Intervista
14 febbraio 2008

Sulle missioni all'estero servono azioni condivise

Lettera di Massimo D'Alema al Sole 24 Ore


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Caro direttore,
condivido la preoccupazione espressa da Alberto Negri sul Sole 24 Ore di ieri per un dibattito politico che - non solo durante le campagne elettorali, ma purtroppo più in generale - appare spesso chiuso in una logica provinciale, disinteressato e distratto rispetto ai grandi temi della politica estera. Oppure se ci si occupa di politica internazionale lo si fa non di rado in termini strumentali e al fine di alimentare sterili polemiche interne.
Se vi è invece un tema sul quale occorrerebbe esercitare uno sforzo particolare per individuare grandi direttrici e linee di azione condivise questo è proprio quello della politica estera. In particolare quando il Paese è chiamato a partecipare a prove impegnative al servizio della sicurezza e della pace. Prove che comportano l'impegno diretto dei nostri militari e rischi molto gravi.
La tragica morte di un nostro militare avvenuta ieri in Afghanistan ci ricorda drammaticamente che non possiamo permetterci distrazioni né il lusso di ridurre gli snodi più complessi della politica estera a questioni "domestiche".
Il senso di responsabilità di tutte le forze politiche impegnate nella competizione elettorale richiede da una parte che si affrontino con serietà le decisioni non rinviabili, dall'altra che il confronto in corso non riduca le scelte strategiche del nostro Paese a materia da "talk show" o da tribuna elettorale.
Dobbiamo essere consapevoli che nei tre scenari di crisi nei quali l'Italia ha assunto responsabilità primarie con il mandato delle Nazioni Unite - Libano, Kosovo, Afghanistan - si manifestano preoccupanti segnali di instabilità, sono in corso mutamenti rilevanti e talvolta affiorano sintomi di pericolosa involuzione.
Il perdurante stallo politico-istituzionale in Libano è fonte di fondata preoccupazione. Per questo ci siamo impegnati particolarmente, assieme a Francia e Spagna, sostenendo in queste settimane l'iniziativa di mediazione della Lega Araba, per favorire un accordo tra le forze politiche libanesi e che allontani il pericolo di una disgregazione del quadro politico i cui effetti sarebbero drammatici non solo per il Libano. Non possiamo certo nasconderci i rischi potenziali - in una situazione tesa, ma che per fortuna non è ancora di allarme - che deriverebbero anche per l'Unifil da una generale destabilizzazione del Libano. Tuttavia, proprio il complicarsi della crisi libanese conferma la lungimiranza della scelta di promuovere la missione di pace. Nello scenario critico della regione, la forza multinazionale dispiegata ai confini tra Libano e Israele e da noi guidata costituisce uno dei pochi punti di riferimento e una garanzia di sicurezza.
Sulla questione dello status del Kosovo, abbiamo promosso con tenacia un'assunzione di responsabilità da parte europea su un tema che riguarda essenzialmente e in primo luogo proprio l'Europa. Come Unione Europea, abbiamo evitato di rimanere spettatori, pur nella piena solidarietà atlantica, di una competizione a più largo raggio tra Russia e Stati Uniti, di cui il Kosovo costituisce uno degli elementi più critici. Ci siamo impegnati per mettere a punto una strategia concertata almeno tra i Paesi europei più impegnati nella regione, e abbiamo trovato un consenso ragionevole tra tutti i membri dell'Unione su una missione civile da dispiegare in Kosovo nelle prossime settimane. È una prova decisiva per l'Europa, e l'Europa sinora non si è tirata indietro. In Kosovo il nostro contingente svolge una delicatissima missione a protezione dei luoghi di culto serbo-ortodossi in uno spirito di neutralità, con accortezza e intelligenza. La nostra posizione equilibrata e propositiva credo costituisca un elemento di rafforzamento della credibilità e dell'efficacia della missione.
La partita che si gioca in Afghanistan è complessa ed è decisiva. Tuttavia, proprio per la sua difficoltà, è una sfida che deve essere vinta con molteplici strumenti, non solo con quello militare. È certamente vero che vi sia anche la necessità di una presenza militare più consistente. Sarebbe però assurdo chiedere all'Italia di aumentare il suo impegno in tal senso, in una situazione che è già al limite della sostenibilità per il nostro Paese in termini di consistenza numerica dei contingenti.
In Afghanistan occorre rilanciare l'iniziativa politica, promuovendo un approccio più organico e integrato. Vorrei ricordare che siamo stati tra i primi a prospettare la necessità di una riflessione sulla strategia complessiva, attraverso la proposta di una conferenza internazionale che coinvolgesse tutti i Paesi della regione e quelli a diverso titolo impegnati in Afghanistan, assieme alle organizzazioni internazionali, per promuoverne il consolidamento democratico e lo sviluppo sociale ed economico. Io stesso ne ho parlato in Consiglio di Sicurezza sin dal marzo scorso e con tutti i principali partners della Nato e del G-8. È un vero peccato che la nostra iniziativa sia stata accolta proprio nel momento in cui si avvia una campagna elettorale di cui il Paese certamente non avvertiva alcun bisogno.
Vorrei infine osservare che le missioni militari all'estero rappresentano solo una delle dimensioni, certamente essenziale, del ruolo internazionale assunto dall'Italia nelle aree di crisi.
È l'iniziativa politica che abbiamo svolto assieme ai nostri maggiori partners ad aver creato le condizioni per l'avvio di operazioni di mantenimento della pace, e la nostra partecipazione a esse si colloca in un disegno di politica estera di ampio respiro a favore della pace e del multilateralismo efficace.
Oggi l'Italia sconta la fragilità del suo sistema politico-istituzionale anche in questo delicato ambito della politica internazionale. Tuttavia nessun grande Paese può consentirsi di restare ai margini del dibattito su questioni fondamentali della politica internazionale né tantomeno chiamarsi fuori o tergiversare su decisioni cruciali in ragione di scadenze elettorali. Ci sono temi di politica estera essenziali per i nostri interessi nazionali che non possono passare in secondo piano nemmeno nella situazione di un Governo dimissionario. Questioni per le quali anche solo la gestione degli "affari correnti" non significa affatto "ordinaria amministrazione".

Massimo D'Alema

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