Intervista
24 febbraio 2008

«Ora corriamo da soli. Più credibili al Nord»

Intervista di Alberto Orioli - Il Sole 24 Ore


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«Il Pd è una scelta rischiosa per noi ma sicura per il Paese». Massimo D'Alema, 58 anni, vicepremier e ministro degli Esteri, è in campagna elettorale. E conia lo slogan. È il suo modo per declinare il «si può fare» ufficiale. «In un certo senso abbiamo già vinto - continua - per il Pd le elezioni non sono il giudizio di Dio, comunque vada a finire abbiamo dato vita a un'innovazione politica straordinaria. Durerà, si amplierà, aumenterà i consensi. Se poi vinceremo le elezioni sapremo governare, lo abbiamo dimostrato».

I sondaggi vi danno indietro ancora di una decina di punti?
«Dieci punti? Qualcuno dice 6. Veltroni guadagna terreno di giorno in giorno. Credo che nel Paese - a parte lo strato sottile, molto sottile, di chi legge la politica sui giornali - ci sia una enorme fluidità. Crescono gli incerti e questo è segno di un aumento delle persone che vogliono capire. Lo sgretolamento del quadro politico è stato così veloce che gli italiani devono ancora assimilarlo. Con la nascita del Pd l'offerta politica si modernizza sensibilmente. Si è risvegliato anche chi non credeva più nell'impegno politico, ci sono tante facce nuove. C'è un forte fermento rinnovatore».

Un esempio?
«La sezione di Piazza Mazzini dell'Unione. Erano 260 gli iscritti, tutti molto attivi e partecipativi. Con il Pd sono diventati 450. È sufficiente?»

Finché ci sarà il problema dell'immondizia a Napoli il Pdl avrà buon gioco a dire che non sapete governare.
«L'immondizia nelle strade di Napoli è una sconfitta per tutti gli italiani. È un problema degli ultimi Governi: la gestione commissariale è durata 5 anni sotto il Governo Berlusconi. Io sono pronto a prendere la parte di responsabilità che mi spetta come rappresentante del Governo uscente. E sono pronto a dire che ci misuriamo con la sconfitta di un'intera classe dirigente. Ma il Pdl deve fare lo stesso: ha fallito anche Berlusconi. La campagna che fa non è moralmente accettabile, Berlusconi deve assumersi le sue responsabilità. Per il resto, il Governo Prodi è stato il primo ad agire tentando di dare una soluzione definitiva al problema. De Gennaro sta lavorando. La vicenda napoletana è la testimonianza della estrema difficoltà a decidere quando si è stritolati da particolarismi, campanili, remore ideologiche».

Perché, d'ora in poi, il Pd dovrebbe cambiare le cose?
«Perché come ha detto Veltroni siamo per l'ambientalismo del fare. Ora possiamo dire con grande tranquillità che siamo il partito anche dei termovalorizzatori, dei rigassificatori, della Tav. E che vuole affrontare la questione ambientale puntando sulle nuove tecnologie per la modernizzazione del Paese».

Propaganda.
«Tutt'altro: il nostro è un impegno enunciato con grande chiarezza. Tanto più che - in termini di puro consenso elettorale - rischia anche di costarci qualcosa».

L'Italia non cresce e l'«inflazione della spesa» va al 4,8%. Qual è la risposta del Pd?
«È la priorità. Restituire peso ai salari è il nostro impegno. Gli aumenti in Italia sono tra l'altro trainati dall'aumento del prezzo del petrolio in un Paese dove il prezzo dei trasporti incide in modo molto forte sui listini finali delle merci. C'è poi una struttura distributiva che favorisce fenomeni di speculazione. Stiamo entrando in una situazione economica molto difficile».

Tanto da rendere necessario un Governo di larghe intese per superare le difficoltà e fare le riforme?

«Di fronte alla crisi, ho pensato fosse necessario un Governo per le riforme, non le elezioni. E questo dimostra l'enorme responsabilità di Berlusconi. Lo ha guidato la bramosia di potere, l'abbaglio sulla vittoria elettorale. Chi vuole fare le larghe intese non imbocca la via delle elezioni: fa il Governo. Scegliere lo scontro elettorale e poi annunciare che vuoi fare l'accordo quando non lo hai voluto sottoscrivere prima, è solo finzione. Io capisco la difficoltà che sente Berlusconi: ha fatto la scelta specularmente contraria alla nostra, si è spostato verso le forze estremiste della sua coalizione. Ora teme di perdere e sa che, anche se vince, non sarà in grado di governare il Paese. Un Governo di grande coalizione ha senso per un periodo limitato e per fini definiti. Non può essere una prospettiva per la legislatura. Si sono volute le elezioni? Ora saranno le urne a decidere chi governerà il Paese».

Il vero problema del Pd si chiama Nord.
«Il tema viene da lontano. Il Nord è stato più sensibile al richiamo dell'egoismo sociale, al sentimento anti-statale incarnato dalla Lega. Che è forte e avrà un peso elettorale notevole, favorito anche da un certo sentimento anti-meridionale risorgente appunto perché legato ai fatti di Napoli. La Lega non va sottovalutata: sarà decisiva nell'eventuale Governo Berlusconi e lo condizionerà pesantemente. Anche se mi devono spiegare come sia possibile definire seria una coalizione con personaggi come Borghezio che rispolvera la secessione. Al Nord noi parleremo il linguaggio dell'economia: della liberalizzazione della società italiana, della concorrenza, della modernizzazione, della riforma delle authority. Insieme al grande tema della dignità e della retribuzione del lavoro».

Sono temi presenti anche nei programmi del Centro destra. I "dodecaloghi" si rincorrono soprattutto sul fisco.
«Il dodecalogo di Berlusconi io non l'ho visto. Il nostro programma sarà presentato domani. È compatto, credibile, le proposte hanno tutte la copertura finanziaria. La riduzione della pressione fiscale può essere un obiettivo comune ma dipende da come la si vuole perseguire e per quali finalità. Per noi la finalità è la crescita, il sostegno dei redditi da lavoro, la competitività e l'innovazione nelle imprese. Misure che peraltro avevamo già impostato e che stavano per dare i primi frutti».

Berlusconi dice che voi siete quelli del Governo Prodi, un Governo che ha fallito.
«Non ha senso attaccare il Governo Prodi e poi annunciare nel programma il completamento di ciò che abbiamo realizzato noi: vale a dire la riduzione dell'Ici. Non si può attaccare il Governo Prodi e poi puntare sulla detassazione degli straordinari che noi abbiamo avviato con il protocollo sul welfare».

Perché il popolo dei "pro-pro" (produttori e professionisti) dovrebbe sentirvi vicini?
«Perché in tutte le ultime campagne elettorali mi sono sentito dire: buone le tue idee, ma come fai a realizzarle con la sinistra massimalista nel Governo? Bene, stavolta posso dire: siamo soli, siamo liberi. Siamo una forza credibilmente riformista - per la nostra storia di Governo - quando parliamo di aperture ai mercati o dell'attenzione al fisco sulle Pmi. Lo siamo anche quando diciamo Tav e infrastrutture. La risposta che diamo al Nord è il disboscamento dei costi della politica, le semplificazioni della pubblica amministrazione e del fisco. Il mondo produttivo piccolo e medio è soffocato dall'eccesso di burocrazia e dalla complicazione fiscale».

C'è sempre il problema delle coperture. Le proposte del Pd costano ben più di 10 miliardi. Dove li troverete?
«Se noi diciamo che la spesa calerà di mezzo punto l'anno così sarà: nella storia recente la spesa pubblica è calata solo con i Governi di Centro sinistra».

Da Nord a Sud. È nel Mezzogiorno l'elettorato più mobile in questo momento.
«C'è un movimento delle forze centriste che può riaggregare forze radicate nel Mezzogiorno».

Con il caso Mastella è emerso anche un modo di gestire il rapporto con il consenso e il territorio molto discutibile che caratterizza molte parti del Sud.
«Attenzione a fare ragionamenti a rischio di deriva razzista».

Ma è stato Mastella a dire: così fan tutti. Lei gestisce il suo collegio nello stesso modo?
«Non gestisco collegi da tanto tempo. Si figuri: a Gallipoli il sindaco è di Forza Italia, pensi quanto gestisco! Però la gente mi dà il 63% dei voti: mi stima, mi crede».

La clientela al Sud però c'è e si vede
«Il clientelismo è una caratteristica antica del sistema politico meridionale: dove la società civile e il sistema economico sono più fragili è evidente che è più accentuata la dipendenza dal potere politico. Al Nord il rapporto di scambio tra economia e politica è più diretto, diciamo, e spesso non è meno inquinante. Comunque in certi casi la politica si deve assumere le sua responsabilità. Fa parte dei suoi doveri compiere delle scelte, fare delle nomine. Starà poi ai cittadini giudicarne l'efficacia sulla base dei risultati. Chi deve farle altrimenti le nomine? Le corporazioni? Non sarebbero diversi i rischi di imparzialità con in più il fatto che non sarebbero chiamate a risponderne di fronte alla gente».

Ma un conto è scegliere i direttori delle Asl un conto sono i primari.
«Certo, e tutti diciamo che ci devono essere criteri trasparenti di accesso, regole chiare nella valutazione. La scelta deve cadere sul merito, sulla bravura».

A proposito, che ne pensa della candidatura Ichino?
«È un professore molto intelligente, coraggioso e creativo. è già stato parlamentare. Ora è chiamato a dare un contributo di Governo. Fare il commentatore è diverso dal fare l'uomo politico. Comunque il Pd è il luogo della discussione darà un contributo molto utile. Tra l'altro, resto convinto, che avevo ragione io quando da presidente del Consiglio all'Eur tentai di spiegare ai sindacati che non aveva senso occuparsi di anacronistiche garanzie contrattuali quando il mercato del lavoro era pieno di lavoratori fuori dai contratti. Sollecitai il sindacato a riflettere che stava perdendo di vista il tema dei salari: ci furono incomprensioni - diciamo - vivaci. Ma ho apprezzato che dopo qualche tempo si sia cominciato a parlare della realtà: dei contratti di emersione dal sommerso ad esempio. Il tema è ancora quello: non possiamo non vedere che il lavoro si è depauperato in termini di reddito e di diritti. Lo hanno capito anche le imprese. A loro conviene che il lavoro venga valorizzato. Altrimenti prosegue l'impoverimento, crollano i consumi e con esse le produzioni».

Bertinotti dice: l'operaio Thyssen e Colaninno, ce n'è uno di troppo.
«Invece no. Sono due figure complementari in un Paese che vuole crescere. Tra l'egoismo sociale della destra e l'antagonismo dell'estrema sinistra, l'alternativa riformista siamo noi. Vedo chiarissimi i contenuti del nuovo patto sociale: aumento della produttività anche tramite l'intervento dello Stato negli investimenti per la ricerca e l'innovazione; una flessibilità che non penalizzi le persone e i diritti; valorizzazione del lavoro attraverso l'aumento delle retribuzioni dirette».

Veltroni scrive: separare le sorti di Malpensa dalle sorti di Alitalia...
«Condivido. Credo che la classe dirigente lombarda dovrebbe fare un po' di autocritica: chi ha fatto di tutto per indebolire quell'hub lasciando proliferare aeroporti un po' in tutte le zone del Nord e non costruendo le infrastrutture di collegamento? È singolare che ora Formigoni, uno dei responsabili, adesso per soli scopi elettoralistici agiti la bandiera di Malpensa. Vorrei dire che, qualsiasi sia la soluzione per Alitalia, il problema Malpensa è bene sganciarlo comunque».

«Qualsiasi sia la soluzione»? Lei pensa a Toto?
«Noi siamo l'azionista della Compagnia. Abbiamo disposto che il Cda sulla base di una valutazione oggettiva procedesse a una trattativa. La trattativa è in corso e noi abbiamo dato mandato di discutere un piano industriale con Air France che non comportasse affatto l'abbandono di Malpensa. Alla fine vedremo: l'azienda comunicherà l'esito della trattativa all'azionista, il Governo valuterà. Le ricordo che è coinvolto il ministero dell'Economia, quello dei Trasporti e il ministero degli Esteri. Spero che la trattativa vada a buon fine sarebbe l'esito più limpido. Se poi un altro fa un'offerta smisuratamente vantaggiosa per il nostro Paese, siamo liberi di prenderla in considerazione».

Le nomine vanno avanti?
«Non so. Personalmente credo che quelle relative alle società per azioni dovrebbero essere fatte nei tempi previsti dalle leggi e dai regolamenti. Piuttosto, faccio notare che quando ci siamo insediati abbiamo trovato centinaia di nomine nell'amministrazione decise da Berlusconi addirittura anche dopo le elezioni».

Geronzi a Mediobanca, Letta a Goldman Sachs, Ermolli a JP Morgan. «L'establishment finanziario sarà meno diffidente rispetto a Berlusconi?
Non credo che i nomi che lei ha fatto riassumano l'intera comunità finanziaria. Comunque, in generale in una società aperta tutti temono l'eccessiva concentrazione di potere ed è esattamente ciò che sarebbe sgradevole se Berlusconi tornasse ad essere presidente del Consiglio».

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