Discorso
21 febbraio 2007

Roma - Senato - Replica di D'Alema al termine della discussione generale

Il testo dell'intervento


…D'ALEMA, vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. Signor Presidente, signori senatori, io vorrei innanzi tutto ringraziare il Senato per la discussione assai ricca ed anche appassionata dalla quale certamente il Governo, e per quanto mi riguarda il Ministro degli affari esteri, trarranno indicazioni importanti per lo sviluppo del nostro lavoro. È una discussione seria quella che ci ha impegnato e di ciò davvero voglio ringraziare tutti gli esponenti dell'opposizione e della maggioranza.

Ora ci troviamo alle soglie di un voto che si presenta francamente un po' strano perché, in definitiva, confliggono tra di loro due mozioni che si concludono, tuttavia, entrambe con l'approvazione della politica estera del Governo. Devo dire che di ciò mi sento molto onorato nei confronti dell'intero Senato della Repubblica che gareggia su come approvare la politica estera del Governo. Certamente è una situazione non facilissima da spiegare all'opinione pubblica ma mi sforzerò di esprimere la mia opinione su questa contrapposizione che appare abbastanza singolare per il modo in cui si dispiega.

Tuttavia, prima di venire a questo tema che ruota intorno alla questione della continuità su cui vorrei dire poi parole sincere a questa Assemblea, torno a sottolineare, accogliendo lo stimolo garbato e pungente del senatore Biondi con il quale duelliamo con garbo e rispetto reciproco da tanti anni, che io non ho inteso minacciare nessuno, né la maggioranza né il Senato, ma semplicemente ricordare con una battuta di ieri ai margini dell'incontro italo-spagnolo che un elementare principio di natura costituzionale dice che il Governo, per poter svolgere il suo lavoro in tutti i campi ma in modo particolare in un settore cruciale come la politica estera, deve poter contare sul consenso della maggioranza parlamentare.

È, se volete, una banalità; tuttavia penso per ragioni politiche, costituzionali e - se mi permettete - anche etiche che l'idea di agire senza consenso, soprattutto quando sono in gioco questioni così importanti come la pace, la guerra e la sicurezza del Paese, è qualcosa che non appartiene al costume democratico e alle mie abitudini. Credo di avere dimostrato nella mia vita politica di essere persona molto attenta a misurare il consenso democratico, persino al di là degli obblighi costituzionali e a prendere atto del dissenso con una coerenza che non sempre - lo dico - ho riscontrato in tutti i protagonisti della vita politica.

Ritengo che sarebbe tuttavia paradossale che una politica estera, che senza alcun dubbio - lasciamo stare i sondaggi che non fanno che confermarlo - raccoglie in un momento complesso e tormentato un largo consenso nel Paese - parrebbe assai più largo del consenso che più generalmente c'è intorno alla politica del Governo - e senza alcun dubbio una vasta attenzione internazionale, non trovasse il consenso del Senato della Repubblica; sarebbe davvero curioso e aprirebbe una questione assai delicata.

Penso che sul tema della continuità e della discontinuità della politica estera italiana dobbiamo fare una discussione seria. Dirò la mia: non possiamo confondere la continuità di fondo di una politica estera sulla base di un consenso, che si è venuto formando nel corso della lunga storia dell'Italia repubblicana, con gli elementi indubbi di novità e di contrasto che sono emersi negli ultimi anni.

Ho ricordato le coordinate della continuità della politica estera italiana: l'articolo 11 della Costituzione, ovvero la scelta dell'impegno dell'Italia per costruire un ordine internazionale fondato sulla pace, il rifiuto della guerra e la partecipazione attiva dell'Italia a quell'architettura di istituzioni e di alleanze (ONU, Unione Europea e NATO) entro la quale la nostra politica estera si è sviluppata in questi anni e continuerà a svilupparsi nel periodo prevedibilmente di fronte a noi. Credo tuttavia che la raffigurazione, che è venuta in molti contributi degli amici dell'opposizione, secondo cui lo scenario politico italiano e quello internazionale sarebbero in definitiva caratterizzati da una parte da uno schieramento che si muove su una linea coerentemente atlantica e occidentale e dall'altra dalla protesta confusa di un mondo radicale e pacifista, non sia esatta; non corrisponde alla realtà della vicenda politica italiana, europea e mondiale degli ultimi anni che ha visto aprirsi ben altra dialettica politica, assai più complessa e che ha attraversato in modo drammatico il campo occidentale.

Non c'è il minimo dubbio che di fronte alla politica neoconservatrice dell'amministrazione americana, di fronte alla teorizzazione della guerra preventiva, dell'esportazione con la forza della democrazia e all'atto della guerra in Iraq si è diviso l'Occidente. Non si è avuto l'Occidente da una parte e il pacifismo dall'altra parte; si è diviso il campo democratico occidentale; si sono divise le grandi democrazie occidentali. Si è aperta una ferita profonda che ha diviso anche il campo politico italiano rispetto ad un consenso sulla politica estera che aveva caratterizzato lunghi decenni della storia repubblicana.

Questa è la verità. È lo scenario reale nel quale ci muoviamo. Io credo che sia del tutto legittimo rivendicare da questo punto di vista una novità nella politica del Governo Prodi rispetto alla politica del Governo Berlusconi: la novità del non aderire alla politica neoconservatrice. Non avremmo mandato i soldati in Iraq e non ce li avremmo mandati così come non ce li ha mandati la maggioranza dei Paesi europei, la larga maggioranza dei Paesi che appartengono all'Unione europea e all'Alleanza atlantica. Naturalmente è legittimo avere un'opinione diversa. …

…D'ALEMA, vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. È legittimo avere un'opinione diversa. La più grande democrazia dell'Occidente, gli Stati Uniti d'America, è divisa da questo dibattito. Figuriamoci se non è legittimo avere opinioni diverse, ma non è giusto presentare il nostro punto di vista come in continuità con quello del Governo precedente, perché su questo marca una novità radicale. Certo, ciò non significa che in tutti i campi il Governo attuale segni una rottura con il passato. Se vogliamo parlare seriamente di continuità, ritengo che per certi aspetti il Governo attuale recuperi una continuità più lontana della politica estera italiana. Mi permetto di dubitare molto che i Governi democratici imperniati sull'alleanza tra la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista avrebbero approvato la teoria della guerra preventiva, se devo giudicare almeno dal modo in cui gran parte degli esponenti di quel mondo si sono collocati nel dibattito politico di questi anni.

Allora, se vogliamo essere sinceri fino in fondo in materia di continuità, credo che l'attuale Governo recuperi la continuità di una ispirazione di fondo della politica estera italiana rispetto ad uno strappo intervenuto negli ultimi anni. Ripeto: è ovviamente una opinione opinabile, ma è un discorso di verità che - a mio giudizio - presenta uno scenario più vero del dibattito politico internazionale e non uno scenario di comodo. Lo dico perché allora troverei davvero curioso concludere questo dibattito con una disputa sulle parole.

Mi interessa molto di più il confronto sulla sostanza e la sostanza è la seguente: se si apprezza l'impegno italiano per contribuire ad una svolta nella politica internazionale, di cui certo noi non siamo gli unici attori né forse i principali, ma che tuttavia è in atto per uscire dalle secche dell'unilateralismo e per ritornare nell'alveo di una politica multilaterale, per uscire dalle secche delle coalizioni dei volenterosi e per ritornare nell'alveo del primato delle istituzioni internazionali; lo si dica senza affermare che questo è in continuità con la partecipazione ai volenterosi di prima.

Noi lavoriamo per consolidare una svolta nella situazione internazionale. Lo facciamo in Iraq; lo facciamo nel Medio Oriente; lo facciamo in Afghanistan. Lo facciamo con scelte che tengono conto delle diversità delle situazioni e anche qui voglio usare parole sincere nei confronti di giudizi che non condivido e che mettono sullo stesso piano la vicenda irachena e quella afgana.

Ci sono delle differenze molto profonde, di carattere giuridico, di carattere politico e di fatto, che fanno sì che mentre il ritiro dall'Iraq è stato un atto politico che ha aperto all'Italia nuove possibilità di iniziativa politica, rimettendoci in sintonia con la maggioranza degli europei e anche con gran parte del mondo arabo, il ritiro dall'Afghanistan sarebbe un atto unilaterale che ci separerebbe da tutta l'Europa, compresi quegli spagnoli che sono lì a fianco a noi, non ci metterebbe in comunicazione con nessuno e non ci farebbe fare nessun passo in avanti…

…D'ALEMA, vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. Vi è una profonda diversità tra un'azione militare in Afghanistan, che è stata autorizzata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite perché lì c'erano le basi dei terroristi...

…D'ALEMA, vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. Prima ho parlato a voi, ora parlo a loro; rispondo alle obiezioni, come si fa normalmente in un dibattito. La replica è la risposta agli intervenuti: ho risposto prima, come era doveroso, agli oratori dell'opposizione e ora sto rispondendo a quelli della maggioranza, se mi permettete di farlo con cortesia e sincerità.

È diversa l'azione militare in Afghanistan, autorizzata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla base dell'accertato fatto che lì vi erano le basi di Al Qaeda, dall'azione militare in Iraq, voluta in modo unilaterale sulla base della menzogna che lì ci sarebbero state le armi di distruzione di massa. Non sono la stessa cosa e non è giusto metterle sullo stesso piano nel modo in cui si affrontano i diversi problemi di queste diverse situazioni.

Per questo, per voltare pagina in Afghanistan, bisogna stare dentro il quadro delle responsabilità condivise e non separarsene: per ragioni politiche e non per un'astratta continuità.

Vedete, noi siamo di fronte a scelte politiche e a passaggi assai complessi e in nessuna delle sfide in cui siamo impegnati vi è certezza di successo, a cominciare da quella che ci vede in primissimo piano nel Libano con una responsabilità preminente per il numero dei militari e per il comando della missione delle Nazioni Unite. Ma in tutti questi diversi campi noi ci muoviamo sulla linea di un difficile equilibrio: lealtà alle alleanze, lealtà al quadro nell'ambito del quale noi ci troviamo (e se ne usciamo non contiamo più nulla) e sforzo, impegno, per far avanzare concretamente una nuova prospettiva di distensione e di pace. Voglio concludere dicendo una parola, anche qui di verità, su Vicenza, dato che da tante parti è stato sollecitato.

Non ho mai nascosto che condivido l'opinione del Governo. Ho citato in modo non banale le parole del Presidente del Consiglio il quale si è preso la responsabilità primaria, come è giusto, di confermare la disponibilità italiana che era stata annunciata con una lettera del Capo di Stato Maggiore delle Forze armate italiane, autorizzato dal Governo dell'epoca, agli americani per l'allargamento della base di Vicenza. Si richiede di allargare tale base nel quadro di quello che gli americani definiscono, ed è senza alcun dubbio, un ridimensionamento della presenza americana in Europa, che, tra l'altro, ha già previsto la dismissione della base della Maddalena e prevedrà un'ulteriore riorganizzazione anche nel nostro territorio della presenza americana.

Gli americani che alla fine della guerra fredda avevano in Italia quasi 20.000 militari oggi ne fanno circa 12.000 e vanno ridimensionando la loro presenza in Europa, come è ovvio che accada in un mutato scenario internazionale. In questo quadro ci è stato chiesto di poter potenziare Vicenza per concentrare le forze, chiudendo altri basi in Europa; un'iniziativa che è stata ritenuta ragionevole dal Governo italiano, il quale ha assunto un impegno. È anche vero che sulla base di questo impegno del Governo italiano gli americani hanno, molto correttamente, predisposto un progetto, lo hanno sottoposto all'esame delle istituzioni democratiche di Vicenza che lo hanno approvato, sì con determinate cautele, ed io sinceramente ritengo che revocare questa autorizzazione sarebbe stato, da parte del Governo attuale, un atto ostile verso gli Stati Uniti di cui non si sarebbe compreso il senso e che avrebbe avuto degli effetti controproducenti.

La mia opinione è che nella opposizione alla base di Vicenza si sommino, tuttavia, sentimenti molto diversi. C'è probabilmente una posizione pregiudiziale di una parte di opinione pubblica di contrarietà verso le basi militari, c'è anche un sentimento diffuso della comunità vicentina, preoccupata per una localizzazione di quella base che è considerata da molti cittadini di Vicenza, delle più diverse opinioni politiche, dannosa per lo sviluppo della città, delle sue prospettive e per la possibilità per essa di godere di un area di verde importante.

Ed è per questo che, senza smentire l'orientamento preso, abbiamo posto agli americani l'esigenza di una valutazione più approfondita sulle preoccupazioni espresse nello stesso consiglio comunale di Vicenza dove, nel momento in cui è stato approvato il progetto, sono state, tuttavia, indicate talune limitazioni, e sulle preoccupazioni che si sono successivamente manifestate anche nei movimenti e nei comitati dei cittadini di Vicenza.

Questa è la posizione del Governo. Non intendiamo rimettere in discussione l'orientamento preso, ma insistiamo affinché si tenga conto delle preoccupazioni dei cittadini di Vicenza e credo che, ragionevolmente, con questi cittadini il Governo aprirà un dialogo, così come abbiamo chiesto agli Stati Uniti d'America di tenerne conto.

Questa è una posizione ragionevole, che al tempo stesso vuole essere rispettosa degli impegni internazionali dell'Italia, ma anche delle preoccupazioni legittime di una comunità italiana che sappiamo benissimo dove si trova e di cui sappiamo anche ascoltare le preoccupazioni. Le farò leggere, senatore Mantica, nello spirito di «ex socio» della Farnesina, le lettere che provengono non solo da radicali pacifisti, ma da tante personalità di quella comunità, comprese personalità del mondo religioso ed economico. Penso che il Governo farà bene ad ascoltarle nella logica di un Governo democratico che decide, ma si fa carico anche delle preoccupazioni dei cittadini.

Ho voluto parlare con chiarezza e spero che questo dibattito si concluda nella chiarezza. Chi condivide la politica estera del Governo la voti, chi non la condivide voti contro anziché dire che la sostiene dicendo che è un'altra da quella che è.

È il momento dell'assunzione delle responsabilità ed è per noi fondamentale misurare il consenso vero di quest'Aula, condizione preziosa per andare avanti nel nostro lavoro.



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