Intervista
4 gennaio 2008

L'Italia ora conta nel mondo, finiamola con gli autolesionismi

Intervista di Claudio Rizza - Il Messaggero


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Massimo D’Alema esplora l’anno che verrà. Non guardando nella palla di vetro, non è certo il suo stile anche se è tempo di oroscopi. Il ministro degli Esteri sta ai fatti e guarda i bilanci, politici e non. Alla faccia dei disfattisti, vede con orgoglio l’Italia in un ruolo internazionale di primissimo piano, e se l’export sale in un anno del 12 per cento vorrà pur dire qualcosa. Incoraggia Prodi al dialogo con le forze sociali per siglare un “patto” che rimpolpi i salari e aumenti la produttività; spinge il Parlamento a fare le riforme invitando palazzo Chigi a starne fuori. I piccoli partiti, irritati dalla legge elettorale, ricattano Prodi e il governo? D’Alema dice di non aver sentito nulla del genere: «Ho problemi d’udito». Strano, perché s’accorge subito del tasto del registratore che scatta quando la cassetta arriva a fine corsa.
«Che anno sarà? Importante e anche difficile. Per la situazione internazionale, innanzitutto. E’ l’ultimo anno dell’amministrazione americana, un anno di transizione, in cui non è facile ottenere dei risultati, si accumulano delle tensioni...».

Pensa alla Palestina?
«Penso a tutto. In Medio Oriente il negoziato è molto difficile, speriamo che nei prossimi giorni la visita di Bush possa sbloccare le cose, che non si sono avviate in modo così brillante. Non passa giorno che non ci siano morti a gaza. e poi ci sono le nuove gravi decisioni di estendere gli insediamenti».

Per non parlare di Pakistan e Afghanistan.
«L’aggravarsi drammatico del nodo asiatico invita ad un ripensamento, al rilancio delle ragioni della missione internazionale in Afghanistan. E non dimentichiamo che si trova proprio in Pakistan il focolaio più pericoloso del fondamentalismo. La guerra in Iraq ha distolto l’impegno internazionale in quell’area cruciale. Non a caso partì da lì l’attacco alle Twin Towers».

A febbraio si dovranno rifinanziare le missioni all’estero. Si riballerà in Parlamento sull’Afghanistan?
«Spero non succedano pasticci, servirà una riflessione seria. E’ ragionevole arrivare ad una conferenza internazionale, ormai anche i paesi più riluttanti hanno cominciato a muoversi. E poi c’è il processo di riconciliazione nazionale, in cui è impegnato lo stesso Governo afgano. Se si deve trovare una via d’uscita, bisogna avviare processi politici, usare la forza quando necessario, prospettare negoziati quando opportuno, naturalmente a precise condizioni».

Poi c’è il guaio-Kosovo.
«E’ una vicenda delicata, che impegnerà l’Europa. E’ importante per la stabilità dell’Europa e anche per la capacità di gestire vicende che ci coinvolgono. La Ue deve prendere in mano questi processi, il rischio maggiore è che la crisi del Kosovo possa frenare il processo di integrazione dei Balcani Occidentali».

E in tutto questo l’Italia che ruolo gioca?
«L’Italia ha una responsabilità e un peso importanti. Questo va sempre ricordato. La consapevolezza delle nostre potenzialità e l’assunzione di responsabilità è stato il tema del messaggio del capo dello Stato».

Che lei condivide.
«Bisogna avere il senso di ciò che siamo. Invece spesso mi capita spesso di notare il contrario. Siamo membri del G8, in questo momento membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, facciamo parte del Consiglio Esecutivo dell’Unesco, di quello per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, c’è un Ammiraglio italiano Presidente del Comitato militare della Nato, un ministro italiano a capo del Comitato ministeriale del Fondo monetario internazionale. Siamo i sesti contributori per le missioni internazionali e al bilancio delle Nazioni Unite. Tutto questo delinea l’Italia come uno tra i Paesi più importanti sulla scena internazionale. Questa sensazione, che a volte c’è, di essere periferia del mondo è perciò radicalmente sbagliata».

Orgoglio nazionale poco, sciovinismo zero.
«Aggiungo un dato: l’enorme influenza di carattere culturale, civile che abbiano nel mondo. E la carica di simpatia. Ne dovrebbe derivare una responsabilità della classe dirigente. La proiezione internazionale del nostro Paese è accresciuta notevolmente, non è vero che siamo chiusi in noi stessi. L’export è salito in un anno del 12%, un vero balzo. E questo dopo che si era teorizzato, in un dibattito autolesionistico, che avevamo perso capacità competitiva. Le sfide sono difficili, non c'è dubbio, ma possiamo vincerle».

Non si diceva che la globalizzazione ci avrebbe stritolati?
«Era vista come una minaccia, abbiamo passato anni a parlare di dazi e barriere. Stupidaggini. Invece abbiamo riaperto un rapporto con l’Asia, con l’America latina. Le nostre potenzialità sono grandi, dobbiamo saperle sviluppare al meglio».

Difficoltà comunque ce ne sono.
«Siamo anche un Paese meno protetto del passato, chiamati a misurarci con le nostre forze, siamo più esposti come sistema paese, certo».

E c’è una fragilità politica.
«La fragilità interna è un problema. Uno prende impegni, che in politica internazionale non sono mai a breve termine, e la gente si domanda se tra tre mesi sarai sempre lì».

E’ l’incubo delle elezioni anticipate.
«Siamo chiamati ad uno sforzo di responsabilità. Il chiacchiericcio sulle elezioni è deleterio. Le elezioni non servono, sono un danno per il Paese. Riprodurre le elezioni con il sistema elettorale bocciato da tutti sarebbe folle. La legislatura deve andare avanti e vanno fatte le riforme necessarie».

Ha verificato se sul presidenzialismo c’è stato impazzimento o meno?
«Nel merito non c’è scandalo. Ricordo che nel ’95 mi dichiarai disponibile ad un governo Maccanico che avrebbe avuto nel programma riforme sul modello semipresidenziale francese. Il tentativo fallì a causa dell’onorevole Berlusconi. In Bicamerale era prevista l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Fallì a causa dell’onorevole Berlusconi. Si potrebbe dire che senza Berlusconi ci sarebbe già il presidenzialismo».

Insomma, tempo perso.
«C’è stato un giro di consultazioni promosso dal leader del pd. E' stata presentata la proposta Vassallo. I risultati di questo lavoro sono stati offerti ai presidenti delle commisisoni di Camera e Senato come base dell'opera del parlamento. Si sta lavorando a una legge elettorale proporzionale con sbarramento e con correttivi e su una riforma costituzionale che prevede il cancellierato e la sfiducia costruttiva. La strada indicata per la ricerca di un accordo è questa . non mi sembra utile ricominciare da capo».

Ora quale ruolo può avere Prodi? Prima sembrava che il governo stesse fuori dalle riforme, ora i piccoli partiti s’appellano al premier per essere aiutati da lui.
«Nessun ruolo. Le riforme sono incardinate nel processo parlamentare, un orizzonte molto più ampio di quello del governo. Il governo deve governare il Paese. Non è compito di Prodi né di nessuno proteggere i partiti minori, anche perché nessuno li vuole aggredire. Semmai devono essere incoraggiati a cambiare».

Hanno paura dello sbarramento, no?
«Lo sbarramento deve essere inteso come lo stimolo a un processo di riorganizzazione del campo politico. Siamo tutti chiamati a metterci in discussione, bisogna vincere la pigrizia. Lo spirito delle riforme si applica innanzitutto a se stessi, se uno vuole mantenere l’esistente non fa le riforme. Noi con il Pd abbiamo dimostrato che si può fare».

E di Berlusconi che dice?
«Ha mostrato dinamismo e fiuto politico, ha capito che il perno del sistema che si riorganizza saranno i partiti moderni, in cui c’è una forte carica di personalizzazione, di leadership, come accade in tutti i paesi europei. E ha capito che con la nascita del Pd anche il centrodestra aveva bisogno di ripensare se stesso».

Magari poteva farlo assieme agli alleati, avvisandoli.
«Non mi occupo di convenevoli. Se gli alleati se lo tengono vuol dire a che a loro piace così, rude».

Ma, insomma, sulle riforme chi guida la baracca? Veltroni?
«Le responsabilità sono del Parlamento e Veltroni ha la responsabilità primaria perché dirige il partito col maggior numero di parlamentari e infatti ha dato l’innesco al processo, facendo una proposta, incontrando i leader. Tutto ciò è già accaduto e gli effetti di quelle azioni sono in Parlamento, è lì che si approvano le riforme, non nelle interviste o stando dietro alle battute».

Ci avviciniamo alla verifica, o come la si vuole chiamare. Che consiglio dà a Prodi?
«Le ipotesi lanciate dal presidente del Consiglio sono molto convincenti, bisogna cercare di irrobustirle. E’ giusto che Prodi prenda lui l’iniziativa, individuando gli obiettivi prioritari. Il problema più grave è un malesse sociale diffuso».

E l’aumento del petrolio non aiuta.
«Spero che gli americani vogliano prendere un’iniziativa per mettere in campo, se necessario, le loro riserve. C'è poi il quadro generale di una crescente difficoltà di rapporti con il mondo islamico che occorre superare.

Quindi, rilancio di consumi e salari, abbassando le tasse?
«Prodi proponga un nuovo patto sociale. Bisogna mobilitare le forze, le energie del lavoro e dell’impresa. Più salario e più produttività. E un sistema contrattuale che aderisca di più alla realtà, cioé una contrattazione più vicina ai luoghi di produzione».

Abbassare le tasse, ok. E se Padoa Schioppa dice che i soldi sono pochi?
«E’ il guardiano dei conti, fa il suo mestiere. Ma è il capo del governo che decide».

E di Dini che dice? Siete appesi ai suoi voti.
«Siamo permanentemente a rischio sui numeri. Conosco Dini da molti anni, è uno ragionevole, coerente sulle scelte. Le sue sollecitazioni sono importanti, ma il Paese non potrebbe capire una posizione distruttiva».

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