Intervista
10 febbraio 2008

«Siamo noi la novità, quello di Berlusconi è un guazzabuglio»

Intervista a l'Unità tratta dalla videochat con il direttore Antonio Padellaro


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Ringraziamo Massimo D’Alema - dice il direttore dell’Unità, Antonio Padellaro - per aver accettato il nostro invito e gli rivolgiamo subito le prime domande dei nostri lettori.

Il Pd può vincere le elezioni? Andare da soli non comporterà una sconfitta annunciata? D’Alema scommetterebbe sulla vittoria del Pd?
«Il Pd è certamente nelle condizioni di vincere. È una sfida difficile, Veltroni ha detto Davide contro Golia, in fondo anche quella era una sconfitta annunciata e diventò un successo. Per capire perché il Pd può vincere, occorre fare un’analisi dinamica della
situazione. Ogni giorno ci riserva novità politiche. Il che dimostra che una visione statica, e una previsione fondata sulla somma della forza presunta di ogni partito, è una chiave di analisi sbagliata. C’è enorme stanchezza nei confronti di un sistema politico frammentato, litigioso. E c’è un elettorato che si è messo in movimento. Il Paese cerca una guida forte e, insieme, una speranza di futuro. Se il Pd intercetta queste domande, il panorama politico può cambiare. L’azzardo e l’innovazione possono essere le chiavi per vincere una sfida che non si vince, invece, sommando i vecchi frammenti. Berlusconi, infatti, che ha fiuto, insegue il Pd. Come non avveniva da moltissimi anni, la destra è costretta a inseguire il centrosinistra sul piano dell’innovazione. Cosa determinerà questo ancora non lo sappiamo. Ma il terremoto ci dà il senso che l’iniziativa del Pd determina un dinamismo che è tutt’altro che un elemento statico».

Tuttavia bisogna fare i conti con la forza dei numeri. La Cdl è vicina al 50%, mentre la somma Ds-Dl alle ultime elezioni si aggirava intorno al 30%...
«Berlusconi sta cercando di dar vita a una lista unica nella quale dovrebbero confluire Fi, An, Mastella, Dini, Storace, la Mussolini. A parte l’estetica di questo guazzabuglio, quale possa essere l’impatto elettorale dell’operazione è da vedere. In questo caso ci sono delle somme che possono funzionare come sottrazione. Come si comporterà l’elettore medio di An di fronte alla candidatura di Mastella? Difficile prevederlo. Bisognerà attendere un assestamento. Poi si faranno i sondaggi e si cercherà di capire. La cosa appassionante di questa fase è che siamo davanti a una disaggregazione e riaggregazione dell’offerta politica e questo potrà certamente incidere sugli orientamenti. Siamo di fronte a una novità, questo metterà in movimento molti voti».

E il Pd dove andrà a prendere i suoi voti?
«Nell’elettorato del centrodestra, innanzitutto. Il Pd farà il pieno del centrosinistra, ma sarà sicuramente in grado di intercettare il voto alla Cdl, in particolare a Forza Italia, di giovani, ceti urbani, persone che vogliono cambiare il Paese e che hanno pensato che Berlusconi fosse l’uomo giusto per farlo. Oggi, in realtà, per quanto si muova con dinamismo e cerchi di lavorare sul piano dell’immagine, il ritorno di Berlusconi con tutta la comitiva del ‘94, appare la cosa più vecchia che si possa proporre».

Casini, a quanto pare, non dovrebbe far parte del Partito delle libertà. Ha perso l’occasione di un governo Marini, facendosi trascinare da Berlusconi?
«Casini non ha avuto il coraggio di rendersi autonomo e di essere coerente. Aveva parlato di governo di “responsabilità nazionale” e voleva una legge elettorale proporzionale con lo sbarramento. Il governo Marini poteva dargliela. Casini, però, non ha avuto il coraggio di conquistare la libertà e ora Berlusconi lo ha messo in libertà. Ora gli toccherà impegnarsi per farsi accettare da Berlusconi».

Quindi?
«Parecchio tempo fa dissi che il bipolarismo italiano si sarebbe riassestato tra due
grandi partiti. Il primo era il Pd, l’altro avrebbe potuto nascere dall’incontro tra An e Forza Italia. Tra questi due grandi partiti inevitabilmente ci sarebbe stata un’area di moderatismo, soprattutto cattolico, in cerca di collocazione. Mi sembra che sia lo scenario ora delineato. In quest’area ci sono due tendenze. Una è quella di Tabacci e Baccini che cercano di costruire una terza forza. Secondo me questa non ha un grande spazio elettorale, non credo che in Italia torneremo ad avere una Dc. Casini, invece, cerca disperatamente di rimanere aggrappato a Berlusconi anche a costo di umiliazioni gravi. Lì, indubbiamente, si è aperta una partita. O Casini ha il coraggio, per una volta, di scegliere la libertà o rischia che una parte dei suoi elettori scelga la libertà e che l’offerta della cosiddetta Cosa bianca diventi competitiva. Non so, quindi, se potrà accettare una collocazione del tutto subalterna. Perché una cosa è l’alleanza a quattro, altra cosa è che ci sia un grande partito guidato da Berlusconi, che ingloba da Mastella a Storace, e poi una ruota di scorta. Perché in un contesto simile il ruolo dell’Udc diventerebbe molto umiliante».

Il tentativo di Marini era fallito in partenza o c’era la
possibilità che andasse in porto?

«Non ero ottimista. Marini fin dal primo momento ha puntato a un governo di larga coalizione, com’era anche ragionevole, e io penso che questo sarebbe stato utile per il Paese. Berlusconi ha commesso ancora una volta un errore. Sicuramente sotto il
profilo degli interessi del Paese. A volte è talmente preso dalla ricerca dell’interesse proprio che finisce perfino per non raggiungerlo. La crisi del governo Prodi non era soltanto di un esecutivo, ma quella di un certo tipo di bipolarismo, la fine di una fase politica. Berlusconi ha tradotto tutto questo così: “ha fallito la sinistra, torno io, è la mia rivincita”. Ma non è vero, è un errore di analisi. Il governo Prodi ha governato piuttosto bene, nei limiti di una situazione diventata insostenibile, per via di una governabilità basata su coalizioni disomogenee e rissose. Ma questo vale sia per la sinistra che per la destra. Guardiamo i giornali e lo scontro che c’è nel centrodestra, proiettiamolo nel governo del Paese e proviamo a immaginare cosa potrebbe produrre. Ecco la forza della scelta del Pd. Siamo di fronte a una crisi di sistema. Per questo avevamo proposto una fase limitata di collaborazione tra le grandi forze politiche per fare le riforme essenziali, un governo di un anno che cambiasse la legge elettorale e la Costituzione. Dopo si sarebbe potuto tornare a votare. Berlusconi non lo ha voluto».

Dentro Forza Italia c’era chi voleva imboccare quella strada...
«Sì, c’era chi lo voleva, solo che anche qui siamo di fronte a qualcosa che non è nuovo. Pensate come sarebbe cambiata la storia del Paese se nel ‘95-’96 Berlusconi avesse accettato di fare il governo Maccanico e la riforma di tipo francese, il semipresidenzialismo. Avremmo avuto un Paese molto più forte sul piano politico istituzionale. Perfino lui avrebbe potuto governare meglio. Nel dire no, quindi,
Berlusconi ha finito per danneggiare anche se stesso. Pensate se si fossero
fatte le famose riforme della Bicamerale: una sola Camera legislativa, dimezzamento del numero dei parlamentari, ecc. Ogni volta che Berlusconi si è trovato davanti alla possibilità concreta di fare qualcosa di buono per il Paese, e di trovare una interlocuzione civile con gli avversari politici, è stato tentato ma poi non l’ha fatto. In lui, alla fine, prevale sempre la pulsione più estremistica».

Molti si interrogano sulla rottura con la Sinistra arcobaleno. Paolo Cragnolini ti chiede: “perché sostenere una linea che divide la sinistra e consegna l’Italia al centrodestra?”.
«Abbiamo il dovere di offrire una prospettiva seria e coerente di governo. L’argomento più forte che si usa per difendere la coalizione che abbiamo avuto fino a oggi è: “dobbiamo difendere l’Italia dalla destra”. In realtà, chi si candida a governare non lo fa per difendere il Paese da qualcuno, ma per un progetto positivo. Purtroppo, il progetto positivo dell’alleanza con la sinistra più radicale si è consumato in una fatica del governare che il Paese non accetta più. Noi, voglio ricordarlo, abbiamo fatto un accordo con i lavoratori e con i sindacati che ha aumentato le pensioni minime e ha messo in campo risorse per i giovani precari. Un accordo votato da 5 milioni di persone e contro il quale, vorrei ricordarlo, una parte del governo ha organizzato una manifestazione nazionale. Ma pensiamo veramente
che questo non abbia appannato gravemente l’immagine del governo? Il governo ha fatto tante cose buone, ma è stato debole nel rapporto con il Paese, il suo livello di popolarità è stato molto al di sotto di ciò che meritava. Per via dell’enorme contrasto tra i risultati concreti e la quotidiana litigiosità».

Vale anche per la politica estera?
«Noi abbiamo fatto una politica estera coraggiosa. Abbiamo anticipato il ritorno al multilateralismo e al dialogo. Ma la politica estera di questo governo, che pure ha avuto il coraggio di una posizione autonoma, è stata bocciata in Parlamento, perché alcuni della maggioranza hanno votato contro. Legittimamente c’è chi ha in mente
qualcosa che è del tutto incompatibile con l’azione di governo che si può fare in Europa. Bertinotti è così entusiasta della prospettiva di andare separati perché sente di potersi liberare da un peso, da un vincolo che è una costrizione rispetto alla visione di una sinistra critica. Non è un caso che in tutti i Paesi europei il centrosinistra riformista e di governo sia separato dalla sinistra più radicale. Io penso che sia abbastanza normale che sia così anche in Italia. Il che non significa che non potranno esserci occasioni per lavorare insieme, momenti per convergere. Ma, onestamente, se dovessi prospettare al Paese una governabilità faticosa e litigiosa non sarei sereno con me stesso. Noi dobbiamo prospettare una linea di governo coraggiosa. In cui ci sia la giustizia sociale ma anche la liberalizzazione e la modernizzazione del Paese. E per fare questo abbiamo bisogno di dispiegare compiutamente il progetto innovatore del Partito democratico, non possiamo pensare adesso di avere tre settimane di negoziati, per scrivere centinaia e centinaia di pagine di programma, per calibrare le parole, per dire e non dire. Questo guazzabuglio lasciamolo fare a Berlusconi. Noi puntiamo a mettere in campo un progetto di governo per il Paese. E questa scelta non è solo coerente con l’idea di fare il Partito democratico, ma è quella che anche elettoralmente può scompaginare iil campo. Con un progetto chiaro. Se qualcun altro lo vuole sostenere, benissimo. Ma non con il metodo delle estenuanti mediazioni. D’altra parte c’è anche la volontà della sinistra più radicale di mettere in campo un proprio progetto. La trovo comprensibile in difinitiva»

Fabio Mussi, intervistato da l’Unità, sospetta la grande coalizione e avverte che
liquidare il centrosinistra è un’azzardo. Non si poteva fare in modo che
Mussi rientrasse nel Pd?

«Nessuno gli ha impedito di rientrare. Io continuo a essere dispiaciuto e credo che Fabio e altri compagni abbiano fatto un errore. Personalmente non credo sia stato un azzardo superare questa fase del centrosinistra. D’Altra parte il centrosinistra siamo noi. Il Pd è il centrosinistra. Non è un’idea di autosufficienza, ma quello che avviene grosso modo in tutti i paesi euroepi. Noi siamo, cioè, un moderno centrosinistra in cui le idee della sinistra e i suoi valori si incontrano con quelli di un centro moderno e innovatore. L’altra parte dell’intervista di Fabio invece contiene una piccola malignità e alimenta una cultura del sospetto: “hanno liquidato la sinistra perché vogliono andare con Berlusconi”. Questo lo si può perdonare per quella punta di acidità che le separazioni portano con sé e perché siamo alla vigilia della campagna elettorale. Mentre io sarei stato favorevole a fare un governo di responsabilità nazionale oggi, non c’è il minimo dubbio che, se si va alla sfida con questa legge elettorale, l’unica cosa che dopo non ci sarà sarà la grande coalizione. Perché se vince il Pd avrà il premio di maggioranza. E Fare un governo con Berlusconi è già difficile di suo, quando è inevitabile, e con il 55% non vedo perché qualcuno dovrebbe andare a cercare Berlusconi. Se vencono loro, invece, avranno tante bocche da sfamare, con tutta questa comitiva che stanno mettendo insieme, che certamente non verranno a cercare noi. Sinceramente, quindi, questo timore di grande coalizione mi sembra una sortita propagandistica.

Le leggo un’altra domanda: “Caro presidente, credi che il Pd debba accettare
eventualmente ministeri da Berlusconi? Sul modello Sarkozy c’è la possibilità che anche Berlusconi possa fare campagna acquisti”?

«Di acquisti ne ha fatti diversi. Certo saranno in difficoltà a dire male del governo Prodi, visto che metteranno in lista ministri e sottosegretari di quel governo! Aquisti ne fa, ma che possa mettere personalità del Pd nel suo governo...non ne vedo disposti ad accettare. Sarkozy? Di volta in volta ci si innamora di uno o dell’altro. Ho letto una notizia che non ha trovato spazio sui nostri giornali. Ci sono state le elezioni suppletive a Chartres, e i socialisti che pure sono piuttosto malmessi, hanno vinto a mani basse, e in una circoscrizione che sicuramente non era di tradizione socialista. Il che è un segnale che Sarkozy è molto popolare in Italia, ma in Francia un po’ meno».

Un altro lettore si dichiara dispiaciuto perché il Pd perde l’appoggio dei radicali. Come la vede?
«Io penso che siamo in tempo, con i socialisti, con personalità radicali, ecc., ad aprire le nostre liste. Sarei contrario a ricostituire la logica di una coalizione partitica perché, ripeto, noi non siamo mossi dall’idea di rompere con la sinistra e poi di fare un caravanserraglio di centro. Vorrei dire, poi, che i socialisti sono nel Partito democratico. Io sono vicepresidente dell’Internazionale socialista, il Pd è aperto ai socialisti. I socialisti sono nel Pd e possono presentarsi nelle liste del Pd. Per me, poi, il meccanismo non deve funzionare come in passato: facciamo una lista unitaria e poi produciamo 4-5 gruppi palamentari in cui rinasce il parapiglia. Il sistema per cui si sta insieme il tempo di una campagna elettorale e poi dal giorno dopo ci si ridivide è intollerabile. Io sarei favorevole a una riforma dei regolamenti: se ti presenti sotto un certo simbolo in Parlamento devi stare sotto quel simbolo. E, a proposito della lista unitaria di Berlusconi, vorrei capire se il giorno dopo avremo il gruppo parlamentare di Mastella, quello di Fini, quello di Dini. Allora oltre a un
guazzabuglio è una finta».

L’offerta è anche a Pannella? Qualcuno dice che la sua personalità debordante potrebbe creare qualche problema...
«Pannella è parlamentare europeo, svolge con grande passione il suo mandato. Non ho nulla da dire su Pannella, gli voglio bene. È una personalità debordante. Spesso si può o no essere d’accordo con lui, ma non si può negare che ha segnato una lunghissima vicenda della politica italiana. Quando si è votato all’Onu la moratoria per la pena di morte, prima ho telefonato a Prodi e subito dopo a lui. Sono amico di Pannella, ma anche lui non può essere l’uomo di tutte le stagioni. Lui è il padre di quel partito, però li dovrebbe anche far camminare da soli. Emma Bonino è una donna che ha dato veramente un contributo importante, abbiamo ottenuto insieme dei risultati straordinari. Se le esportazioni italiane sono cresciute in un anno del 12% rispetto al governo Berlusconi, che ci lasciò con le gomme a terra, è stato anche grazie a un mix di politica estera che ha riallacciato i rapporti con il mondo. Noi abbiamo bisogno del contributo di Emma Bonino. Mentre abbiamo meno bisogno di avere l’apparentamento. Queste cose qui non servono più».

Parlavamo della sinistra radicale, ma il governo l’hanno fatto cadere Mastella e Dini. Prodi ha fatto miracoli, ma era in una situazione di difficoltà costante. Non ci si poteva sforzare di tenere in piedi l’esecutivo fino a fine legislatura?
«Sull’Italia ho letto un breve editoriale del Financial Times che secondo me era perfetto. Diceva che la situazione politica italiana è un disastro, che il Parlamento è
frammentato e che in questo contesto, pur alla guida di una maggioranza spezzettata e litigiosa, il governo Prodi ha ottenuto risultati abbastanza incredibili. E che prima, invece, Berlusconi si era occupato solo dei suoi problemi personali. Io credo che il governo Prodi a un certo punto doveva prendere atto che si era chiusa una fase e doveva cercare di aprirne un’altra, legando di più il suo destino al processo delle riforma elettorale e di quelle costituzionali. Al di là di questi aspetti, però, io penso che il governo abbia retto e fatto bene, nei limiti di una situazione in cui non è facile governare e non sai se domani avrai il voto in più senza il quale casca una finanziaria».

Un’altra mail, “una decisione forte sarebbe indire primarie per le candidature”. Cosa ne pensa?
«Io non sono contrario in linea di principio alle primarie. Naturalmente dobbiamo considerare che cosa può voler dire organizzarle con le elezioni fissate il 13 aprile. Se devono essere primarie vere cioè, altrimenti rischiamo di favorire veramente il ceto politico. O noi, quindi, siamo in grado di organizzarle in modo tale che la gente possa farsi conoscere, ma ci vuole tempo, oppure nell’emergenza di una campagna elettorale dobbiamo cercare di consultare in modo largo, di raccogliere idee e proposte per rinnovare. Penso, soprattutto, che dobbiamo darci un obiettivo molto forte: nei gruppi parlamentari uscenti le donne sono il 17%, inaccettabilmente poco. Dobbiamo quantomeno raddoppiare questa quota. E se noi lavoriamo per rinnovare le liste promuovendo personalità nuove, consultando largamente i nostri iscritti e raddoppiando il numero delle donne, io credo che otterremmo un buon risultato. Io sono per mettere, poi, a regime un sistema di primarie, con la definizione di regole, che possano effettivamente offrire pari opportunità a tutti quelli famosi o no che vi vogliono partecipare».

Il messaggio di uno studente albanese: “cosa farà l’Europa senza una persona
come lei, impegnata a fondo per risolvere la crisi del Kosovo?”

«Speriamo che in Italia ci sia un nuovo ministro degli Esteri che si rimetta a lavorare per un accordo tra Serbia e Kosovo. Nel frattempo, per il disbrigo degli affari correnti, ci sono ancora io. L’indipendenza del Kosovo appare una prospettiva non evitabile. C’è una fase transitoria che entro qualche anno dovrà finire e non si può pensare che il Kosovo torni sotto la sovranità serba. Però questa indipendenza va costruita nella tutela dell’orgoglio e dei diritti della Serbia, dei diritti delle minoranze serbe che vivono nel Kosovo, dei luoghi sacri della religione ortodossa. Un processo molto complesso che richiederà una forte responsabilità da parte dell’Europa, infatti noi abbiamo varato una missione europea che dovrebbe sovraintendere e che soprattutto dovrà accompagnarsi a quel necessario allargamento dell’Ue che è la vera soluzione della questione balcanica».

Ultima domanda: i suoi rapporti con Veltroni. C’è un problema?
«No, questo fa parte dello sceneggiato quotidiano. Sul nodo politico essenziale, sul
fatto cioè di andare a elezioni puntando sulla novità del Pd e non sulla ricostruzione di una coalizione di centrosinistra, io sono assolutamente d’accordo con Veltroni e con una scelta coraggiosa che sostengo pienamente. Sul resto c’è molta paccottiglia, molta fantasia. D’Alema e Veltroni sono due protagonisti della vita politica italiana, si conoscono da 35 anni. In questo momento Veltroni è il leader del Pd, il nostro candidato a governare il paese, e certamente da parte di D’Alema non avrà che sostegno. E ritengo che questo sarà anche utile, perché so che quando mi impegno in una battaglia, mettendoci la forza politica e i collegamenti che ho, questo è utile. A Walter darei un grande consiglio: il tema fondamentale sarà dire alla gente che noi vogliamo fare in modo che possa vivere meglio. Ho visto un titolo oggi che diceva che Rifondazione vuole mobilitare Cipputi contro il Pd. Io dico che siamo noi che vogliamo rappresentare Cipputi. Le tasse, ad esempio, si dovrebbero abbassare fin da subito, anche perché ci sono i soldi. Il governo Prodi li aveva messi da parte per questo. In Finanziaria c’è una norma che stabilisce che l'extragettito va utilizzato per ridurre le tasse. Questa è una cosa che andrebbe fatta subito. D'altra parte Veltroni l'ha proposta nei giorni scorsi. Ecco, vogliamo ridurre le tasse, vogliamo consentire alla gente di avere un salario più dignitoso e da qui dobbiamo ripartire. Noi vogliamo un paese che funzioni. Adesso davvero bisogna scandire un progetto di governo e farlo dalla parte dei cittadini e dei loro bisogni e delle loro sofferenze. Questo Walter, forte oltretutto dell’esperienza di sindaco, credo che lo saprà fare benissimo».

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