Intervista
12 novembre 2008

D'Alema a Bossi «Senza intesa, il federalismo non va lontano»<br>

di Stefano Cappellini - Il Riformista


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Nel suo studio alla fondazione Italianieuropei, al primo piano di un antico palazzo di piazza Farnese, verso sera l'attenzione di Massimo D'Alema si divide su tre operazioni: la prima è organizzare la cena a casa in assenza della moglie («Torno tardi - avverte i figli al telefono - dovete cucinare voi, ma se mi chiamate vi spiego come tagliare la cipolla», poi attacca e scuote la testa: «è un metodo consolidato, ma i risultati sono sempre modesti»), la seconda è biasimare la notizia della sfilata di calciatori brasiliani del Milan all'incontro Berlusconi-Lula di villa Madama («Una cosa imbarazzante»), infine la terza, e più importante, è sfogarsi per le interpretazioni su Asolo. Cioè sul seminario tenuto nel fine settimana da Italianieuropei insieme alla fondazione Fare futuro di Gianfranco Fini, da cui è uscita la proposta di una Bicamerale ad hoc sul federalismo fiscale. «Gran parte delle discussioni seguite - dice D'Alema - non hanno alcuna attinenza con la realtà. Sono il segno del politicantismo del nostro dibattito, in cui tutto è battuta, allusioni, folclore. Ma l'ignoranza è come i titoli tossici, avvelena il dibattito pubblico e crea polemiche anche laddove non ce ne sono».

Non è vero che c'è uno scetticismo crescente da parte sua e di Fini sul federalismo fiscale?

Trasecolo. Il senso del seminario di Asolo è fin troppo banale. Io e Fini, all'unisono, abbiamo posto la necessità che per una riforma complessa come il federalismo fiscale, che comporta una delega molto ampia al governo, e fin qui anche abbastanza vaga, vi sia uno speciale coinvolgimento del Parlamento, che deve seguire passo passo l'esercizio della delega.

Non può negare di essere stato molto critico sulla "sbornia federalista" che ha caratterizzato il dibattito nazionale degli ultimi anni.

Io dico solo che in Italia si è cominciato a discutere di federalismo in una clima internazionale molto diverso, determinato dal glocalismo, cioè l'idea che ci fossero solo il mercato globale e le comunità locali, che non c'era bisogno della politica e che lo Stato sarebbe evaporato come ente inutile. Era in fondo l'altra faccia di una visione ultraliberista della globalizzazione. Questa concezione è entrata in crisi profonda, basta vedere a chi si rivolge oggi l'economia sull'orlo del baratro: allo Stato. La stessa Lega non parla più di secessione e di Padania. L'idea del federalismo come via soft alla secessione è tramontata. Io non sono affatto contrario al federalismo se non è inteso come esautorazione dello Stato, ma come un modo per farlo funzionare meglio, per offrire ai cittadini un'amministrazione più efficiente, meno burocratica, meno costosa.

Forse c'è un altro problema: ogni volta che si accostano i termini D'Alema e Bicamerale scatta il sospetto di inciucio o di manovra occulta.

La Bicamerale da me presieduta non comportò alcun inciucio o atto segreto, ma fu di teatro di una discussione pubblica che si concluse con un disegno di riforma costituzionale.
Si dice anche che il vostro intento è allungare i tempi e boicottare la riforma.
Una sciocchezza: i tempi dell'esercizio della delega sono fissati dalla legge, non dalla commissione. Casomai è il meccanismo attuale, che prevede i pareri di sei commissioni, che è farraginoso e finisce per non avere alcun peso sull'esito finale.

Anche la Lega ha già bocciato l'idea della bicamerale.

Innanzitutto vorrei ricordare a Bossi, il quale dice che faccio queste proposte in quanto dispiaciuto perché la riforma federale l'hanno fatta loro e non noi, che è vero il contrario. Loro sono adesso impegnati a dare norma attuativa della riforma costituzionale fatta dal cen-tro-si-ni-stra (scandisce, ndr). E fu uno dei risultati della Bicamerale, perché il testo sostanzialmente da là veniva. Dopodiché, siccome è del tutto evidente che nessuno può pensare di ostacolare la riforma, secondo me se respingono questa esigenza fanno un gravissimo errore. Dovrebbero essere loro a chiedere all'opposizione: "come volete che sia il controllo parlamentare?". Così si fa in un paese civile. Le riforme non condivise durano poco, perché basta nulla per cancellarle col successivo governo di segno diverso. Ma se vogliono andare avanti senza di noi, prego, facessero, e poi vedremo…
Magari la maggioranza confida nel fatto che si è aperto un lungo ciclo di governo del centrodestra.

Ma quale ciclo? Questo paese non conosce cicli. Chiunque governa perde le elezioni successive, come dimostra la casistica.

Anche lei pensa che la vittoria del centrosinistra in Trentino sia il segno di una svolta?

In Trentino il risultato nasce prima di tutto dall'esperienza di buongoverno e da una forte tradizione di radicamento nella società. E dal fatto che l'autonomia non ama il leghismo, perché teme di andare sotto Milano più di quanto non tema Roma. Resta il fatto che Dellai era dato in vantaggio di due punti e ha vinto di venti.

Conosce la tesi sull'onda americana. Quanto sono distanti l'Ohio e il Trentino?

Il rinvio del voto di Trento a dopo le elezioni americane ha favorito il centrosinistra. Senza ridurre questo tema al dibattito provinciale su chi è l'Obama italiano, è indiscutibile che un effetto America c'è. L'opinione pubblica italiana è sensibile e volatile e la vittoria di Obama ha creato un clima diverso. Basta osservare il patetico obamizzarsi della destra italiana per avere conferma. Stamattina (ieri, ndr) ero a un dibattito con Frattini. Parlava come un comunicato dell'Internazionale socialista: la politica deve governare l'economia… Ormai siamo al pensiero unico socialista.

Quando il Pd ha perso, si è detto: c'è un vento di destra. Ora che torna a vincere si dice: c'è un vento nuovo. Se è così, inutile sbattersi troppo: più che di una leadership avete bisogno di anemometro.

La leadership consiste molto, come avrebbe detto Sun Tzu, nel cogliere i movimenti profondi e mettersi in sintonia. Difficile pensare che si cambia il mondo dall'Italia.

Nel Pd c'è già un dibattito…

…mi tengo alla larga dai dibattiti nel Pd.

…un dibattito sulla superiorità del modello Trento, cioè l'alleanza con l'Udc, sulla formula Abruzzo, dove il Pd si presenta alle regionali con la vecchia Unione.

Le formule non c'entrano nulla. In Trentino siano arrivati alle elezioni sulla base di un positiva esperienza di governo, in Abruzzo si vota dopo che l'ex presidente è stato arrestato. Un contesto nel quale, purtroppo, alla fine si è rivelata impossibile un'alleanza con l'Udc. Parlare di alleanze di nuovo conio in relazione a questi due casi non ha senso. Per questo la battaglia elettorale in Abruzzo si presenta difficile ma, parlando a L'Aquila in un affollato comizio, ho visto anche determinazione e voglia di reagire. Insomma, l'Abruzzo non sarà l'Ohio, ma neanche il Texas. Si dicono tante cose sbagliate. Io, per esempio, non ho mai pensato che il Pd fosse in dissolvimento, che Berlusconi sarebbe arrivato all'80 per cento. Queste previsioni sono una sorta di ritorno del sempre uguale. Dopo il 1996 ricordo autorevoli editorialisti scrivere che era finito il bipolarismo, che non ci sarebbe più stata la destra. Fregnacce. Sono momenti. Sia il centrosinistra che il centrodestra rispondono a dati di fondo, strutturali, quasi antropologici. Noi non scompariremo, siamo una grande forza.

Ma della strategia con cui vi siete presentati agli elettori in aprile non è rimasto più nulla.

Il problema è costruire una strategia per dare all'Italia un nuovo centrosinistra più credibile, per questo non basta costruire in modo serio il Pd. Ciò comporta la ricerca di dialogo e di convergenza sia verso il centro sia verso la parte più ragionevole della sinistra. Noi siamo la forza leader di un qualsiasi governo alternativo alla destra. Forza guida, ma non esclusiva né autosufficiente. E comporta anche una politica istituzionale coerente, perché se dai l'impressione di voler cancellare i tuoi alleati, quelli non si alleano con te, non è difficile da capire. Abbiamo corretto la nostra impostazione, creando sull'ipotesi di riforma della legge elettorale un clima di collaborazione. Abbiamo faticato un po', ma ci stiamo muovendo nella direzione giusta.

Un ultima domanda: anche la vicenda Alitalia dimostra che l'Italia è ingovernabile?

Si sta rivolgendo contro Berlusconi la medesima forza che lui ha cavalcato quando fece fallire la trattativa con Air France. Dal punto di vista sindacale siamo all'esasperazione anarchico-suicida di un certo sindacalismo ultracorporativo, che evoca dei mostri che poi non è più in grado di governare. Ma il rischio caos danneggia enormemente gli stessi lavoratori.

Dunque condivide il pugno duro dell'esecutivo contro lo sciopero selvaggio.

Mah, il governo c'entra poco. È innanzitutto la Cai che deve trovare soluzioni che riducano il grado di conflittualità di questa rivolta anarchica. Se non si crea un clima di collaborazione non so come questa azienda potrà sopravvivere. Del resto, Alitalia dovrà comunque trovare un partner straniero perché cosi com'è rischia di non farcela. La retorica della compagnia di bandiera ha abbindolato solo gli ingenui. Siamo al gioco dell'oca, tra poco si riparte dal via, ma ora tutto chiaro dall'inizio. Alla fine entrerà una grande compagnia straniera con la sola differenza che nel frattempo lo Stato, cioè i cittadini, si sono accollati i debiti di Alitalia. Si chiama socializzare le perdite e privatizzare i profitti.




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