Intervista
1 febbraio 2009

«PD, INDIETRO NON SI TORNA <br>MA COSI' NON VA: CI VUOLE PIU' IMPEGNO»<br>

intervista di Claudio Sardo - Il Messaggeto


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ROMA (1° febbraio) - «Dal Partito democratico non si torna indietro. L’idea che ad un tratto possano di nuovo materializzarsi Ds e Margherita è sciocca e irrealistica. Il problema del Pd non è questo: è il nostro progetto ancora incompiuto. Il problema sono i passi avanti che ci mancano». Massimo D’Alema torna, dopo la direzione di dicembre, a parlare del Pd, del suo «malessere», della «proposta di governo» e del futuro da costruire. «Questo - dice - è il momento dello sforzo comune, di raccogliere le forze per affrontare la sfida». L’intervista muove da qui. Anche se D’Alema non tarda a contestare la tesi, cara al vertice del Pd, che le difficoltà dipendano innanzitutto dalla litigiosità interna.

Di cosa soffre allora il Pd?
«Costruire un grande partito è prima di ogni altra cosa un’impresa culturale e organizzativa. Il nostro deficit è qui. E non serve cercare spiegazioni di comodo, tanto meno etichettare come dalemiani tutti coloro che dissentono. La pluralità di opinioni tra noi è insopprimibile: va governata con prudenza e responsabilità di tutti».

Cosa intende per impresa culturale e organizzativa?
«Che c’è bisogno di grande energia per radicare un partito nuovo, per rimotivare i militanti e per far convivere il loro impegno con forme di partecipazione diretta dei cittadini. E che, accanto al radicamento sociale, l’altra grande questione politica è il radicamento nella storia nazionale, la “giustificazione storica” del Pd. Spero che la prossima Conferenza programmatica ci aiuti a fare quei passi che fin qui sono mancati».

Intanto Bersani s’è fatto avanti come possibile contendente alla leadership di Veltroni. Lei lo sosterrà dopo le europee, quando verrà il tempo del congresso?
«Mi pare che Bersani abbia detto correttamente che oggi non ci sono candidature né congressi, ma un lavoro comune per affrontare al meglio europee e amministrative. Poi, è fin troppo banale dire che dopo il voto si discuterà. Siamo un partito, appunto, democratico».

Lei però a dicembre parlò dell’amalgama ancora non riuscito. E più di qualcuno le attribuì il progetto di una nuova sinistra di matrice socialista nel dopo-Pd.
«Le mie parole allora furono decontestualizzate e completamente falsate. Stavo replicando alla tesi che il Pd soffriva a causa di correnti verticali e ben strutturate. Mi sembrava una critica tranchant e, per di più, infondata. Ho risposto che l’amalgama ancora non c’è e che non bisogna confondere le correnti con i riflessi, peraltro un po’ confusi, delle appartenenze precedenti».

Resta il problema della rappresentanza politica della sinistra. Problema che non riguarda solo il destino di Ferrero e Vendola. Non le pare che il Pd si stia scoprendo a sinistra, come dimostra il gelo con la Cgil sulla riforma dei contratti?
«La migliore tradizione della sinistra italiana è riformista. Senza questa storia, senza questa presenza il Pd verrebbe meno al suo progetto di unire i riformisti. Certo, la sinistra è uno degli affluenti del Pd. Ma il Pd non nasce per cancellarla. Al tempo stesso, è naturale che viva una sinistra fuori dal Pd, senza rivendicazioni di esclusive. E sono anche convinto che quest’area, nel suo complesso, non stia arretrando sul piano dei consensi».

E il rapporto con la Cgil?
«Il Pd non deve sempre andare d’accordo con la Cgil. Io stesso ho avuto confronti duri quando ancora c’erano i Ds. Oggi però sono convinto che escludere il maggiore sindacato, non da un contratto di categoria, ma dalla riforma del sistema contrattuale, sia una forzatura e un errore. Sono convinto da molti anni che si debba riformare il modello contrattuale nel senso di accrescere il peso della contrattazione salariale nei luoghi di lavoro. Tuttavia, non mi convincono alcuni punti di merito, innanzitutto perché non mi sembra pienamente garantita per i lavoratori più deboli la difesa del potere d’acquisto del salario rispetto all’inflazione reale. E poi, perché detassare gli aumenti contrattati a livello aziendale e non anche quelli negoziati sul tavolo nazionale? Perché usare il fisco per dare di più a chi ha già di più e togliere a chi ha di meno?»

L’accordo per fissare lo sbarramento al 4% alle europee sembra fatto. D’Alema voterà a favore?
«Sono un parlamentare disciplinato che segue sempre le indicazioni del gruppo. Sull’accordo però vanno distinti due aspetti. Nel merito giudico il compromesso accettabile. Le preferenze sono rimaste a garanzia del potere degli elettori. E, anche se continuo a ritenere più giusta la soglia del 3% anziché il 4, prendo atto che il negoziato con Berlusconi non possa offrire di più. Accanto al merito però bisogna anche valutare gli effetti politici. E su questo ho più di una preoccupazione...».

Insomma, sta consigliando a Veltroni di fermarsi e rinunciare alla riforma.
«Non ho compiti di direzione politica e rimetto le valutazioni al gruppo dirigente. Domando però se convenga al Pd andare avanti per questa strada. Si rischia non solo di inasprire i rapporti con potenziali alleati alle amministrative, ma anche di suscitare sentimenti di rigetto in parte dell’opinione pubblica che sospetta il prevalere di interessi particolari. Se la decisione sarà di andare avanti, spero almeno che si attenuino alcuni aspetti tecnici dello sbarramento. Ad esempio, è ingiusto negare il rimborso a tutti coloro che non arrivano al 4%. Per il rimborso elettorale si può anche fissare una soglia più bassa. Democrazia è anche partecipare, provare. È giusto disincentivare le liste dello zero virgola. Ma non si può alzare un muro».

Lei ha parlato di potenziali alleati. Le alleanze sono motivo di divergenze strategiche nel Pd. Lei punta sempre su Casini e Vendola come interlocutori privilegiati?
«Non si pone così il tema delle alleanze. Gli alleati non si possono reclutare alla maniera della marina britannica di un tempo: una botta in testa e via, arruolati. Non posso allearmi con chi non condivide il medesimo progetto. Il tema per il Pd non è allora quali alleati scegliere. Il tema è come preparare la sfida del governo. Che vuol dire: costruire un programma efficace e una coalizione credibile per realizzarlo. Alle elezioni il Pd era alleato con l’Idv. Non credo che oggi si possa lanciare una sfida di governo credibile riproponendo la coalizione Pd-Idv».

L’accordo sullo sbarramento potrebbe riproporre la tentazione dell’autosufficienza e del bipartitismo.
«In Italia non c’è il bipartitismo. Alle ultime elezioni Lega e Idv hanno ottenuto incrementi persino maggiori di Pdl e Pd. Neppure in Europa c’è il bipartitismo, ma un bipolarismo fondato su due forze prevalenti. È questo l’approdo più razionale anche per le riforme. Intanto è bene che il Pd cominci a lavorare sui contenuti e ad aprire il confronto sui temi politici e istituzionali innanzitutto con le forze che oggi si trovano all’opposizione».

Ma Di Pietro è ancora un interlocutore plausibile dopo la reiterata polemica con il Presidente della Repubblica?
«Di Pietro si proclama paladino dell’indipendenza della magistratura, ma sempre più si fa rappresentante di singoli magistrati e di singole Procure, talvolta schierate contro altri magistrati e altre Procure. Questo intreccio tra inchieste particolari e lotta politica è inquietante. Vedo che anche nel movimento di Di Pietro si colgono dei malumori per questo e per gli attacchi pretestuose e talora volgari al Capo dello Stato. Spero che Di Pietro si fermi, perché altrimenti diventerebbe impossibile ogni rapporto».

La riforma della giustizia è il terreno di un possibile incontro con il governo?
«Dipenderà dalle proposte del governo. Sulle intercettazioni ha fatto bene a non modificare la lista dei reati, ma sbaglia a limitare le capacità investigative dei magistrati. Sarebbe meglio concentrarsi sulla tutela della privacy e sui limiti alle pubblicazioni. Sulla crisi più generale della giustizia il banco di prova riformatore è la rapidità del processo civile, oltre che la riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie. Passa da qui una riforma nell’interesse dei cittadini. Ma allo stato mi pare che Berlusconi pensi ad altro».

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