Intervista
5 dicembre 2007

Guai se l'Europa si divide su Kosovo e Afghanistan

Intervista di Claudio Sardo - Il Mattino


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L’Afghanistan, «Ci vuole un cambio di strategia nella missione internazionale: c’è una pluralità di attori e oggi si manifesta un certo scollamento tra azione militare e azione politica, tra lotta al terrorismo e iniziative per consolidare le istituzioni afghane. Ma il ritiro dei militari italiani non avrebbe senso. O meglio, non avrebbe alcuna ragione di politica estera». I Balcani. «L’Europa deve governare i rapporti tra Pristina e Belgrado evitando che riesploda una crisi. In prospettiva non vedo alternative ad un’indipendenza del Kosovo. Ma al Kosovo bisogna chiedere responsabilità. La Serbia non può uscire da questa vicenda umiliata e sconfitta, anche perché dovrà poi contribuire alla stabilizzazione della regione e rendere così concreta la prospettiva di un ingresso nell’Unione europea».

Massimo D’Alema, nel suo ufficio di ministro al primo piano della Farnesina, sta preparando il bilaterale Italia-Spagna che si svolgerà oggi a Castel dell’Ovo a Napoli. Romano Prodi e cinque suoi ministri incontreranno Luis Zapatero e i cinque ministri corrispondenti. Napoli è «la più spagnola delle città italiane» sorride D’Alema. E forse mai come adesso i rapporti tra i due governi sono stati così intensi. Si può dire che quasi non c’è dossier internazionale in cui Italia e Spagna non giochino in squadra. Afghanistan e Kosovo, comunque, sono già segnati in rosso come i temi più spinosi sul tavolo, Anche se D’Alema e il suo collega Angel Moratinos hanno un punto fermo: «L’Europa deve restare unita ed esprimere una linea comune su entrambi i dossier. Ne va della stessa possibilità di un esito positivo».

Ministro, Enel ha acquisito Endesa, Telefonica è entrata in Telecom. Le buone relazioni politiche con la Spagna hanno prodotto alleanze strategiche anche in settori economici di punta. Si parlerà anche di questo nel vertice di oggi a Napoli?
«Certo. L’interscambio Italia-Spagna vale due punti e mezzo di Pil. La Spagna è uno dei Paesi che corre di più in Europa (più 3,8%) e nei primi nove mesi del 2007 le esportazioni italiane sono cresciute del 18%, a fronte di una crescita delle importazioni del 9%. Le relazioni diplomatiche, insomma, non sono separate da un tessuto imprenditoriale e sociale sempre più fitto. E in proiezione futura c’è un crescente impegno comune in America Latina».

La Spagna è presente lì da qualche secolo...
«Noi invece negli ultimi anni stavamo scomparendo. Uno dei frutti della politica estera di questo governo è la nuova presenza in America Latina. Attraverso Endesa, Enel sarà il primo distributore di energia elettrica nel Continente. E tutto ciò sta avvenendo in collaborazione, non in competizione, con il governo di Madrid, come dimostra la nostra presenza come invitati permanenti alla Cumbre latinoamericana: chi conosce la Spagna sa quanto sia gelosa di questa istituzione».

Italia e Spagna sono due Paesi fortemente europeisti. Vi state preparando all’Europa del dopo Trattato?
«È convinzione di Italia e Spagna, oltre che un nostro comune interesse, che quella di domani non sia un’Europa dei direttori, ma un’Europa di istituzioni forti e rappresentative. Non si governa una realtà così complessa con un direttorio. Le istituzioni devono funzionare: questo è il nostro obiettivo. Poi, all’interno delle istituzioni, si potranno realizzare cooperazioni rafforzate - previste dal nuovo Trattato - tra alcuni Paesi, in modo da trainare il processo di integrazione. Con la Spagna abbiamo già importanti cooperazioni nella difesa e nelle missioni internazionali. E altrettanto abbiamo in programma di fare sulle politiche dell’immigrazione».

La Francia ha proposto una Unione tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Nascerà una nuova, autonoma istituzione internazionale
«L’Unione mediterranea non può essere una nuova istituzione internazionale. Con Spagna e Francia ovviamente stiamo lavorando per spostare verso Sud l’attenzione dell’Ue, ma a mio parere occorre partire dalle forme di collaborazione già esistenti tra le due sponde del Mediterraneo. Tra l’altro gli stessi Paesi interessati chiedono piuttosto che queste funzionino meglio e venga data più concretezza agli strumenti esistenti, ad esempio in tema di finanza, di sicurezza, di flussi migratori, di università».

Tra le aree di crisi in cui Italia e Spagna lavorano insieme, non vi è solo il Kosovo e l’Afghanistan ma anche il Libano, Paese che sta vivendo un periodo di forti tensioni politiche legate alle elezioni presidenziali.
«In questi giorni sembra essersi aperta una speranza. La candidatura del generale Michel Suleiman può ricomporre la frattura nella comunità cristiana e, al tempo stesso, trovare una convergenza dell’opposizione. E un nome che avevamo proposto insieme a Moratinos e Kouchner per favorire quell’intesa che è condizione per la stabilizzazione del Paese. Ci avevano risposto che non si poteva eleggere Suleiman per un divieto costituzionale. Ora si pensa di cambiare la Costituzione».

Ma il rischio che riesploda la guerra civile è sempre alle porte.
«La missione Unifil guidata dal generale Graziano, e sostenuta con grande impegno dalla Spagna, ha già prodotto un risultato straordinario: la fine della guerra, dei bombardamenti, dei lanci dei missili. E’ una missione che riscuote grandi consensi in Libano, anche fra la popolazione civile. Non solo, ma è ragione di riconoscenza anche degli israeliani verso di noi».

Non va così in Afghanistan. E il rischio è che la maggioranza di governo non regga al prossimo rifinanziamento della missione.
«Noi lavoriamo ad un cambio di strategia. Ci stiamo concentrando in particolare su due obiettivi. Primo: una conferenza internazionale, che coinvolga tutti i Paesi della regione e che riaffermi le priorità del progetto politico di ricostruzione dell’Afghanistan. Secondo: la nomina di un inviato speciale dell’Onu, una personalità politica di rilievo che, anche agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, sia il segno tangibile dell’impegno della Comunità internazionale a favore della società afghana».

Il governo comunque si troverà di fronte ad una parte della sinistra radicale che chiederà il ritiro delle truppe italiane.
«Abbiamo ritirato le truppe dall’Iraq per marcare un dissenso dalla "coalition of the willings". Noi siamo per il multilateralismo. La missione in Afghanistan non solo ha alle spalle un mandato Onu, ma anche il sostegno di Russia, Cina e Iran, che certo non chiedono ai Paesi della Forza multinazionale di ritirarsi. Per di più la missione è a guida Nato, istituzione nella quale svolgiamo un ruolo attivo. Tanto che l’ammiraglio Di Paola è stato appena eletto alla guida del Comando militare. A proposito di quelli che da noi dicono che l’Italia non conta nulla...»

Zapatero è il capo del partito socialista spagnolo. Un partito dalla forte identità, con alle spalle una storia di dure contrapposizioni con la destra. Non teme che, al di là delle cortesie diplomatiche, i socialisti spagnoli opporranno resistenze alla richiesta del Pd di cambiare nome al Pse per creare un nuovo contenitore del centrosinistra europeo?
«Zapatero è un uomo aperto e un leader moderno, apprezzato dal suo popolo, come dimostrano i sondaggi che lo danno in testa in vista delle elezioni politiche di marzo. E’ stato il primo premier socialista a ricevere Walter Veltroni. E nell’ultimo vertice dei socialisti europei, in cui Prodi ed io abbiamo parlato delle primarie e del progetto del Pd, è stato tra i più interessati e disponibili. Ha detto che dobbiamo lavorare insieme. E che bisogna fare di tutto perché il Pd italiano e le forze socialiste europee costruiscano insieme un nuovo soggetto politico capace di raccogliere le forze del centrosinistra. Siamo alleati anche in questo».

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