggiare Fouad Sinora in Libano e Abu Mazen a Gaza nelle rispettive e difficili prove interne. (...)

L’alternativa è un Medio Oriente fuori controllo, caratterizzato dal declino dell’influenza americana, dall’ascesa dell’Iran come nuova potenza "imperiale", da un certo numero di "failed States" in preda a tensioni interne crescent(...) Sarà possibile evitare che tendenze del genere si consolidino, solo stabilizzando l’Iraq con il contributo dei paesi confinanti, stabilizzando il Libano e sottraendo alle forze fondamentaliste il grande pretesto della questione palestinese. In questi anni si è sostenuto che la questione palestinese non fosse centrale. La tesi della diplomazia italiana, così come di larga parte della diplomazia europea, è opposta: risolvere la questione palestinese è semmai diventato più urgente. Va considerata una priorità assoluta dei prossimi mesi.(...)

Conclusioni . Rischio storico dell'Italia, nelle fasi di attivismo internazionale, è stato in genere il velleitarismo. Tale rischio può essere ridotto non solo definendo una scala di priorità limitate e realistiche ma anche rafforzando gli strumenti a disposizione per conseguirle. Per l'Italia di oggi,si tratta essenzialmente di razionalizzare le risorse a disposizione della politica estera, di riformare una parte degli strumenti (...) e di migliorare il coordinamento nella proiezione internazionale del paese.

In un quadro fluido, e in cui spesso sembrano mancare riferimenti certi, diventa anche cruciale un giusto equilibrio fra realismo e idealismo: trovare la giusta miscela consente maggiore spazio di manovra rispetto alle due alternative estreme, entrambe troppo schematiche. E consente la creatività politica indispensabile per cogliere le opportunità senza trascurare la portata dei rischi. Terza condizione è che l'azione internazionale di un paese goda di appoggio e consenso interno. La fine degli automatismi legati al bipolarismo hanno anche reso le scelte di politica estera sempre più esposte allo scrutinio delle forze politiche interne, dei parlamenti e delle opinioni pubbliche. Questo significa che il consenso bipartisan sulla politica estera - che in ogni caso la rende più solida - è sempre meno scontato. Mentre il dibattito pubblico sugli interessi e i valori, come componente vitale delle democrazie mature, investe ormai pienamente anche la sfera dell'azione internazionale di un paese. Difendere all'interno le proprie scelte di politica estera, diventa quindi, per i singoli governi, una condizione chiave della propria stabilità. D'altra parte, solo quando credibilità interna e credibilità internazionale dell’azione di un governo si combinano, la politica estera poggia su basi solide. È l'occasione che si offre all'Italia di oggi.

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