Intervista
30 agosto 2007

“Il Pd polizza vita del governo basta con sospetti e polemiche” <br>

Intervista di Massimo Giannini - La Repubblica


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ROMA - “Basta con le polemiche e i sospetti. Qui non c’è nessuna trama segreta. Non sono in vista né cambi di maggioranza né elezioni anticipate. Veltroni sta facendo bene il suo lavoro e il Partito democratico è la vera polizza vita di questo governo, che a questo punto durerà fino alla fine della legislatura”. Reduce dalla sua solita vacanza in barca, Massimo D’Alema torna in campo per rassicurare Prodi, spronare Veltroni, rimproverare gli altri candidati leader del Pd, e rilanciare la sfida d’autunno, a partire dalla legge elettorale: “Il modello tedesco va bene - dice il ministro degli Esteri, raccogliendo un dubbio di Veltroni - e lo si può anche rafforzare introducendo l’obbligo di indicare le alleanze prima del voto, e non dopo”.

Ministro D’Alema, ci risiamo. A un mese e mezzo dalla costituente del Pd avete già ricominciato tutti a litigare come le comari di Windsor.
“Io ho preferito star fuori dalle polemiche. Mi dà fastidio il chiacchiericcio estivo, questo è il periodo in cui la politica dà il peggio di sé. Il caldo spinge i politici a dire cose improbabili, talvolta insensate. I giornali, in assenza di notizie, le enfatizzano. Tutto questo produce dibattiti sudaticci. Buona regola è starne fuori... “.

Ma ora qualcosa dovrà pur dirla. Il quadro d’insieme del paese non le sembra alquanto sconfortante?
“Il quadro d’insieme dimostra soprattutto una cosa: non c’è una maggioranza in crisi e un’opposizione che incalza. Quella era un’immagine propagandistica, che oggi dimostra in modo clamoroso la sua insussistenza. La verità è che c’è un paese in difficoltà, non solo la sua politica. L’ondata “anti”, molto cavalcata dai media e da parte della borghesia italiana, va mostrando la sua inconsistenza. Ma ci sono anche segnali di ripresa e volontà di rinascita. Sul piano politico, il Pd si conferma come la vera grande novità italiana, che riapre il dibattito sui nodi di fondo del nostro paese. Emerge con forza il grande valore di questo progetto, man mano che si avvicina il 14 ottobre. La costituente, rafforzata dalla discesa in campo di Veltroni, ha innescato reazioni a catena in tutto il sistema. La destra spinge verso un confronto sul suo rinnovamento, o addirittura sulla nascita di un nuovo partito. E anche la sinistra radicale si pone domande su possibili future aggregazioni”.

Ma questa campagna per la leadership non le sembra una rissa tra correnti, tipo vecchia Democrazia cristiana?
“Io auspico che di qui al 14 ottobre il confronto, anziché inasprirsi con cadute di tono e sospetti, ritrovi lo spessore di un progetto per il futuro del paese e per il destino del riformismo in Europa. C’è stata una esasperazione eccessiva del conflitto. Io capisco che i competitori che si confrontano con Walter abbiano un di più di aggressività, per cercare di conquistare il campo, magari anche per l’eccesso di zelo di qualche sostenitore... “.

Ce l’ha con Rosy Bindi?
“Non scendo nei dettagli. Mi limito a constatare che è preferibile concentrarsi più sui progetti futuri e meno sulle polemiche spicciole. A tutti i candidati, comunque, io ricordo che non stiamo facendo una campagna elettorale per le elezioni politiche. Eleggiamo il leader di un partito in cui saremo tutti insieme. Un partito che avrà certamente un carattere pluralistico. Io non apprezzo gli aspetti deteriori del correntismo, ma come tutti i partiti coalizionali del mondo anche il Partito democratico avrà una pluralità di protagonisti e di voci. Qui nessuno ha in mente il modello del vecchio Partito comunista italiano, con il centralismo democratico e tutto il resto, questo sia chiaro”.

Su quali temi di fondo si dovrebbe allora concentrare il dibattito, secondo lei?
“Intanto io vedo un fronte internazionale che ci sollecita riflessioni e risposte. In Europa c’è il riemergere degli Stati-nazione, e soprattutto torna forte la Francia, che in rapporto con la Gran Bretagna e la Germania rischia di costituire una sorta di direttorio europeo... “.

Magari questa è colpa della sua politica estera?
“No, al contrario. Dal Libano in poi, l’Italia è tornata ad essere protagonista su molti scenari. Semmai il problema è un altro: qui si riflette la debolezza oggettiva del paese e la fragile coesione nazionale persino sulle grandi scelte di politica estera. Dal Medio Oriente ai Balcani, il Partito democratico deve dare un suo contributo. Poi c’è l’allargamento del campo riformista europeo. Qui il tema non è cercare i nostri amici in giro per l’Europa, ma come questo progetto italiano interferisce con il campo socialista, quello liberaldemocratico e quello ambientalista. Per noi non è importante avere il “club ulivista” in Europa, di questo i candidati al Pd devono tener conto. La via maestra resta la collocazione in un rinnovato fronte riformista, che si può reinventare solo coinvolgendo il campo del socialismo europeo”.

A parte l’Europa, non le sembrano più urgenti le tante emergenze italiane?
“Per sciogliere i nodi della crisi italiana urgono scelte coraggiose. La prima urgenza mi sembra la legge elettorale. Spero che il dibattito sia liberato da logiche strumentali. Non è vero che chi vuole il sistema tedesco vuole anche cambiare alleanze”.

Qualche sospetto c’è, visto che avete sostenuto per anni il modello francese.
“Vede, il tema vero è come dare più forza al sistema politico-istituzionale, liberandolo dal giogo dei ricatti e dei veti incrociati, e poi come dare più forza e più stabilità ai governi”.

Questo ormai lo sostengono tutti...
“Non sarei così sicuro. C’è una corrente forte della società e dell’economia italiana che, al di là delle chiacchiere sulla cultura liberale, vuole in realtà un politica debole e sotto ricatto, per manovrarla a proprio piacimento. Comunque, in campo ci sono due proposte ragionevoli. La prima è il sistema tedesco, la forza del cancellierato, i grandi partiti, la riduzione della frammentazione, le soglie di sbarramento. Volendo, nulla impedisce di rafforzarlo ancora di più con l’obbligo di apparentamenti preventivi e non successivi al voto politico. La seconda proposta è il modello francese, che vuol dire semi-presidenzialismo, doppio turno uninominale e maggioranze fortemente coese”.

E qual è il migliore?
“Stabiliamolo insieme. Ma quello che dobbiamo evitare, è di imbarcarci nei soliti pasticci, nei soliti compromessi all’italiana. Ci vuole coraggio. Che c’è di male se il Partito democratico diventa il motore di un rinnovamento del sistema politico che riduce la frammentazione e stabilizza una volta per tutte il bipolarismo?”.

Niente di male. Ma bisogna vedere se questo si traduce in cambi di maggioranza...
“La scelta delle alleanze non dipende dalla legge elettorale, ma dalla capacità di costruire un accordo politico e programmatico. Anche col sistema tedesco si può fare un accordo con Rifondazione comunista. Io non voglio ribaltare certo le alleanze. Ma questo paese deve essere governato. Il Pd ha giustamente questa vocazione maggioritaria. A questo punto anche la sinistra radicale deve vivere il Pd come una sfida, e spero che Rifondazione si dimostri all’altezza. La cosa riguarda loro, e non c’entrano niente le presunte “intenzioni malevole” di Rutelli, Veltroni o altri”.

Lei non vede rischi di nuova instabilità per il governo?
“No. Come avevo previsto, si viene chiarendo che la costituente del Pd è fattore di stabilizzazione del governo, e non certo il suo contrario. Il resto sono alchimie da retrobottega”.

Quindi durerete fino a fine legislatura?
“Direi proprio di sì. Ma per questo dobbiamo concentrarci sul prosieguo della legislatura, che è lunga. Dopo aver affrontato con successo l’emergenze ereditate, ora dobbiamo superare l’angoscia del momento: non si procede pensando che tra un mese il governo va a casa perché c’è una crisi. Serve un pensiero lungo, non la nevrosi dei prossimi quindici giorni”.

D’accordo. Ma ora che deve fare il governo, di qui alla fine della legislatura?

“Prima di tutto, dobbiamo impostare riduzioni fiscali a vantaggio del lavoro e della competitività. Ma per farlo dobbiamo portare avanti anche la lotta all’evasione fiscale. Ed è mortificante per il paese che, mentre noi diciamo questo, la destra discute invece su come organizzare l’eversione”.

E le richieste di Confindustria? E Montezemolo, che continua a parlare di fisco come emergenza nazionale?
“Lo scambio proposto da Confindustria mi pare ragionevole: meno incentivi, meno fisco. Poi c’è la questione della semplificazione dei processi decisionali. E su questo Montezemolo ha perfettamente ragione: la capacità di decisione del sistema politico è intollerabilmente farraginosa, troppo imperniata intorno al processo legislativo. Qui siamo al paradosso che dobbiamo fare una legge anche per far cominciare l’anno scolastico. Insomma, quello che io chiedo al Pd e ai suoi leader è di tornare ad un dibattito sulle grandi questioni di fondo “.

Eppure Rifondazione comunista resta in allerta. Davvero non c’è un progetto per sostituirli con l’Udc?
“Senta, ho il cattivo vizio di considerare i numeri, innanzitutto. Con l’Udc e senza Rifondazione comunista non c’è un cambio di maggioranza, semplicemente non c’è più maggioranza. E poi vorrei ricordare che noi governiamo con un vincolo sottoscritto con gli elettori. Persino più forte di quello che avevamo in passato. Poi che dalla crisi del centrodestra possa venir fuori dal centrodestra una forza moderata che guarda al campo politico in modo più libero, questo è un altro discorso. Ma non c’entra niente con operazioni fatte alle spalle degli elettori”.

Perché Veltroni ha sentito il bisogno di dire che non andrà a Palazzo Chigi senza il sigillo di un voto popolare? Perché è dovuto andare da Prodi a rassicurarlo?
“Veltroni ha pronunciato parole estremamente giuste e sensate. Il suo discorso sgombra il campo dalle interpretazioni che legano il Partito democratico a operazioni di caduta del governo”.

Ma non tutti gli hanno creduto. Guardi Parisi... Non è che avete in mente un altro ribaltone tipo 1998?
“Il 1998 fu tutta un’altra storia. Intanto non facemmo certo noi cadere il governo ma fu Bertinotti. E poi allora non si potevano fare le elezioni anticipate, anche perché eravamo alla vigilia della guerra in Kosovo. Le parole di Veltroni non significano poi che se cade il governo non se ne possa fare un altro. E comunque io insisto: in questo momento il contributo forte del Pd è alla stabilità del governo. Questo mi sembra l’aspetto più importante che anche le frasi di Walter hanno confermato”.

A un passo dalla costituente di ottobre, non resta alta l’impressione di una costruzione verticistica?
“E’ un rischio dal quale ci si deve guardare. Il Pd deve rinnovare la classe dirigente, ma non è una palingenesi, né un’occasione per fare piazza pulita della politica italiana. Non si tratta di spazzare via qualcosa, ma di costruire un nuovo soggetto, a partire da quella generazione di trentenni e quarantenni che hanno voluto il partito democratico e che in gran parte del Paese sono già protagonisti della vita politica. Avranno il diritto di costruirlo, il nuovo partito, o si devono far da parte perché lo dice un anziano professore che crede di parlare a nome della società civile?”.

Finora secondo lei Veltroni ha lavorato bene come prossimo leader del Partito democratico?
“Ero e sono sempre più convinto che Walter fosse la personalità che meglio era in grado di fare innovazione senza invenzione. Di rinnovare il nostro sistema politico senza snaturarci e sradicarci dalle nostre tradizioni culturali. E’ una sfida anche per lui. Deve fare la sua partita politica, e a me pare che la stia giocando molto bene”

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