Intervista
30 luglio 2008

SINISTRA RADICALE, ADDIO SENZA RANCORE

Intervista di Piero Sansonetti - Liberazione


Alema(2)605_img.jpg
Massimo D'Alema mi accoglie sulla porta del suo studio, a piazza Farnese (sede di Italiani Europei) allegro e scherzoso. Ma non mi sembra ottimista. Ci conosciamo da un po' più di trent'anni e quindi niente diplomazie. Scherza. E canticchia alcuni versi di uno strano inno con parole incomprensibili. Strabuzzo gli occhi, e lui mi spiega che è l'inno del «pionere» in lingua russa. Lo conosce solo lui. Neanche Cossutta, perché non è mai stato tra i pionieri. I pionieri erano i ragazzini comunisti under 14, dopo i 14 anni si passava alla Fgci. D'Alema era un leader dei pionieri ai tempi di Togliatti. Mi prende in giro per la svolta iper-comunista sancita dal Prc al congresso di Chianciano.

Non ti è piaciuto questo congresso?
Lo ho seguito con interesse. Come avevo seguito la discussione prima del congresso. Al di là della crisi politica ed elettorale di Rifondazione comunista, io so che in Italia esiste un'area di sinistra radicale che ha una sua funzione, uno spazio, che è importante. Non credo che questa area sia la continuazione della tradizione del Pci. Il cuore vero della tradizione del Pci, secondo me, è trasmigrato nel partito democratico. Del partito comunista, l'unico filone che regge ancora è quello riformista. Oltre questa tradizione è sempre esistita una sinistra che possiamo definire «massimalista», nella quale hanno confluito diverse aree di pensiero politico, e il destino di questa sinistra massimalista è tutt'altro che irrilevante ai fini dell'equilibrio politico del paese e della forza del sistema democratico. Perciò, dopo la sconfitta elettorale di aprile, mi chiedevo se sarebbe maturata una svolta in avanti, un modo di declinare in forme moderne il massimalismo italiano. Era una cosa molto importante. Aspettavo una risposta dal congresso del Prc. Diversa da quella che è arrivata.

Cos'è che ti preoccupa?
Io speravo che si potesse arrivare a una coalizione di forze diverse, in grado di costruire una sinistra di tipo rosso-verde. Una sinistra cioè che non smarrisse il tema della questione sociale, però si aggregasse attorno anche ad altre istanze: ambientaliste, pacifiste, femministe... la sensazione è che invece ci sia un arroccamento che ricorda più certi gruppi della sinistra extraparlamentare di una volta, di matrice un po' stalinista.

Dai un giudizio così duro su Paolo Ferrero?
No, non su di lui. Ferrero è una persona assolutamente ragionevole. Non dico certo che lui sia un estremista. L'ho conosciuto bene durante l'esperienza di governo: qualche volta avrebbe potuto essere più combattivo. Però mi sembra che nel partito che è stato chiamato a dirigere si delinei un arroccamento identitario. Persino dal punto di vista simbolico: che segnale è la decisione di abbandonare il tema classico dell'unità della sinistra?

E' la fine di una stagione?
Si è chiusa l'era di Bertinotti. Era stata una stagione in cui l'idea di costruire una forza radicale di sinistra aveva un riferimento soltanto simbolico al comunismo. Non era dentro la storia del comunismo e dei comunismi. Bertinotti immaginava una forza di sinistra critica, che però non rinunciasse a misurarsi col tema del governo e della trasformazione. Non si può negare che avesse una sua forte originalità. Oggi il Prc ha deciso di porre fine a questa era, in modo drastico, in nome di qualcosa che a me pare un puro ritorno indietro. Non getta le basi di una possibile convergenza con altri segmenti della sinistra. A me sembrava che solo dalla convergenza dei vari pezzi della sinistra radicale (verdi, sinistra Ds eccetera) potesse nascere una prospettiva nuova.

Una ripetizione dell'Arcobaleno?
L'arcobaleno è fallito clamorosamente alle urne. Però io immaginavo che dal congresso di Rifondazione potesse emergere una proposta unitaria meno aborracciata, una costituente basata su riflessioni politiche più approfondite, su elementi culturali, su analisi e programmi politici...Però non è successo. E quello che è successo è abbastanza preoccupante. Anche perché potrebbe avere conseguenze sul piano dei governi locali. Tra meno di un anno si vota in migliaia di comuni e in moltissime province.

Non credi che la sconfitta della sinistra radicale, e quindi anche le sue reazioni alla sconfitta - le scelte di queste ore - siano in parte dovute all'atteggiamento settario del partito democratico, alla dichiarazione di autosufficienza, alla decisione di rifiutare una alleanza elettorale ad aprile?
Io credo che la sconfitta della sinistra radicale sia dovuta fondamentalmente al modo nel quale ha vissuto l'esperienza di governo. Il rapporto tra sinistra e Pd si è consumato nell'esperienza di governo. La difficoltà di tenuta da parte del Prc è stata evidentissima. E io credo che siano state evidentissime anche le rincorse estremiste tra Rifondazione e Diliberto, sia sulla politica estera che sulle questioni sociali. Penso ad esempio all'assalto di Rifondazione all'accordo sindacale del 23 luglio di un anno fa...

Ma quello era un accordo che non poteva essere digerito.
Non è vero. Era un buon accordo. Era stato approvato da un referendum sindacale con l'85 per cento di consensi. Rifondazione lo ha contestato in quel modo così aspro avendo attenzione più al dibattito interno alla Cgil che non al rapporto con la società italiana. Io avrei capito contestazioni di Rifondazione alla linea del governo, anche molto dure, su altre questioni. Su alcune scelte di politica economica che avevano una impronta tecnocratica, per esempio sulla prima finanziaria, quella da 30 miliardi, che forse era eccessiva...

Sulla politica estera Rifondazione è stata molto leale.
Obtorto collo. Diceva: «Voto per disciplina», ma poi sommergeva di critiche la politica estera. In Parlamento molti vostri deputati e senatori dicevano cose orribili della politica estera. Tanto che io mi chiedevo: ma in che modo il gruppo dirigente di Rifondazione ha scelto i suoi parlamentari? Adesso ho capito che in realtà Rifondazione rappresentava settori politici e di società molto più estremisti di quello che io pensassi. E mi spiego la rottura. E capisco che non era possibile nessun'altra scelta che la fine della collaborazione.

Secondo te dal congresso del Prc sono venuti solo segnali negativi?
Trovo utile la volontà di dar voce ad una questione sociale che si propone in termini sempre più drammatici. Credo che sia una strada che dovremmo percorrere anche noi del Pd. Che su quel terreno, sia noi che voi dovremmo contendere lo spazio alla destra. Questa è l'unica luce che vedo spuntare da Chianciano. Il tema che viene posto è vero, è un tema classico e sacrosanto di tutta la sinistra: l'uguaglianza o perlomeno la lotta alle crescenti e intollerabili diseguaglianze sociali. Ed è un tema che interessa anche noi, che deve interessarci. E comunque penso che se il Prc si mette a svolgere questo compito, se fa un buon lavoro, contribuisce all'equilibrio democratico del paese.

La sinistra radicale è in crisi. Ma Il Pd non è in ottime condizioni di salute, né in grado di indicare grandi prospettive. La destra sta trionfando?
Non mi pare. I rapporti di forza fondamentali sono quelli consolidati. La mia paura è che torni una specie di bipartitismo imperfetto. Con una forza riformista che non trova più la via del governo. Come era negli anni '80, con la Dc che comandava e il Pci che restava fuori. Alle elezioni di aprile il Pd ha subito una sconfitta consistente, raccogliendo 3 milioni e mezzo di voti meno della destra. Il rischio che vedo è che il Pd diventi una minoranza strutturale.

In questo quadro non diventa decisiva la possibilità di alleanza con la sinistra radicale?
Il problema è costruire un nuovo centrosinistra, imperniato sul Pd, che ha un ruolo fondamentale ma non esclusivo. Dopo il congresso di Rifondazione, mi sembra difficile che da quella parte possa venire un contributo a questo progetto. In fondo si sta superando quella anomalia italiana che consisteva nel fatto che in Italia - e solo in Italia - c'era una sinistra radicale interessata a misurarsi con l'ipotesi di partecipare al governo. Ora non è più così. In Italia, come in Europa, c'è una sinistra riformista, che sfida i conservatori per governare, e una sinistra radicale all'opposizione comunque. E' così, da tempo, in Spagna, in Portogallo, in Germania: ovunque. L'Italia costituiva una originalità, che ora è stata cancellata.

Questo vuol dire anche fine della collaborazione nei Comuni e nelle regioni?
Spero di no. Bisogna sempre evitare che meccanismi di politica nazionale si riflettano automaticamente sulle realtà locali.

Si va verso le elezioni europee. C'è il rischio di una riforma della legge elettorale con uno sbarramento così alto da impedire l'accesso al Parlamento della sinistra?
Io credo che uno sbarramento al 3 per cento sia necessario, per evitare un eccesso di frammentazione. L'importante è che lo sbarramento non sia troppo alto, e soprattutto che avvenga su base nazionale e non in ogni circoscrizione elettorale. Cioè che non sia cancellato il recupero dei resti. Altrimenti uno sbarramento del 3 per cento può diventare in realtà del 7 o dell'8. E questo non sarebbe democratico.


30/07/2008

stampa