Discorso
7 giugno 2007

Roma - Convegno “Si può fermare la proliferazione nucleare? L’attualità del TNP e la crisi iraniana”

Testo dell'intervento


Vorrei ringraziare l’Archivio Disarmo per avermi offerto questa occasione di discutere insieme al Direttore Generale dell’AIEA, il Dott. El Baradei, i problemi relativi alla non proliferazione.

Non vi è argomento di maggiore attualità, né minaccia potenziale più grave alla nostra sicurezza, alla vita degli esseri umani ed alla stabilità internazionale, della diffusione delle armi di distruzione di massa. Il rischio che organizzazioni terroristiche se ne impossessino non è soltanto un’ipotesi astratta. L’opinione pubblica ne è ormai consapevole – come dimostra il sondaggio effettuato dall’Archivio Disarmo - e chiede risposte concrete.

Affrontare tale minaccia è un compito che, come ovvio, va molto al di là delle possibilità dei singoli Stati; la lotta alla proliferazione è – direi per definizione - uno dei settori che richiedono una forte cooperazione internazionale. La sicurezza del nuovo millennio sarà comune – o non sarà sicurezza.

Nell’attribuire il Premio Nobel per la pace all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ed al suo Direttore Generale, il Comitato norvegese ha richiamato l’importanza della cooperazione internazionale nella lotta alla proliferazione: “Nel lavoro svolto dall’AIEA e dal suo Direttore Generale - si legge nella motivazione del premio - vi è la più chiara espressione di tale principio”.

Siamo grati al Dott. El Baradei per il suo impegno a favore del rafforzamento del regime di non proliferazione nucleare. Siamo ugualmente grati all’AIEA ed ai suoi ispettori per il loro lavoro. Verificando che l’energia nucleare non sia dirottata verso fini proibiti dal TNP, essi danno un contributo rilevante alla nostra sicurezza.

La Strategia di sicurezza europea, lanciata sotto presidenza italiana alla fine del 2003, sottolinea la necessità e l’urgenza di un salto di qualità nella cooperazione internazionale contro la diffusione delle armi di distruzione di massa. E’ un obiettivo che l’Italia, paese firmatario del TNP dal 1975, ritiene essenziale; e rispetto a cui si sente fortemente impegnata.

1.
Il TNP resta la pietra angolare del sistema di non proliferazione. A più di 35 anni dalla sua entrata in vigore, un bilancio onesto non può essere che positivo. Secondo i detrattori, il Trattato di non proliferazione sarebbe ormai superato, vista la nascita di nuove potenze nucleari di fatto che si sono aggiunte nel tempo alle cinque potenze nucleari “legali”, riconosciute come tali dal Trattato del 1968. La realtà, tuttavia, è che il TNP ha funzionato assai meglio di tanti altri trattati internazionali. Non dimentichiamoci che all’inizio degli anni ’60, il Presidente Kennedy prevedeva che gli Stati nucleari sarebbero diventati una ventina circa nell’arco di un paio di decenni. Così non è stato. Non solo: alcuni paesi hanno rinunciato col tempo all’opzione nucleare (fra cui Brasile, Argentina, Ucraina, Sud Africa, Libia), mentre Stati Uniti e Russia hanno ridotto drasticamente le proprie testate rispetto all’epoca della guerra fredda – un dato che lascia aperti tuttavia i punti critici su cui tornerò poi.

Detto tutto ciò - e quindi ribadita l’importanza di un Trattato che l’Italia ha sempre difeso con coerenza – è d’altra parte indubbio che il regime di non proliferazione rischia ormai di subire una vera e propria erosione. India, Pakistan e Israele non sono firmatarie del Trattato, mentre la Corea del Nord si è ritirata dal TNP nel 2003, primo paese a compiere questa scelta. Più in generale, la crescente diffusione di tecnologie nucleari sensibili ha determinato nuovi spazi grigi: è ormai pensabile, in particolare dopo il caso della Corea del Nord, che un paese sviluppi tecnologie nucleari pacifiche all’ombra del TNP e si ritiri dal Trattato nel momento del passaggio al nucleare militare. Prevenire una sequenza del genere, con un sistema rafforzato di controlli, diventa decisivo per il successo della non proliferazione.
Va riconosciuto, in altri termini, che ci troviamo in una situazione a rischio: lo scambio alla base del TNP – l’accesso a tecnologie nucleari pacifiche in cambio della rinuncia alle armi atomiche – è ormai sottoposto a tensioni crescenti. La presenza di un mercato nucleare clandestino – rivelata in particolare dal famoso “caso Khan” - e la possibilità che le armi nucleari cadano in mano ai terroristi, sono altrettanti punti di debolezza nell’attuale sistema. Pesa, infine, il mancato rispetto degli obblighi di disarmo da parte delle cinque potenze nucleari legali, previsti dall’articolo 6 del TNP.
E tutto questo in un contesto in cui certo non mancano incentivi all’acquisizione di capacità nucleari: insicurezza diffusa, ricerca di status o volontà di potenza costituiscono fattori potenziali di proliferazione, in particolare in regioni – come l’Asia orientale e meridionale o il Medio Oriente – prive di accordi regionali di sicurezza. Anche per questa ragione, l’emergere di potenze di “soglia” genera la preoccupazione di un “effetto a cascata”, per citare l’espressione usata da Kofi Annan nel suo rapporto del 2005: di una rapida moltiplicazione, cioè, delle nuove potenze nucleari.
In breve: il TNP è ormai esposto a seri rischi. O verrà rafforzato, o rischia una progressiva erosione.

2.
Il caso iraniano è emblematico delle difficoltà che ho appena richiamato e che la Comunità internazionale deve fronteggiare. Non ho certo bisogno di ricordare qui, alla presenza del dottor El Baradei, che il Consiglio dei Governatori dell’AIEA ha riconosciuto l’Iran in violazione degli obblighi di salvaguardia connessi alla firma del TNP. Dopo il difficile negoziato tentato dagli europei, tale circostanza ha condotto a sottoporre il dossier Iran al Consiglio di sicurezza: sono seguite, in assenza di nuovi sviluppi, le note Risoluzioni del Consiglio, con l’approvazione di relative sanzioni.
Il rapporto dell’AIEA pubblicato nei giorni scorsi, conferma che l’Iran non ha ancora adempiuto alle richieste del CdS; e riferisce che numerose e rilevanti questioni, relative ai programmi nucleari di Teheran, sono tuttora senza risposta. Come paese che siede nel Cds, l’Italia esprime forte apprezzamento per il ruolo che l’Agenzia sta svolgendo, pur senza disporre di quegli strumenti, in particolare il Protocollo Aggiuntivo, di cui avrebbe forte bisogno per fare piena luce sugli aspetti ancora controversi del programma nucleare iraniano. La prospettiva che l’Iran, paese firmatario del TNP, si doti dell’arma nucleare è inaccettabile per la comunità internazionale. È quindi indispensabile che l’Iran fornisca tutte le garanzie che dimostrino il carattere esclusivamente pacifico del proprio programma nucleare.

L’Italia è d’altra parte fortemente impegnata in seno all’UE, al CdS e al G8 nella ricerca di una soluzione diplomatica. Il governo italiano ha sostenuto la proposta presentata a Teheran da Solana ormai un anno fa, basata sulla possibilità di avviare con l’Iran – di fronte all’interruzione dei processi di arricchimento e di una piena collaborazione con l’AIEA - una vasta cooperazione in campo nucleare civile oltre che tecnologico, economico-commerciale e politico. Il ritorno al CdS, in caso di persistente inadempimento iraniano alle precedenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, costituisce evidentemente l’altro lato della medaglia. L’Italia ha dato applicazione alle risoluzioni del CdS, oltre che alle restrizioni stabilite dall’Unione Europea. Continuerà a fare la sua parte, anche nella convinzione che sia indispensabile salvaguardare la coesione della comunità internazionale. E’ questa coesione politica, ancora prima delle sanzioni, che determinerà i nostri successi nella lotta alla proliferazione nucleare.

Vorrei però aggiungere che il ricorso al Consiglio di Sicurezza non esaurisce gli sforzi diplomatici europei. In questi giorni l’Alto Rappresentante per la PESC, Solana, sta di nuovo sondando il negoziatore iraniano Larijani. Si tratta di un tentativo che va perseguito.

Il dialogo, in questa fase critica, deve puntare a interrompere una spirale che sta portando l’Iran ad isolarsi sempre di più, con il rischio che i controlli internazionali sui programmi nucleari in quel Paese siano resi ancora più difficili, se non addirittura interrotti. E’ nostro interesse, al contrario, che Teheran sia spinto ad accettare le condizioni per una ripresa del negoziato; e che decida di tornare ad applicare al più presto il Protocollo Aggiuntivo.

Se queste condizioni si verificassero, e se quindi il negoziato riprendesse e progredisse, verrebbero gradualmente ricostruite condizioni – indispensabili - di fiducia. Le sole condizioni che permetterebbero all’Iran di aspirare legittimamente allo sviluppo di energia nucleare pacifica.

Dobbiamo assolutamente evitare che il circolo vizioso cui siamo arrivati sulla vicenda iraniana si cristallizzi. A quattro anni dai primi tentativi negoziali dell’UE 3 - cui l’Italia, come noto, non ha preso parte - siamo in realtà in una situazione peggiore di quanto non fossimo in partenza.
Teheran ha sviluppato una capacità autonoma di arricchimento e sta completando l’installazione di circa 3000 centrifughe: ha insomma fatto progressi tangibili proprio dove abbiamo tentato di prevenirli. E’ sempre stata la mia convinzione che delimitare strettamente l’ottica all’ambito tecnico delle procedure di arricchimento non aiutasse. Abbiamo bisogno, come comunità internazionale, di adottare una visione politica più ampia.
In particolare, ritengo che le possibilità di spingere l’Iran a interrompere i processi di arricchimento dipendano anche dalla capacità di dare vita a un dialogo complessivo sui temi della sicurezza regionale. Da questo punto di vista, i primi contatti fra diplomatici iraniani, iracheni e americani costituiscono un passo avanti.
E’ nota la preoccupazione dei paesi vicini per la possibilità che l’Iran si doti dell’arma nucleare, o anche che acquisisca semplicemente la capacità di produrla. Senza una svolta politica significativa da parte iraniana, saremo lasciati di fronte alla penosa alternativa fra subire quell’esito o ricorrere infine a un’azione di forza che oggi nessuno si sente in grado di contemplare, viste le conseguenze incontrollabili che produrrebbe, in Iran e nella regione. Dobbiamo assolutamente evitare di arrivare lì, di fronte al quel bivio. E per evitarlo, dobbiamo definire una strategia politica per riportare l’Iran al tavolo negoziale. Non credo che riusciremo a farlo solo con sanzioni progressive, che pure sono inevitabili nella situazione attuale; dobbiamo anche prevedere colloqui sulla sicurezza regionale, sviluppando la logica dei primi incontri di Baghdad.

3.
Non c’è dubbio, guardando adesso alle problematiche più generali, che esista una connessione diretta fra sicurezza regionale e dinamiche della proliferazione. Del resto, il Direttore Generale El Baradei ha chiaramente posto la questione della soluzione delle crisi regionali nel contesto più ampio del rafforzamento del regime di non proliferazione nucleare e dei meccanismi di verifica dell’AIEA.

E’ un programma ambizioso. Ci si può chiedere, in particolare, quanti margini restino per il rafforzamento del TNP dopo l’esito insoddisfacente della Conferenza di Riesame del maggio 2005 a New York, conclusasi senza alcuna raccomandazione di sostanza. Il clima attuale è forse meno sfavorevole di due anni fa. L’avvio del nuovo ciclo di riesame del TNP, a fine aprile scorso a Vienna, ha segnato un qualche progresso.
Progressi più consistenti richiedono però una condizione di fondo: non solo la capacità di risolvere la crisi aperta con l’Iran e di ottenere ulteriori risultati sul fronte della crisi coreana; ma anche la capacità di ricostruire un consenso internazionale sui metodi con cui rilanciare l’intero regime di non proliferazione nucleare. Metodi che prevedano sia sanzioni certe per i proliferatori che una serie di progressi nel controllo del rischio nucleare. In particolare, l’Italia ritiene che la fornitura di tecnologia nucleare – prevista dal TNP per i paesi che rinuncino all’arma nucleare – debba ormai essere condizionata all’adozione dei Protocolli Aggiuntivi dell’AIEA. Sul diritto all’uso pacifico dell’energia nucleare, l’Italia sostiene quindi la ricerca di ciò che può essere definito un equilibrio “ragionevole” tra il suo esercizio e l’esistenza di controlli sempre più efficaci.

Esiste ampio consenso sul fatto che l’obiettivo della comunità internazionale debba essere un mondo in cui le armi nucleari non possano essere usate e vengano progressivamente ridotte. Non ho bisogno di ricordare proprio a voi, a questa platea di esperti qualificati, le parole scritte in questo senso pochi mesi fa, in un articolo congiunto per il Wall Street Journal, da George Shultz, Henry Kissinger, William Perry, Sam Nunn: tutti uomini con una solidissima carriera alle spalle nel Dipartimento di Stato e nella Difesa americana. Non certo delle “colombe”; ma certamente degli osservatori onesti sui rischi nucleari di oggi.
Rispetto alle loro e nostre preoccupazioni, le battute di arresto sono tuttavia ancora troppe. Mi riferisco in particolare allo stallo nell’entrata in vigore del Trattato che proibisce gli esperimenti nucleari (CTBT). Negativo è anche il mancato avvio di un negoziato per un accordo – sempre più necessario – sul bando della produzione di materiale fissile (FMCT). Va ricordato che nel 2000, entrambi i trattati erano stati considerati prioritari da tutti i paesi aderenti al TNP.

Sia a New York nel 2005, sia a Vienna nelle settimane scorse, il governo italiano ha sostenuto, insieme all’Unione Europea, la necessità di preservare il TNP nella sua interezza e al tempo stesso di rafforzarne l’applicazione. Questo significa che al rispetto prioritario degli obblighi di non proliferazione, vanno combinati sforzi per ridurre in maniera verificabile gli arsenali esistenti. E significa che vanno concretamente attuati gli impegni assunti in seno al G8, attraverso la Global Partnership, per l’eliminazione degli armamenti di distruzione di massa e dei relativi materiali.

4.
Dal grande dibattito sul nucleare emerge peraltro un dato positivo: continua ad esistere una opinione largamente maggioritaria sull’importanza di salvaguardare i principi fondamentali del regime di non proliferazione.

Perché allora non riusciamo a compiere dei passi in avanti più concreti?

Ha pesato e continua a pesare la contrapposizione tra quanti privilegiano la non proliferazione e quanti fanno invece del disarmo nucleare una assoluta precondizione. In realtà, abbiamo bisogno di entrambi. A ciò si aggiunge il risentimento dei paesi che denunciano il forte squilibrio nell’attuazione degli obblighi del Trattato, soprattutto per quanto riguarda l’accesso all’energia nucleare civile ed il trasferimento della tecnologia.

Se le condizioni di partenza sono queste, è indispensabile un rinnovato impegno politico della comunità internazionale, che combini un approccio lungimirante a passi concreti.

Tra le tante misure e raccomandazioni che sono state avanzate negli ultimi anni, l’Italia promuove da tempo due strumenti sui quali riteniamo si possa e si debba raggiungere rapidamente un consenso.

Innanzitutto, come già dicevo sopra, i Protocolli Aggiuntivi dell’AIEA, con la loro importanza ai fini di un deciso rafforzamento delle capacità di verifica dell’Agenzia di Vienna. Visti gli sviluppi tecnologici, è cruciale che i Protocolli, la cui adozione va universalizzata, formino lo standard per le verifiche e al tempo stesso diventino la condizione per la fornitura di materiali e tecnologie nucleari. E’ necessario che l’adozione dei Protocolli Aggiuntivi sia riconosciuta dagli Stati come un obbligo nei confronti della comunità internazionale. Sarebbe ugualmente importante, come passo iniziale, che i paesi che hanno firmato i Protocolli li applicassero ancora prima della ratifica.

Secondo strumento: l’avvio del negoziato per un accordo che vieti la produzione di materiali fissili per uso bellico, noto come FMCT (Fissile Material Cut-off Treaty). Si tratta di un altro passo concreto importante, da intraprendere rapidamente. Limitando la possibilità di accumulare materiale fissile aggiuntivo, un simile trattato darebbe un contributo significativo al disarmo nucleare, oltre che alla non proliferazione. Anche grazie all’impegno dell’Italia, si sono di recente aperte alla Conferenza del Disarmo a Ginevra buone opportunità per l’avvio di una trattativa in questo senso. E’ stato varato un progetto di mandato che attribuisce all’Italia il ruolo di coordinatore. E’ un’occasione favorevole per fare decollare il negoziato, un’occasione che potrebbe non ripresentarsi facilmente.

Se la battaglia contro la proliferazione nucleare rimane un imperativo, è ugualmente cruciale – come già argomentavo - non distogliere l’attenzione dall’obiettivo del disarmo nucleare. Diventa sempre più difficile, infatti, sostenere l’integrità del TNP e combattere la proliferazione senza al tempo stesso toccare gli arsenali esistenti. Dalla fine della guerra fredda in poi, le testate nucleari sono notevolmente diminuite; ma vanno compiuti ulteriori progressi in questo senso, come appunto previsto dalla logica e dalla lettera del Trattato di Non Proliferazione. Il principio della irreversibilità dei passi di disarmo deve guidare le iniziative in questo campo. La riduzione delle armi nucleari non strategiche, o tattiche, deve essere parte integrante del processo di controllo e riduzione degli armamenti.

5.

Lasciatemi concludere con alcuni cenni al problema della ripresa del nucleare, del cosiddetto “nuclear revival”, ossia agli effetti nel campo della sicurezza di una nuova fase di interesse per il nucleare come fonte energetica.

Il problema della proliferazione è stato ben presente fin dagli inizi delle applicazioni civili dell’energia nucleare. Vi è tuttavia la consapevolezza che con l’espandersi dei programmi e con l’entrata sulla scena nucleare di nuovi paesi, il rischio di proliferazione sia destinato a crescere. Sono diventati quindi indispensabili, a completamento del regime esistente, meccanismi internazionali che regolino la produzione e la distribuzione del combustibile nucleare. Tali strumenti dovrebbero assicurare da un lato la fornitura del combustibile nucleare ai paesi che ne fanno legittimamente richiesta; e dall’altro il rispetto delle più rigorose norme di non proliferazione, attraverso processi multilaterali sotto il controllo o l’egida dell’AIEA.

Abbiamo molto apprezzato il lavoro che l’AIEA sta conducendo sull’argomento (il tema dei cosiddetti Multilateral Nuclear Approaches). Questa discussione, cui l’UE in virtù dell’esperienza dell’EURATOM è fortemente coinvolta, è destinata ad avere notevoli implicazioni sul regime di non proliferazione e sullo sviluppo dell’energia nucleare.

Siamo in una fase cruciale per la sicurezza nucleare, come ho cercato di mostrare in questo mio intervento. Le scelte che verranno effettuate in questi prossimi anni saranno determinanti per il nostro futuro. O riusciremo a compiere ulteriori progressi nel controllo e nella riduzione delle armi nucleari o ciò che gli esperti definiscono una “seconda ondata della proliferazione nucleare” sarà difficilmente evitabile. L’Italia è decisa a dare tutto il suo contributo per tradurre la prima ipotesi in realtà, scongiurando la seconda.

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