Intervista
20 febbraio 2009

"CARO WALTER, NESSUNO HA COMPLOTTATO,<br>LA CRISI NASCE DA UNA POLITICA CONFUSA"<br>

di Massimo Giannini - La Repubblica


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Onorevole D'Alema, adesso sarà contento. Veltroni si è dimesso.
"Rispetto la sua decisione, come lui rispettò la mia quando mi dimisi da presidente del Consiglio. Tuttavia avrei preferito che si arrivasse a discutere tutti insieme in un congresso, senza questo trauma. Non c'è nulla di personale tra me e Veltroni. Le mie sono state osservazioni politiche. Umanamente sono vicino a Walter, e gliel'ho anche fatto sapere".

Eppure lei non c'era alla conferenza stampa di addio, e la sua assenza è stata notata...
"Quella conferenza stampa indetta al termine di una riunione del coordinamento hanno assistito i membri del coordinamento, del governo ombra, i collaboratori e i dirigenti del Pd. Io non ho nessuno di questi incarichi. E se mi fossi presentato dopo, sono sicuro che avreste scritto "ecco, D'Alema è venuto a godersi la fine del suo nemico". Mi creda, qualunque cosa avessi fatto, non avevo scampo".

Il discorso di addio del segretario le è piaciuto?
"A Veltroni riconosco una profonda autenticità di ispirazione. D'altro canto non è affatto vero che io e Veltroni litighiamo da 20 anni. Abbiamo avuto momenti di dissenso politico, e fasi di intensa collaborazione. Eppure, da anni non si parla di noi se non in termini di duello personale".

Tutta colpa solo dei giornalisti, secondo lei? Non c'è anche una vera "arte sicaria", come scrive Giuliano Ferrara, nel suo modo di incoronare e poi azzoppare i leader?
"Fesserie. Ferrara è legato a Berlusconi. Quindi scrive contro di noi, com'è ovvio che sia".

Ora l'umore prevalente dei vostri elettori è il seguente: andatevene tutti a casa. Cosa risponde?
"Rispondo che io me ne sono già andato da un pezzo. Vorrei che fosse chiaro a tutti un concetto definitivo: io non faccio parte di alcuna "struttura" dirigente del Pd, da quando il Pd è nato. Io non ho nessun incarico, nessuna poltrona da difendere. Dunque, se la richiesta è quella di uscire dagli organismi dirigenti del partito, rispondo "già fatto". Se invece la richiesta è quella di tacere, allora no, mi dispiace, a questo diritto, che come cittadino e come iscritto a quel partito mi riconosce persino la Costituzione, non intendo rinunciare. Spero solo che ora si creino le condizioni per una migliore collaborazione, e si possa finalmente cominciare a lavorare insieme".

Con Veltroni collaborazione e solidarietà non hanno funzionato, come ha detto lui stesso nel discorso di commiato. Perché?
"Walter ha ragione, su questo. Tuttavia le condizioni di maggiore solidarietà non si ottengono mettendo il bavaglio al dibattito politico, ma promuovendolo e indirizzandolo verso esiti condivisi. E questo, vede, è il vero problema di questi mesi. Si è creduto di andare avanti con una scorciatoia: il rapporto taumaturgico tra un leader e le masse. E non ha funzionato. Serviva e serve un gruppo dirigente che collabora, e che è capace di una riflessione profonda, poi di una mediazione e infine di una decisione. Insomma, serve la politica. E a mio avviso è proprio questa che è mancata. E di qui nascono le nostre difficoltà. Non dai complotti, non da chi ha remato contro, ma da scelte insufficienti, o confuse".

Facciamo qualche esempio?
"Ce ne sono diversi. Il primo riguarda la natura del partito. Per troppi mesi siamo rimasti sospesi nell'incertezza del "partito leggero": non abbiamo capito se doveva essere un partito di iscritti, di sezioni, di gazebo. Il risultato è un ircocervo, che oggi nessuno sa ben definire. La mia vecchia sezione Ds contava 427 iscritti, era un centro vivace, pieno di iniziative. Quando abbiamo fatto il Pd, e abbiamo dato vita alla cosiddetta "elezione per adesione", sono venute a votare 687 persone. Da allora, più nulla. Il tesseramento è iniziato con grande ritardo. Oggi la sezione ha 120 iscritti, e non ha più neanche una sede. Casi analoghi sono avvenuti in tante parti del Paese. Oggi il Pd ha grosso modo la metà degli iscritti che avevano i Ds".

Non poteva dirlo? Non poteva fare qualcosa?
"La sua domanda mette in luce precisamente le difficoltà della mia posizione personale, perché se taccio mi rendo corresponsabile, se critico sono colpevole di un sabotaggio e di un intollerabile dualismo con Veltroni. Lei capisce che è davvero insopportabile. Comunque queste cose le ho dette nell'ultima direzione del partito: un grande partito, se vuole essere riformista e di massa, deve avere regole, strutture. Bisogna che la gente lo trovi, nel suo quartiere, nella sua città. Certo, lo deve trovare anche su Internet, su Facebook, o nelle piazze quando c'è una manifestazione. Ma questo non basta, non può bastare".

Ma lei pensa che i guai del Pd siano limitati al fatto che non si trovano le sezioni?
"Questo è solo il primo problema, che riguarda il "contenitore". Ma in questi mesi siamo stati vaghi e indecisi anche sui contenuti. Vuole gli esempi? Il conflitto in Medioriente: era l'occasione per esprimere una posizione fortissima, improntata al nostro ruolo storico di mediazione nel Mediterraneo e alla linea di Blair, di Sarkozy e del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Il nostro messaggio, invece, è stato debole e confuso".

Senta, mi vuol far credere che il Pd ha avuto il tracollo in Sardegna perché non ha avuto una posizione chiara sul Medioriente?
"Le faccio un altro esempio, che sicuramente ha interessato più da vicino l'opinione pubblica: il testamento biologico. La vera forza di un partito nuovo non sta nella semplice giustapposizione di linee differenti. L'obbligatorietà della nutrizione e dell'idratazione forzata per persone che abbiamo perduto coscienza non è prevista nella legislazione di nessun Paese civile. L'idea che queste pratiche non siano "trattamenti sanitari" è assurda e antiscientifica. Io rispetto i cattolici, ma la libertà di scelta in materia di trattamenti sanitari è un principio costituzionale e di civiltà. Sia chiaro, non metto in discussione la libertà di coscienza. Ma un grande partito, su un tema come questo, non può non capire che deve discutere, deve rispettare la diversità, ma alla fine deve arrivare a una sintesi. Un grande partito non può non capire che, in un momento come questo, sostituire Ignazio Marino dalla commissione che discute di testamento biologico è un grave errore. Noi, in tutta questa partita, abbiamo dato un'immagine sbiadita".

Vi siete divisi anche sulle alleanze.
"E' vero. Per me la vocazione maggioritaria si pratica, non si predica. Berlusconi non ha mai detto di avere una vocazione maggioriaria e fa una politica accurata delle alleanze. Sta cercando di recuperare l'Udc, e in Sardegna ha cercato addirittura il Patrito sardo d'azione, mentre noi non riusciamo a riunire neanche a livello locale le forze che sono all'opposizione del governo. Chapeau. Ma le pare possibile che l'unico tema su cui abbiamo avuto una posizione forte è stata la legge elettorale europea con lo sbarramento del 4%? Va bene che vogliamo semplificare lo schieramento politico italiano, ma lei darebbe la vita per un partito che ha questa Weltanschaung?".

Ma Veltroni, almeno, ha responsabilmente riconosciuto i suoi errori. Voialtri, invece?
"Io non do la colpa di ogni cosa a Veltroni. Sono il primo a sapere che un leader no è un demiurgo. Quello che dico, però, è che per risolvere la nostra crisi dobbiamo avere il coraggio di vedere i problemi veri, non limitarci a dare la colpa ai clan o alle "correnti"".

E lei, allo stesso modo, non avverte il senso di una responsabilità collettiva dell'intero gruppo dirigente?
"Pur non facendo parte del gruppo dirigente, mi prendo le mie responsabilità. In questi mesi ho più volte chiesto di essere messo in condizione di dare un contributo, e spesso sono stato trattato come uno che cercava solo una collocazione".

Perché ha dato il suo imprimatur alla candidatura di Bersani? In questo momento non era meglio evitare?
"Innanzi tutto Bersani ha detto con chiarezza che di questo si sarebbe discusso nel congresso del partito. Continuo a credere che quella candidatura, se da una parte ha irritato qualcuno, dall'altra parte, come è naturale, ha motivato e riavvicinato al Pd altri. Francamente questa osservazione, piuttosto banale, non mi sembra avesse un carattere di rottura e di destabilizzazione. Altri sono stati i problemi del Pd".

Comunque, a questo punto come si esce da questa catastrofe? Cosa farà l'assemblea costituente di domani?
"Intanto bisogna avere senso di responsabilità, evitare proprio i catastrofismi, le campagne autodistruttive. Non dimentichiamo che in 15 anni abbiamo saputo anche vincere e governare bene il Paese. All'assemblea costituente ascolteremo le proposte del vertice, ma sarà necessario interpretare anche le aspettative della base, e poi decidere. Mi affido pienamente al gruppo dirigente".

L'ipotesi di una segreteria di traghettamento affidata a Franceschini la convince?
"Ho stima di Franceschini. Se questa sarà la soluzione, avrà bisogno di un forte consenso, perché prima delle elezioni di giugno si dovranno sciogliere nodi complessi, a partire dalla collocazione del Pd tra le famiglie politiche europee, altro tema che abbiamo rinviato troppo a lungo".

Ma non sarebbe più lineare un congresso straordinario subito, o nuove primarie?
"Per un congresso mi pare manchino i tempi tecnici. Quanto alle primarie, non sta a me dare indicazioni. Qualunque cosa io dica può essere usata contro di me".


Insomma, lei non teme che per il Pd l'avvento di un "reggente" sia come il governo Badoglio, e che il passaggio successivo sia l'8 settembre?
"No, se le decisioni dell'assemblea costituente di domani saranno chiare e condivise, questo rischio non c'è. Se invece si produrrà uno strappo tra il vertice e la base, allora sì, corriamo un rischio serio. E' vero che per lanciare un partito nuovo come il Pd occorre tempo. Ma in un anno siamo passati dal 33% delle politiche al 23% dei sondaggi di oggi, avvalorati dal voto sardo. Questo non significa che il progetto politico non conserva intatte tutte le sue potenzialità. Ma per ripartire bisogna avere il coraggio della verità".

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