Intervista
12 settembre 2008

NON CI SARA' FEDERALISMO SENZA RIFORMA CONDIVISA DELLO STATO

Intervista di Caludio Sardo - Il Messaggero


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ROMA - «Non ci sarà il federalismo fiscale senza una riforma condivisa dello Stato centrale. E senza un bilancio serio di questi ultimi anni, nei quali i trasferimenti di poteri e funzioni a Regioni e Comuni hanno prodotto un aumento della spesa corrente». Massimo D’Alema parla nel suo ufficio di presidente della Fondazione Italiaeuropei mentre le agenzie di stampa battono la notizia del via libera «preliminare» da parte del Consiglio dei ministri alla bozza Calderoli. «Dopo giorni di litigi interni è tuttora vago l’oggetto dell’intesa nel governo. Volevano consentire a Bossi di esibire un trofeo alla manifestazione di Venezia. Ma il federalismo fiscale è niente senza le cifre. Cosa vogliono decentrare? Quali tributi finanzieranno Comuni, Province, Regioni? L’Irpef non può che restare una imposta statale, pena rischi gravissimi. E la prima scelta del governo - abolire la quota residua di Ici anziché abbattere le aliquote Irpef - ha avuto un segno decisamente antifederalista, oltre ad allargare la forbice della diseguaglianza sociale».
Da voi opposizione, dai sindaci e dai governatori di centrosinistra non sono venute però grosse obiezioni alla bozza Calderoli.
«La Lega ha consultato tutti e raccolto molte proposte. Ne è venuta fuori una fase istruttoria confusa ma aperta. Per certi aspetti il metodo va apprezzato. Ma per fare la riforma bisogna passare ai conti. Se resta così generica, lo stesso governo rischia di non poter esercitare la delega. E certo non aiuta la demagogia a buon mercato di chi promette che il Nord si arricchirà e il Sud non ci rimetterà un euro. Con il Paese fermo, un simile esito è possibile solo aumentando le tasse».
Il ministro Tremonti sostiene che la razionalizzazione federalista, unita ad una sana competizione tra istituzioni, produrrà forti risparmi di spesa.
«La nostra spesa sanitaria è pari al 7% del Pil contro l’8,1 francese e l’8,9 tedesco. Migliorare la qualità della spesa è sempre un obiettivo da perseguire. Ma come si può pensare di arrichire di colpo il Nord, il Centro e il Sud? La nostra destra peraltro è la più clientelare e populista d’Europa: tra il 2001 e il 2005, in epoca di attuazione del federalismo, la spesa corrente è aumentata del 2,5% con i governi Berlusconi».
Questa vale anche come autocritica, dal momento che la riforma del titolo V l’avete approvata voi.
«È stato un errore lasciare quella riforma da sola. Nel progetto della Bicamerale il federalismo era affiancato da una riforma del governo, del Parlamento, del sistema delle garanzie. E il punto è ancora questo: senza una riforma seria e condivisa dello Stato nel suo insieme non solo si finisce per pagare di più, ma si aumentano le disuguaglianze e si minano le fondamenta della coesione del Paese».
Al governo comunque assicurano: il federalismo fiscale garantirà perequazioni e compensazioni a favore del Sud.
«A parte il fatto che il governo in concreto sta riducendo gli incentivi per le aree svantaggiate... In ogni caso il problema non è la compensazione, ma la cittadinanza. Sta qui il punto cruciale. Il federalismo solidale non è la perequazione di risorse tra territori. Può diventare una organizzazione più funzionale solo se lo Stato resta il garante dell’uguaglianza dei cittadini, a partire dal godimento dei diritti essenziali. Il diritto alla salute, alla sicurezza, all’istruzione non appartengono ai territori ma alle persone».
Per lei riforma più ampia vuol dire modello tedesco?
«Il modello tedesco è coerente con un impianto federalista. Nel convegno di luglio delle Fondazioni, con il contributo di alcuni tra i maggiori costituzionalisti italiani, abbiamo avanzato una proposta dettagliata. Aspettiamo la risposta di Berlusconi».
Berlusconi non pare convinto. E forse neppure Veltroni.
«Veltroni e Franceschini, al convegno delle Fondazioni, hanno espresso apprezzamento e condivisione. Non ci sono altre proposte del Pd. Veltroni vuole che la legge elettorale, pur su un impianto di tipo tedesco, favorisca di più i partiti maggiori. Ma si tratta di aspetti tecnici che non mettono in discussione la convergenza sulle linee di fondo del progetto istituzionale».
Pdl e Lega hanno trovato l’intesa sulla legge elettorale europea: sbarramento al 5% e abolizione delle preferenze. Cosa ne pensa?
«Se questa è la loro scelta, vuol dire che non vogliono il dialogo. Vogliono solo lo scontro. Fissare per le europee uno sbarramento più alto di quello nazionale non ha giustificazione, se non quella di trarne un vantaggio di parte. Così l’abolizione delle preferenze: un diritto sottratto ai cittadini per favorire le oligarchie di partito. Ma in questo modo saltano i presupposti di un confronto».
Non è che state soltanto alzando i toni per rianimare l’opposizione dopo una stagione di stordimento?
«Non abbiamo paura di fare le riforme insieme. Ma per farle ci vuole un clima di collaborazione, che spetta innanzitutto al governo costruire. Fin qui non è stata l’opposizione ad opporre un rifiuto ma Berlusconi, con i provvedimenti sulla giustizia regolati sulla base dei propri interessi e della propria agenda».
Anche sui temi sociali, sul caso Alitalia, state usando toni più forti. È la vostra campagna d’autunno?
«La sfida tra maggioranza e opposizione si gioca innanzitutto sui temi sociali. E sarà pure sfortuna, ma i governi Berlusconi coincidono sempre con periodi di stagnazione. Dopo i fuochi pirotecnici e i colpi d’immagine, il governo è ora tornato sulla terra e sta dimostrando di non avere una visione del futuro. La partita è iniziata e anche per noi sarà un confronto impegnativo. Quando si perde, il colpo è sempre brutto. Ma le nostre direttrici restano: ridurre le disuguaglianze e difendere gli interessi del Paese».
Sul caso Alitalia non è stato il governo a difendere di più l’italianità?
«Berlusconi ha agito per far saltare il piano Air France e ha costruito una soluzione fuori mercato, i cui pesanti costi saranno pagati dai lavoratori e dai contribuenti. Il nostro giudizio sul governo è severissimo. Detto questo, se la nuova compagnia decollerà, non possiamo che augurarci che abbia successo. L’opposizione del Pd non ha nulla a che vedere con il ”tanto peggio tanto meglio”. Noi non facciamo opposizione alle imprese, che sono una risorsa per il Paese».
Qualcuno griderà all’inciucio.
«Ci sarà sempre qualcuno che grida all’inciucio. Ma sono residui faziosi ed estremisti, decisiamente minoritari».
Perché allora avete deciso di tornare in piazza?
«Perché le manifestazioni sono espressione della vita democratica. E sono tanto più utili quanto più sono partecipate e capaci di attirare simpatia dall’esterno. Quando si è in tanti, si urla di meno e si è più convincenti. Invece manifestazioni come quelle di piazza Navona hanno finito per dare una mano a Berlusconi e per deprimere l’opposizione».
Ma per domani con chi volete allearvi? O è ancora in campo l’ipotesi dell’autosufficienza?
«Dopo le elezioni c’è una stata una breve discussione tra noi, ma ora è tutto chiarito: l’obiettivo del Pd non è la solitudine. Vocazione maggioritaria vuol dire essere il perno di un’alternativa credibile di governo. Per fare questo non c’è bisogno di compilare liste di possibili alleati. Bisogna fare politica. Aprire confronti e misurarsi sui programmi innanzitutto con chi si oppone a Berlusconi».
Non c’è il rischio di una riedizione dell’Unione?
«Quando verrà il tempo delle alleanze elettorali, la coerenza sui programmi sarà irrinunciabile. Ma intanto dobbiamo ”fare politica”. Verso la sinistra radicale, perché sarebbe un danno per il Paese una deriva estremista. Verso il centro che si è sottratto all’egemonia berlusconiana, perché abbiamo in comune una cultura costituzionale così diversa da quella che la destra sta mostrando in questi giorni. Anche verso Di Pietro, purché sia chiaro che ci sta a cuore la legalità, mentre il populismo giustizialista è inaccettabile. E alle prossime amministrative queste alleanze possono già sperimentarsi».
A Firenze lei ha detto al vertice del Pd: ”Se mi chiamate, sono a disposizione”. La risposta è stata fredda.
«Non ho bisogno di posti. Lavoro molto con Italianieuropei e per me questo lavoro è un contributo al Pd. Ci descrivono come una corrente, ma tutta la nostra attività è l’esatto contrario. Ecco il programma del festival della salute di fine mese: studiosi, scienziati, personalità delle istituzioni, della cultura e dello sport. Il Pd farebbe cosa saggia se ci utilizzasse di più. Oggi ha bisogno di chiamare a raccolta tutte le sue energie».

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